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di Daniele Bovi Si avvicina l'inizio di dicembre e con esso la diffusione annuale del “Rapporto sulle crisi industriali” redatto dalla Cgil. I numeri in esso contenuto dovrebbero essere da brividi. Rispetto al 2007, le aziende a rischio, che quest'anno cioè hanno chiesto la Cigs, sono circa 1300. Il 20 per cento in più rispetto allo scorso anno. La sola voce “crisi aziendali”, da scorporare quindi da altre causali come fallimenti o ristrutturazioni, pesa per il 53 per cento. E i numeri, freddi e impietosi, in Umbria e nelle Marche hanno la faccia, ad esempio, degli operai della Merloni, o della Sirio Ecologica, o della Rapanelli, e via così. Via così perché l'elenco, purtroppo, è molto lungo. Della Merloni si è già detto, così come è inutile ritornare sulla sofferenza di tutta la zona dell'Alto Tevere. Marche e Umbria sembrano essere le due regioni più colpite dalla crisi verticale dei consumi. Qui la richiesta di Cig è salita, rispetto allo stesso periodo del 2007, del 149 per cento. In Umbria, tra virgolette, le cose sono andate meglio. Nel senso che nei primi otto mesi del 2008, le ore di Cig sono aumentate “solo” del 68,1 nel settore della meccanica. Contrazione dei prezzi di listino e aumento del costo dell'energia tra le cause che stanno falcidiando questo settore. E lo scenario dei prossimi mesi, così come lo disegna uno studio della Banda d'Italia di Perugia, è di quelli a tinte fosche: “Il panorama – dice lo studio - non sembra destinato a migliorare nei prossimi mesi; per oltre la metà del campione regionale intervistato, gli ordinativi rimarranno stazionari; per il 24,5 per cento si attende un ulteriore diminuzione mentre il restante 23,2 per cento prevede incrementi per lo più contenuti”. Più in generale, l'economia dell'Umbria nel primo semestre del 2008, ha mostrato segni di indebolimento in tutti i principali settori di attività: calate le esportazioni, difficoltà accentuate nelle costruzioni, il commercio ha risentito delle accresciute incertezze che hanno condizionato le decisioni di spesa delle famiglie soprattutto per i beni durevoli, mentre i flussi turistici (in particolare dall'estero) sono rimasti stabili. In questo quadro un raggio di sole viene dai dati occupazionali, con un più 4,9 per cento in particolare tra la popolazione femminile, ma con un aumento del ricorso alla cassa integrazione. E se dal terreno delle imprese ci si sposta a quello delle famiglie, le cose non sembrano certo andare meglio. Risalgono a pochi giorni fa ad esempio la diffusione dei dati dell'Osservatorio sulla povertà in Umbria. Nella regione le famiglie povere sono il 7 per cento del totale ed oscillano tra le 22 mila e le 28 mila. Di queste, il 3% (10 mila famiglie) si trova molto al di sotto della soglia di povertà. A destare ancora più allarme poi è il fato che nelle famiglie di anziani questo dato salga all'11 per cento. Lo studio individua le cause della povertà nella composizione familiare e nella mancanza di lavoro. Dal 1997 ad oggi sul versante povertà non ci sono stati mutamenti marcati e questo significa che il problema resta e non si sta affrontando. Le uniche diversità che emergono dai dati sono le seguenti: affiora l'emergenza lavoro soprattutto legata all'eccessiva precarizzazione (un giovane su 3 ha un lavoro precario). Mentre nelle povertà estreme aumentano gli immigrati e la “femminilizzazione” della povertà: il 54 per cento dei poveri infatti è costituito da donne in quanto più colpite da disoccupazione e precarizzazione. Condividi