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di Luca Spaccini Chiunque abbia un poco di buonsenso, non può non preoccuparsi in questo periodo, nel quale stiamo assistendo al remake di un film già visto in Italia nella prima metà del secolo scorso. Le strategie sono più sofisticate, i metodi un po' (ma solo un po') meno violenti, ma la sostanza in pratica è la stessa: la progressiva riduzione degli spazi democratici e contemporaneamente preparare il terreno per un consenso diffuso, indotto non da scelte razionali e valutazioni politico economiche, ma semplicemente con l'instillazione nella popolazione della percezione di insicurezza e illegalità, la preparazione dei futuri elettori con un' educazione 'calibrata' fornita da una scuola completamente snaturata, certamente non in grado di preparare i ragazzi ad una maturità intellettuale e un sostanziale imbavagliamento dell'informazione non omologata. In un clima come questo un ruolo importante lo gioca anche lo 'sdoganamento' di molti personaggi ed eventi indubbiamente scomodi per una destra che vuole spacciarsi come deus ex machina della situazione critica nella quale versa l'Italia. Emblematico di questo processo di revisionismo risulta essere il “caso Almirante” ; con la scusa del ventennale della scomparsa del 'padre-padrone' del Msi, Alemanno, il primo sindaco 'nero' della storia del Comune di Roma avanza la proposta di intolargli una via, giustificando la scelta con la motivazione che Giorgio Almirante abbia dato il suo contributo alla storia democratica della Repubblica Italiana. Rammentando che l'unica repubblica alla quale Almirante abbia fattivamente dato il proprio contributo sia stata quella di Salò, c'è anche da valutare il fatto che questo personaggio è stato implicato in numerose vicende dai contorni più o meno oscuri collocate durante il periodo della cosiddetta strategia della tensione. In effetti è stato addirittura riconosciuto colpevole e condannato per favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano (1972), nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria con un'autobomba trappola. Fu amnistiato solo perché ultrasettantenne. In pratica un terrorista. Torniamo però indietro negli anni, fino a quando, fiero ventiquattrenne vestito in orbace nero, Almirante spicca tra i sottoscrittori del “Manifesto della razza” e segretario di redazione della rivista La difesa della razza. Fieramente fascista, partecipa alla campagna d'Africa e dopo l'8 settembre corre ad ingrossare le fila della GNR come capomanipolo. In qualità di capogabinetto del ministro della RSI Mezzasoma, firma il proclama con cui si decreta l'immediata 'fucilazione alla schiena' di tutti i militari che non si fossero presentati nelle caserme per arruolarsi con i repubblichini. Partecipò attivamente anche ad azioni di rastrellamento congiuntamente con i nazisti per eliminare partigiani e fiancheggiatori. Alla fine delle ostilità, si diede alla latitanza per circa un anno, per poi riapparire sulla scena politica italiana e dare vita a quello che si sarebbe poi chiamato Msi, il partito più a destra di tutti che strizzava l'occhio all'esperienza fascista. Durante alcune campagne elettorali venne anche accusato di apologia del fascismo, successivamente condannato, ma tutto finì a tarallucci e vino. La storia di Almirante nell'Italia democratica si svolge sempre sul filo del rasoio tra legalità e reato, finanziando e fomentando gruppi di picchiatori neri, alimentando scontri tra i giovani di destra e di sinistra, aiutando sia economicamente che con i propri agganci istituzionali terroristi dell'estrema destra. Addirittura negli anni '70 la Procura di Milano domanda alla Camera l'autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante per il reato di ricostituzione del partito fascista. Nel corso degli anni più di una volta, nei discorsi di Almirante, si riscontra un malcelato disprezzo nei confronti della struttura democratica dello Stato. Sinceramente non sembra questo, un personaggio a cui intitolare una via, un personaggio il cui nome debba rimanere nella storia come esempio per i giovani, come portatore di un qualche valore. Non si può, non si deve intitolare una via, una piazza, o anche un semplice sentiero ad una persona che ha basato la propria vita sul razzismo, la dittatura, la violenza, che non ha esitato a finanziare e incoraggiare coloro che si ponevano al di sopra della legge e della democrazia. Non si può, in nome del tetro revisionismo che sta ammantando di un alone di 'presentabilità' se non, in alcuni casi, di 'pregio' certe realtà della nostra storia remota o prossima, accettare di dimenticare i misfatti di taluni individui, consentire di cancellare certi accadimenti, modificare il corso degli eventi e ripulire le coscienze. La memoria della nostra storia è un elemento fondamentale per la salvaguardia della democrazia .Non concediamo a chi si propone di riscrivere il nostro passato per trasformarlo in futuro di privarci di questa opportunità. Condividi