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In Italia sono oltre 7 milioni e mezzo i lavoratori con il contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto: questi ritardi rappresentano una pratica inaccettabile sul piano delle relazioni sindacali e continuano a provocare gravi ricadute su salari, stipendi e pensioni. Non è una novità: i lavoratori italiani sono i peggio pagati d’Europa. In Umbria poi esiste una questione salariale specifica: salari, stipendi e pensioni sono inferiori di circa il 10-15% rispetto alla media nazionale. Questa situazione è non solo causa di maggiori ingiustizie sociali e di impoverimento di larghe fasce della popolazione, ma anche della crisi e del declino dell’economia. Le imprese hanno continuato a fare profitto grazie alla debolezza della dinamica salariale, spostando le risorse verso la rendita parassitaria di carattere finanziario. Del resto, come è noto, con gli accordi del luglio 1992 si smantellò la scala mobile e con gli accordi del 23 luglio 1993 venne ridisegnato il sistema contrattuale, inaugurando la stagione della concertazione e della politica dei redditi. Da allora è il contratto nazionale di categoria ad assolvere compiti di recupero dell’inflazione, mentre il contratto aziendale (dove si può fare, visto che soltanto il 15% delle aziende prevede una contrattazione di secondo livello !) definisce gli incrementi di produttività. Il risultato: negli ultimi dodici anni i salari reali sono diminuiti a vantaggio dei redditi da capitale. Una proposta strutturale per bloccare la caduta del salario e procedere verso una equa distribuzione del reddito è la reintroduzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione di salari e pensioni all’inflazione: una nuova scala mobile. Questo per impedire che il salario di un lavoratore possa essere tagliato in modo permanente dai rinvii dei rinnovi contrattuali e dall’aumento dei prezzi. Detto questo, oggi la Cisl sta spingendo per una riforma del modello contrattuale che dia più forza alla contrattazione aziendale, Confindustria non aspettava altro da tempo e il Ministro Damiano vorrebbe legare l'aumento dei salari dei lavoratori italiani all'aumento della produttività delle aziende. Un attacco senza precedenti al contratto nazionale, caposaldo di ogni possibile scelta di equità e giustizia. La sola Cgil ha precisato che un maggior rilievo della contrattazione decentrata può avvenire fermo restando la salvaguardia del contratto nazionale. Ecco, tutta la sinistra nell’immediato può e deve lavorare innanzitutto per difendere il contratto nazionale: l’unica revisione che si può fare è far rinnovare i contratti quando scadono! Sarebbero segnali importanti e concreti la definizione del “fiscal drag” per i lavoratori dipendenti, la riduzione delle aliquote fiscali e l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Le risorse ci sono: quelle arrivate dalla lotta all’evasione fiscale. Il salario è oggi un’emergenza nazionale su cui Rifondazione e la sinistra devono puntare per ridare al mondo del lavoro una forte ed incisiva rappresentanza politica. Condividi