di Leonardo Caponi

PERUGIA - Passata (o almeno acquietata) la sbornia mediatica sulle elezioni americane (innumerevoli servizi di presentazione, dirette no stop, nottate televisive, - seguite da chi? - talk show di commento, se si votava in Italia ce ne sarebbero stati di meno!) si può pensare di fare qualche conto in tasca alla “grande democrazia americana”. E’ una operazione difficile perché i dati elettorali che da noi compaiono normalmente, anzi sono il “sale” del dibattito, cifre di affluenza, voti, astensioni e relative percentuali, sono di difficile reperimento, qualcuno quasi introvabile, sommersi dal profluvio senza fine di analisi, commenti, previsioni, discordanti o meno, che vengono proposti, tutti però nell’ambito di una lode pressoché unanime e sperticata rivolta al sistema politico ed elettorale americano ogni volta rivelatore, come dicono, della “forza di quella democrazia”.

   E’ pur vero che, come dire?, il voto negli Usa è molto frammentato per singolo Stato, la cui dimensione appare prevalente su quella “nazionale”, ed è quindi probabilmente scarsamente utile e difficile riportarlo a sintesi complessiva, però la rimozione dei dati di cui sopra (alla quale l’informazione italiana naturalmente e pienamente si adegua) non è del tutto innocente. Cerchiamo di dimostrarlo, chiedendo scusa per la approssimazione di alcune cifre che però non inficia la sostanza del ragionamento.
   L’ambasciatore americano a Roma (questo è per ora l’unica fonte che l’autore di questa nota ha trovato, speriamo in qualche cosa di più ufficiale nei prossimi giorni) ha “sentito dire” (letterale, è scritto così nel blog della Stampa)  che la percentuale di voto è stata del 62%. Un po’ inferiore a quella di quattro anni fa. I due candidati Obama e Romney hanno assommato insieme, quasi dividendoseli perfettamente, praticamente 100milioni di voti. Questa cifra confermerebbe quella della percentuale dei votanti, tenendo conto che, da altra fonte internet, si apprende che gli elettori americani oscillerebbero tra i 130 e i 190 milioni. Questa differenza e incertezza non deve stupire, dal momento che coloro che in America possono votare non sono tutti i cittadini che abbiano compiuto il 18 anno di età e che, come accade in Italia e nelle vecchie democrazie europee, ricevono a casa loro il certificato elettorale, ma sono coloro che , avendo il predetto requisito, richiedono (a volte, a seconda degli Stati, lo devono fare con molti mesi di anticipo) di iscriversi alle liste elettorali (valide per le primarie e per elezioni vere e proprie), dichiarando (udite udite! alla faccia della segretezza) il partito per il quale vogliono esprimersi. Ogni Stato conserva e aggiorna ad ogni elezione le proprie liste elettorali e non è raro che, a seconda del colore politico dei governatori, vengano cancellati con più facilità gli elettori del campo avverso (ricordate la lunga disputa del democratico Al Gore contro lo Stato della Florida che aveva cancellato quasi 60mila elettori di origine ispanica favorevoli a lui, che aveva perso per soli 500 voti?).

   Ma, andiamo avanti: anche ammesso che abbia votato il 62% degli aventi diritto (percentuale comunque non esaltante, anche se “straordinaria” per gli Usa), sapete quanti sono i cittadini americani al di sopra dei 18 anni che, quindi, se si iscrivessero alle liste elettorali, avrebbero diritto al voto? Duecentotrenta milioni, su una popolazione totale di 315milioni. Bene, facendo un po’ di conti approssimati ma reali, vuol dire che il Presidente Usa, il capo della prima potenza mondiale, l’uomo più potente del mondo da cui possono dipendere o dipendono i destini di buona parte dell’umanità (noi compresi), viene eletto da poco più del 20% degli abitanti del suo Paese.
   E questa sarebbe una grande democrazia?!   

   E, sapete chi va a votare? I “bianchi”, nella percentuale del 73% della loro razza. I neri votano per il 13% e gli americani di origine ispanica (per lo più poveri disgraziati immigrati dal Messico e dalle nazioni caraibiche) per il 10%. Quindi vuol dire che la parte più povera, esclusa ed emarginata della popolazione (paradossalmente quella che avrebbe più bisogno della politica per cambiare) non va a votare. Perché? Perché, alla fine, che vinca l’uno o l’altro dei due candidati, per loro non cambia niente!
   Una grande democrazia dunque? No, grazie!; viva, con tutte le loro magagne, le vecchie democrazie europee! Viva la nostra Costituzione repubblicana, bella e modernissima, che reca, tra le altre idee progressiste, l’impronta delle lotte e delle conquiste del movimento operaio. Non ci cambiamo una virgola, con quella americana!
   E chi, a sinistra, continua a voler portare l’America in Italia (come Veltroni, ricomparso in un salotto televisivo a magnificare le lodi di quel sistema) è ora che la smetta di fare danni, dopo i tanti, incalcolabili, che ha già fatto!

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