Di Giampaolo Ceci

 

Col susseguirsi degli scandali e delle ruberie dei politici, si stanno consolidando nella gente due principi.
Il primo è che chi fa politica é un disonesto furbacchione, che quando può, ruba senza pudore.
Il secondo è che i politici dovrebbe ro essere trattati come ogni altro cittadino e quindi al politico non dovrebbe essere concesso alcun trattamento particolare o agevolazione negata ai  più.
Bisogna stare attenti e non fare di un erba un fascio, c'è caso e caso.
Le ruberie di alcuni "politici" sono evidenti e hanno dell'incredibile; il malaffare anche. Le cause sono profonde e complesse, ma poi in definitiva, mi pare, vadano ricondotte alla indeterminazione dei valori morali di riferimento.
Quando viene a mancare una etica di riferimento cade anche  il freno inibitore della coscienza che più delle leggi condiziona il comportamento umano.
Oggi, indipendentemente dalla condivisione del modello sociale di riferimento, non conta più ciò che è giusto, ovvero ciò che è "morale",  ma più semplicemente ciò che è "legale. In questo contesto è difficile trovare reati nella maggioranza delle "ruberie" dei singoli politici (di ogni schieramento) perché spesso sono inattaccabili dal punto di vista civilistico in quanto perfettamente legali  e se non lo fossero basterebbe una leggina per renderle tali.
In generale, nella nostra intera società si sta ingenerando il principio che il tornaconto personale é più importante che quello collettivo, proprio perché si è ingenerata una etica inversa che fa passare per sprovveduto chi agisce onestamente.
Anche chi VIVE di politica e non si PRESTA temporaneamente alla politica,  resta intrappolato in questa caduta di valori e anche per lui ogni mezzo diviene buono per ottenere voti: cene o promesse che siano.
Riacquistare una forte etica sociale sarà difficile. Paradossalmente per la politica, invece potrebbe essere semplice. BASTEREBBE CHE GLI ELETTORI NON VOTINO TUTTI COLORO CHE FINO AD OGGI VIVONO DI POLITICA E NON POTREBBERO FARE ALTRO SE NON VIVESSERO DI QUESTO essendo improbabile che si sia schifato della politica e sia in buona fede, si dimetta spontaneamente dalle cariche assunte, quale segno inequivocabile della sua buona fede che dimostri senza equivoci il suo disinteresse e la sua presa di distanza dai colleghi disonesti.
Difficile, ma non impossibile, quindi eliminare il malaffare dalla politica che spesso vive e si sviluppa nella rincorsa a fare favori verso i propri elettori, per vedersi legittimato il diritto di entrare  a pieno titolo nella "casta".
Non mi sorprenderei se i politici uscenti tentassero di aumentarsi i vitalizi o le buone uscite. Sarebbe dura se un ex senatore tornasse dietro al banco del suo negozio; o se un ex deputato che ora viaggia con l'autista, l'auto di rappresentanza e la scorta, dovesse tornare a fare .... il tassista.
Diversa questione è invece il principio secondo cui ai politici dovrebbero essere concessi gli stessi trattamenti che agli altri.
In generale la questione non riguarda solo i politici, ma tutti coloro che occupano posizioni, sociali o lavorative  di maggiore responsabilità rispetto agli altri.
L'eguale trattamento diverso verso chi occupa posizioni di comando non risponde ad un principio di giustizia, ma al  riconoscimento della autorevolezza e prestigio del ruolo.
Al capitano non si riserva forse un trattamento diverso che alla truppa? Ai "capi", in generale, non venivano forse riservati privilegi derivati dal loro status che poteva così essere  riconosciuto da tutti e divenire stimolo di emulazione?
Sembrerebbe una contraddizione con quanto affermato prima, ma non é così, perché non è in discussione se chi occupa posizioni di comando o di responsabilità debba essere trattato come gli altri, ma solo di quanto debba essere trattato diversamente.
Quando è troppo, non si tratta più del riconoscimento sacrosanto di uno status e di rispetto, ma si ingenera il sospetto che uno se ne approfitti e la stima cade a picco. Proprio come avviene oggi.
Oggi i capi negli enti pubblici sono spesso degli uomini mediocri per principi e capacità che hanno raggiunto la loro posizione per raccomandazioni o per gratitudine dei capi nei loro confronti per la mole di voti che sono riusciti a racimolare (lo chiamano "peso politico"). Eccellono spesso solo nell'arte del convincimento e della oratoria e naturalmente nella  raccolta dei consensi dei soliti "gonzi" o di disperati in cerca di raccomandazioni, che non mancano mai.
Poco importa se gli Enti amministrati vanno in perdita.
Per carità, in un paese in cui i voti contano e non si pesano, vale il principio che chi ne ha di più comanda. Ecco perché il loro ruolo è divenuto sempre più importante e premiato da chi di quei voti ha assoluto bisogno.
Bisogna anche rimarcare che se c'é chi sa convincere la gente a votare per lui o per il suo partito, c'é anche chi si lascia convincere acriticamente con una cena o una promessa.
La caduta di valori etici e morali è quindi ancor più grave e generalizzata  e assume la doppia valenza del corruttore furbo e del votante sprovveduto o immaturo che non comprende che col suo voto non ponderato, consente a chi attua questi mezzi di comandare per tutti senza rappresentare  in effettui alcuna maggioranza.
Per chi non ha idee chiare su chi votare, meglio la astensione;  in questo contesto mi pare un atto dovuto di responsabilità, anche se spesso gli astenuti sono criminalizzati (da chi ambisce a quei voti), come dei pericolosi asociali anziché valorizzati come consapevoli indecisi.

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