Sbagliata la valutazione di Confindustria sull'Umbria. Serve un piano del lavoro
Nei giorni scorsi, commentata dal suo presidente Dott. Cesaretti, Confindustria Umbria ci ha presentato uno studio sulla situazione economica della nostra Regione che trasuda ottimismo.
Ci si dice, in estrema sintesi, che il PIL aumenterà anche se poco più dello zero, ma che avremmo già imboccato la strada della ripresa a condizione che le Istituzioni, a partire dalla Regione, assecondino il sistema delle imprese.
Il fatto che non si crei lavoro ma anzi che si continui a distruggerlo, per Confindustria sembra costituire un dettaglio del tutto secondario.
Ci permettiamo di non essere assolutamente d’accordo con questa analisi perché riecheggia la logica di una impresa che dovrebbe avere mano libera e già questo consentirebbe di poter uscire da una crisi che ormai è arrivata al suo settimo anno.
Proprio l’Umbria, con salari più bassi del 13% rispetto alla media nazionale ( dati IRES ) dimostra che questa ricetta oltre che essere iniqua è del tutto inefficace.
La mappa della crisi della CGIL Regionale, con 190 vertenze aperte, dimostra che la strada da percorrere non è quella di una impresa lasciata a sé stessa.
Occorrono politiche pubbliche di intervento soprattutto del Governo Nazionale e rilanciare una politica industriale degna di questo nome.
Di questo ci parlano anche le tante vertenze aperte, dalla Nestlè Perugina, alla Colussi, al Polo siderurgico ternano e alla drammatica situazione della fascia appenninica con al centro le vicende della ex Merloni.
E’ importante che anche la Regione attivi incontri su questa o su quella vertenza (ieri la commissione economica si è incontrata sulla Nestlè Perugina ), ma ho l’impressione che questo pur essendo importante non basti. Serve una logica di insieme per affrontare l’emergenza occupazionale della nostra Regione che coinvolge 135 mila persone (tra disoccupati, cassa integrati, condizioni di precarietà estrema e neet o scoraggiati).
L’unica risposta possibile è quella di mettersi a costruire un vero e proprio piano del lavoro che costituisce l’emergenza sociale, economica e anche democratica della nostra Regione.
Mario Bravi
Mercoledì
02/09/15
11:10
I dati occupazionali dell'Umbria non sono incoraggianti e concordo con Bravi sul richiamo alla cautela nei confronti dei rappresentanti delle imprese.
Ciò che invece non condivido dell'intervento di Bravi (e della posizione dei sindacati confederali, CGIL in primis) è l'esclusiva focalizzazione su alcune specifiche realtà lavorative.
Se si legge attentamente l'intervento di Mario Bravi si può notare che se da un lato cita (correttamente) a dimostrazione della difficile e delicata situazione umbra i dati aggregati degli inattivi (135 mila persone coinvolte; che rappresentano una quota molto alta per una popolazione residente complessiva di circa 900 mila abitanti), dall'altro circoscrive la criticità alle sole grandi aziende (Nestlè-Perugina, Colussi, AST Terni, ex Merloni).
Certamente Bravi si guarda bene dall'affermarlo chiaramente ma è evidente che per lui (ed il sindacato a cui è iscritto e che ha diretto fino a poco tempo fà a livello regionale) l'interesse è circoscritto a queste esclusive realtà (il pubblico impiego è escluso solo perchè non è a rischio licenziamenti) e tutto il loro impegno, qualora gli enti interpellati (Stato e Regione) mettessero a disposizione delle ulteriori risorse, sarebbe sostanzialmente indirizzato a far convergere tali risorse a favore di tale ambito (sia per ri-finanziare gli ammortizzatori sociali che per mantenere i livelli occupazionali attuali attraverso un indiretto sostegno alle aziende stesse). Per quanto (timidamente) i sindacati (e la sinistra) affermino di preoccuparsi non solo delle categorie sopra citate (quelle dei dipendenti delle grandi aziende e del pubblico impiego), la realtà è che gli altri lavoratori (quelli delle piccole imprese, gli artigiani, le partite iva, i collaboratori, gli stagionali, gli stagisti, etc.) dai sindacati (come dalla "sinistra" in Italia) sono visti come "di seconda categoria" e dunque sacrificabili nelle contrattazioni (come ha candidamente ammesso lo stesso Maurizio Landini in un'intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica nel novembre del 2014, nella quale spiegava come i sindacati avessero - in sede di contrattazione nazionale - difeso esclusivamente i lavoratori sindacalizzati influenzando i vari Governi passati, anche loro dunque colpevoli, affinchè le difficoltà di bilancio statale fossero interamente scaricate, attraverso una maggiore tassazione da un lato e l'esclusione dalle tutele ed ammortizzatori sociali dall'altro, sulle categorie dei lavoratori non sindacalizzati). In poche parole anche se oggi i lavoratori delle categorie difese dai sindacati rappresentano la minoranza dei lavoratori (non oltre il 35-40% della forza lavoro impiegata) questi sono gli unici difesi da chi - a parole - sostiene di avere a cuore i lavoratori tutti. Sarebbe ora dunque che chi rappresenta TUTTI i cittadini umbri - a partire dal Governo (più avanti su questo tema) e Regione (più indietro ed ancora legata a relazioni troppo stringenti con i sindacati) smettesse di mantenere rapporti privilegiati con interlocutori di parte che NON rappresentano affatto, nel suo insieme, il mondo del lavoro e dei lavoratori. I cittadini sono (nel complesso) stanchi di queste parzialità e disparità di trattamento e lo hanno fatto chiaramente comprendere nelle recenti elezioni cittadine (dove per la prima volta dal dopoguerra il centro-sinistra ha perso il comune capoluogo) e Regionali (dove la vittoria è stata piuttosto risicata e sofferta per il centro-sinistra). Mi auguro sinceramente che non si debba aspettare qualche altra sonora bocciatura elettorale per accorgerci che è ora di cominciare a guardare avanti a noi (impiegare le poche risorse disponibili per favorire la nascita di nuove imprese) e non più indietro (continuare a sprecare risorse in ambiti sempre meno competitivi solo perchè in esse sono occcupati i lavoratori sindacalizzati, nell'illusoria speranza che posticipare i problemi equivalga a risolverli).
Cordialità
Sabato
05/09/15
13:40
C'é una mina vagante, subdola, che si avvicina pericolosamente tra l'indifferenza dei politici locali, che ancora una volta resteranno sorpresi quando esploderà con le sue gravi conseguenze, come se fosse un evento imprevedibile.
Una minaccia che é stata pure annunciata, a saper leggere i comunicati del governo e i bilanci dello Stato e che potrebbe avere gravi conseguenze per la entità della presenza di questa tipologia di lavoratori nella nostra regione.
Mi riferisco ai dipendenti del pubblico impiego che DOVRANNO esser riconvertiti o licenziati per la necessità, più volte annunciata, di ridurre le spese della macchina pubblica.
Si tratta di diverse migliaia di dipendenti che spesso non hanno una professionalità spendibile. Poiché il problema oggi non sussiste, in quanto i dipendenti pubblici hanno il posto assicurato, per i sindacati non ci sono problemi all'orizzonte, nessun piano per addolcire la pillola quando non sarà più così e dovremo ingoiarla, ben sapendo che prima o poi per fare tornare i conti, il governo dovrà farcela ingoiare.
Domenica
06/09/15
16:07
La questione del pubblico impiego è complessa e delicata, tuttavia oramai ineludibile. La sua criticità non dipende tanto dal ruolo e dalla funzione svolta (essenziale ed irrinunciabile) o da presunte velleità politiche di dismissione del settore (anche se vi sono forze politiche più propense ad un ridimensionamento dei suoi compiti) quanto dalla insostenibilità e iniquità della sua passata gestione (che continua a produrre effetti negativi anche sul presente, come li produrrà sul futuro prossimo, se non si interviene). Una gestione (passata) insostenibile ed iniqua perchè ha utilizzato il settore pubblico non solo in funzione del compito chiamato a svolgere ma anche (ed in taluni casi soprattutto) come ammortizzatore sociale. Si è cioè proceduto con massiccie assunzioni non necessarie e spesso attraverso una selezione non trasparente (chiamata diretta presso aziende partecipate, concorsi non orientati a selezionare le figure di maggior professionalità/capacità ma quelle vicine politicamente e/o territorialmente, assunzioni temporanee a chiamata diretta poi regolarizzate con procedure interne riservate, etc.) senza tener in alcun modo conto della reale sostenibilità di tali scelte (come senza tener conto del principio di uguaglianza e pari opportunità che doveva essere assicurato attraverso il ricorso a procedure di selezione realmente trasparenti in luogo delle forme opache in molti casi utilizzate). Non a caso il settore pubblico italiano è uno dei più costosi (in rapporto all'incidenza sulla spesa ordinaria pubblica) ed inefficienti (in rapporto alla produzione per unità lavorativa) d'Europa. Iniquo anche nei confronti degli stessi lavoratori pubblici assunti per reali meriti e capacità e che quotidianamente si impegnano (mal pagati) anche per svlogere il lavoro di chi è stato assunto in esubero e che non dispone nè di adeguate capacità, nè di adeguata idoneità (basta vedere l'altissimo numero di personale pubblico che svolge mansioni limitate rispetto a quelle per le quali è stato assunto, dato che sin dalla selezione iniziale non aveva le caratteristiche psico-fisiche necessarie al ruolo chiamato a ricoprire e nonostante ciò ugualmente immesso in ruolo) o volontà/motivazione (quando si è assunti per "raccomandazione" difficilmente si è realmente motivati a lavorare sodo, specie se "de facto" il posto di lavoro è intoccabile, anche se non si lavora e financo si commettono irregolarità o illeciti). Quindi, su questo divergo dalla posizione dell'ing. Ceci, non si tratta di dover ingoiare qualcosa (per vendetta o rivalsa o comunque per una decisione arbitraria dell'attuale Governo), ma si tratta di un'operazione di giustizia sociale (in termini di sostenibilità e parità di opportunità) verso i cittadini tutti di questo Stato, che per la Costituzione godono di pari diritti (oltre che di pari doveri) e le cui opportunità e tutele non devono essere limitate perchè ingiustamente taluni percepiscono uno stipendio pubblico immotivato e/o arbitrariamente assegnato. Ha invece ragione l'Ing. Ceci nell'evidenziare che sia i politici locali che i sindacati tendono ad eludere il problema rischiando così di fare un pessimo servizio proprio a chi vorrebbero tutelare (i dipendenti pubblici). Anche in questo caso l'unica soluzione reale è adoperarsi per favorire la nascita di nuove imprese e nuovi posti di lavoro, indirizzando le poche risorse disponibili in questo ambito anzichè continuare a dissiparli in azioni difensive inefficaci nel medio-lungo periodo. Ma a quanto pare politici e sindacati sono troppo concentrati nel difendere lo status-quo (con i relativi privilegi in termini di ruoli, incarichi, indenità o compensi vari) per aver davvero a cuore il destino futuro dei lavoratori.