Tralasciamo le stucchevoli polemiche sulla tuta e l’abbigliamento, come se un allenatore dovesse per forza presentarsi sempre in giacca e cravatta.

Tralasciamo i suoi trascorsi napoletani, che inevitabilmente, a causa della formidabile rivalità che esiste fra le due squadre, creano non pochi malumori fra i tifosi juventini.

E tralasciamo anche gli esagitati, gli estremisti e coloro che insultano chiunque non la pensi come loro o compia scelte che loro non comprendono perché non abbiamo tempo da perdere con le “legioni di imbecilli” di echiana memoria cui i social network hanno fornito una platea assolutamente immeritata.

Prendiamo Maurizio Sarri e analizziamolo con la dovuta lucidità. Sarri è un tecnico speciale, una di quelle figure che fanno bene al calcio, specie in questa stagione dominata dall’ignoranza e dall’arroganza. Innanzitutto, è un uomo colto e che legge molto, uno che ha lavorato in banca e non si è mai montato la testa. E poi è davvero una persona che viene dal basso, figlio di un operaio dell’Italsider, di estrazione umile e mai dimentico delle proprie origini.

La grandezza di Sarri, se vogliamo la sua unicità, è che volendo compiere un paragone juventino si ricollega alla tradizione degli anni Settanta, a quella Juve operaia, fatta di fame e di sudore, di campioni per lo più meridionali e di un capitano, Beppe Furino, che non aveva nulla a che spartire con il divismo che già all’epoca faceva capolino nel mondo del calcio.

Maurizio Sarri è l’antidivo per eccellenza. Un tipo schietto, a tratti rude, al contempo simpatico e scontroso, e non sembri una contraddizione perché i due aspetti nel personaggio convivono a meraviglia, difficile da comprendere ma capace di donare gioia a chiunque abbia avuto la fortuna di veder giocare le sue squadre.

È un allenatore assai più duttile ed eclettico di quanto non si pensi, e molti strumentalmente non dicano, e un protagonista in grado di far rumore senza mai scadere nell’eccesso. Ma, soprattutto, ed è il motivo per cui gli voglio bene sin da quando ho cominciato ad assistere alle partite del suo Empoli, è uno che conosce la polvere, i campi delle serie minori, gli stipendi da impiegato e quelli da dilettante; è uno che ha vissuto per trent’anni nel mondo del calcio senza mai smarrire la propria autenticità, che si trattasse dello Stia, del Tegoleto o della Serie A.

Sarri è uno che, prima di arrivare ad allenare CR7, ha affrontato una gavetta che avrebbe indotto chiunque altro a desistere, senza mai rinunciare alle proprie convinzioni, ai propri sogni e al proprio modo di essere.

Non è Guardiola e nemmeno Zidane, e fino a qualche anno fa stadi come il Bernabéu, il Camp Nou e l’Old Trafford li vedeva in televisione. Non è mai stato un fuoriclasse, non ha giocato con i migliori al mondo, non è mediatico e, a causa della sua schiettezza e del suo rifiuto di ogni ipocrisia, si è procurato un’agguerrita schiera di nemici che lo attendono al varco e non vedono l’ora che metta un piede in fallo. Proprio per questo, il figlio di un operaio (caratteristica che lo accomuna a Scirea), senza una grande storia alle spalle, accolto dallo scetticismo generale, non certo dotato di un DNA juventino, per anni sulla panchina di un prestigioso club avversario e considerato monolitico nelle sue convinzioni, peraltro tutt'altro che infondate, proprio per questo può ottenere risultati straordinari.

Maurizio Sarri, il figlio del nulla e della dedizione, della fatica, della sofferenza e di un apprendistato lungo mezza vita, quest’uomo spigoloso e tenerissimo, capace di dire spesso verità scomode e di mettere a tacere i maligni con la sola forza dei risultati, dieci anni fa non era nessuno o quasi. Stiamo, dunque, attenti alla sua Juventus perché può vincere tutto. e, cosa ancor più importante, diventare un esempio e un modello per quanti, a loro volta figli del nulla, magari decidono di mettersi in gioco, trovando un’occasione di riscatto là dove altri, troppi altri, avevano visto il deserto delle speranze e delle illusioni.

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