di Gian Filippo Della Croce

PERUGIA - Ma in Italia il lavoro ha ancora un valore? Non soltanto etico e morale ma anche economico, dal momento che i redditi da lavoro sono in caduta libera così come il welfare che del lavoro è il pilastro sociale, conquistato da lotte e intese dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali con controparti avvedute e responsabili. Una volta anche la politica era tra queste, oggi non più, si limita soltanto a registrare passi avanti o indietro dei “professori” messi al governo da politici troppo pavidi per affrontare la complessa serie di emergenze in cui è coinvolto il Paese.

Gli interrogativi più comuni che alimentano la conversazione politica attuale sono quelli relativi al “quanto durerà?”, parlando del governo naturalmente, perché tanto non c’è nient’altro di cui discutere. Intanto l’ISTAT certifica che i salari italiani non sono stati mai così bassi da dodici anni a questa parte e nel Paese cresce il dramma sociale della disuguaglianza alimentato dalla forbice sempre più divaricata fra crescita dei salari e dell’inflazione, infatti i primi sono cresciuti del 1,4% mentre la seconda del 3,3% e continuerà a crescere, mentre il lavoro diminuisce di quantità e di qualità e rappresenta sempre di meno quel valore, quel punto fermo nella vita di ognuno di noi, dove ognuno cercava di dare il meglio di sé per migliorare la sua posizione sociale.

Insomma il lavoro, era una volta anche un ascensore sociale a disposizione di chi facendo valere le proprie capacità e la propria professionalità era così in grado di migliorare la sua posizione . Poi lentamente capacità, professionalità, talento non costituirono più valori, anzi divennero ostacoli a fronte di una società lanciata verso il successo attraverso ben altre strade:corruzione, clientela, familismo, e quasi tutti pensarono che era meglio così, perché era più facile e soprattutto più veloce e naturalmente permetteva anche di scegliersi il tipo di lavoro, meglio se pubblico perché più garantito e generico. Tutto questo ha avvilito il valore del lavoro, anzi dei lavori , che la finanziarizzazione dell’economia globale ha svuotato ulteriormente relegando sempre più la categoria dei lavoratori dipendenti in un ghetto salariale che ora appare senza via d’uscita a meno che la “fase di crescita” promessa da Monti cominci a dare i suoi frutti, che però potranno soltanto maturare se aumenteranno i soldi in tasca ai cosiddetti “consumatori” ,base imprescindibile per riavviare l’economia. Intanto i più ricchi stanno diventando ancora più ricchi e i poveri più poveri, la classe media terreno di coltura di ogni innovazione sociale sta scomparendo, impoverendosi sempre più.

Il governo Monti incaricato di affrontare e magari anche risolvere la difficile situazione nazionale, di fronte alle questioni del lavoro ha scelto la strada di limitare il ruolo della rappresentanza sindacale e di rappresentare come ostacoli alla crescita alcune importanti conquiste del mondo del lavoro, prima fra tutte quell’articolo 18, elemento di garanzia e civiltà nel rapporto fra lavoratori e impresa. Evidentemente il governo Monti pare condividere il crollo dei valori del lavoro e anzi sta dando una mano all’opera di demolizione, così non ci saranno più valori da difendere e quindi il ruolo di chi li ha fino ad ora difesi verrà chiaramente ridimensionato, dopo di che il governo potrà fare le riforme che ritiene opportune mettendo da parte finalmente quei fastidiosi tavoli di concertazione che fanno perdere tanto tempo alla solerte ministra Fornero, mentre la politica sta a guardare.
 

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