Giornalismo, due o tre cose che ho imparato. Cosa guardare, cosa no
di Giuseppe Castellini
Qualche lezione dalla storia
Mi è capitato di rivedere questo filmato (il link è https://youtu.be/L9Sy6BP_CNY), che insegna come non ci si debba fidare delle finte prove di ottimismo e di compattezza che cercano di mascherare ben altre realtà e, a uno sguardo superficiale, magari ci riescono pure. Qui siamo all’assemblea nazionale della Ddr nel 1989, in occasione della visita di Gorbacev, e l’immagine che si vuole inviare è quella di una forza tranquilla, con il regime che mostra di sentirsi sicuro, in sella. Qualche settimana dopo il Politburo sfiducia Honecker, la crisi appare in tutta la sua gravità e in pochissimo tempo si arriva alla caduta del Muro di Berlino e del regime. Tutti quelli che cantano sanno bene che si è alla fase finale dell’agonia del regime - c’erano già state manifestazioni di piazza, il malcontento dilagava e finalmente per la prima volta milioni di tedeschi dell’Est vedevano la possibilità che il regime cadesse - e scommetto che tanti di quelli che cantano compunti sono già pronti a gettare alle ortiche il loro passato, magari cercando di farlo dimenticare, per cercare di transitare verso il nuovo che avanzava velocemente.
Eppure, complice un bel po’ di conformismo anche dettato dalla paura, si partecipava a una scenografia che, qualche settimana dopo, sarebbe apparsa ridicola nella sua inconsistenza. Certo che i comunisti che sostenevano il regime c’erano, come in Italia anche nel 1945, nel tramonto allucinato e tragico del fascismo, c’erano fascisti che ancora guardavano a Mussolini come a un leader carismatico e indiscutibile (vedere il discorso al lirico di Milano e la folla che si accalca intorno a Mussolini) e indiscutibile. Ma erano ormai, in entrambi i casi, una minoranza. Magari una minoranza anche non marginale, ma netta minoranza.
La lezione che deve arrivare è che, per capire come stanno andando le cose e per intuire quali siano gli orientamenti di fondo, teatri, piazze e altri luoghi dove si recitano queste liturgie non servono a un bel niente. Anzi, a un occhio acuto fanno capire il contrario.
Vedo gente che si esalta per un teatro pieno, per una piazza piena, confondendola con l’orientamento che prevale tra i cittadini. Nulla di più sbagliato, chi si fa prendere dall’entusiasmo e ci crede di solito resta deluso.
D’altronde, occhio anche alle piazze piene, che magari riescono a mobilitare pezzi di società, ma che alla prova dei fatti questi pezzi non riescono ad aggregare altri pezzi per diventare maggioranza. “Piazze piene, urne vuote”, commentò sconsolato Nenni dopo il risultato delle elezioni politiche del 1948, quando la Dc conquistò oltre il 48% dei voti e la maggioranza assoluta nel Parlamento, con il Fronte popolare lasciato parecchio indietro.
I casi di sconfitte annunciate. Basta saper guardare e avere la mente libera. Se vedo issare avanti i ragazzini so che si sta già all’atto finale. Avviene sempre così. La discesa di Renzi si poteva leggere anche nelle sue 4 venute in Umbria: dal Capitini al Turreno, al 110Caffè. Quelle due file di giovani studenti da Monti, vestiti da bocconiani
Potrei raccontare decine di casi in cui mi è capitato, per lavoro, di andare in questi posti e poi verificare che era tutta fuffa o quasi. Una di quelle che mi colpì di più fu in occasione del referendum costituzionale. Andai a tre - quattro manifestazioni del ’Sì’ e mi facevano tenerezza quelli che, galvanizzati ad arte dagli organizzatori, credevano davvero di vincere. Io giravo e sentivo l’aria e mi ero fatto l’idea, come molti altri colleghi, che il ’No’ avrebbe vinto, anche se non pensavo che arrivasse praticamente al 60% dei voti. Nonostante avesse i sondaggi in mano, Renzi proclamava ancora a ridosso del voto che la distanza tra il ‘No’ e il ’Sì’ era minima. Mentiva per ragion di patria (la sua), ma in tanti ci credevano davvero, pensando che chissà quali rilevazioni avesse.
Una volta, invece, in un importante elezione comunale non in Umbria, capii come sarebbe andata andando a una convention del sindaco uscente. C’erano medici (tutti pubblici, desiderosi di farsi vedere dagli esponenti del partito allora al governo), un po’ di rappresentanti di associazioni allevate e ingrassate a denaro pubblico dalla maggioranza, dei giovani, esponenti di vari enti pubblici con l’immancabile codazzo, un po’ di precettati con la faccia di quelli che hanno il dubbio se abbiano fatto bene ad esporsi così, giovani poco più che adolescenti, ai quali ogni regime e forza politica in agonia si appella quando sono all’ultima spiaggia (Mussolini che visita reclute giovanissime, le famose immagine patetiche del Furher che passa in rassegna, a pochi giorni dal suicidio, un manipolo di giovanissimi, mentre i cannoni russi sono a qualche centinaio di metri dal bunker). Dissi tra me e me che quella, vista l’assenza della gente vera ma invece la presenza di quella di comodo, di favori o precettata, era una manifestazione che certificava una sconfitta, e non una vittoria. E la sconfitta infatti arrivò, sonante.
Oppure quando alla Sala dei Notari venne Monti, in un clima freddino, mi colpì che le due file davanti erano state coperte da giovani universitari che sembravano tutti in divisa da Bocconiani, ma giovani veri non c’erano. Era chiaro, da quello scenario di partecipazione, che Scelta Civica non avrebbe sfondato.
Come invece bastò andare al Capitini quando Renzi venne a Perugia la prima volta che la cosa era robusta, densa, fondata. E anche la seconda volta al Capitini era chiaro che l’allora sindaco di Firenze avrebbe mietuto consensi. La sala strapiena rispondeva effettivamente al clima che si sentiva tra la gente. Poi Renzi è andato via via calando. La terza volta è venuto a Perugia per il referendum, ma in quella occasione nello scenario meno numeroso del Turreno, scelto per far apparire la scena piena di gente, quando invece era molta, ma molta meno rispetto al quella del Capitini di un anno o due prima. E ad aspettare Renzi fuori il Turreno ci saranno state, sì e no, 30 persone. Infine, dopo la scoppola del referendum, per le Primarie si è scelta la platea ancora più ristretta del 110Caffè dell’Università, con la scusa di un incontro riservato agli studenti (ma invece i papaveri del Pd c’erano a rimpolpare la scena), ma in realtà per il timore di non riuscire a riempire un teatro. Risultato: i votanti alle Primarie si sono dimezzati rispetto a quelle precedenti, che avevano portato Renzi alla segreteria.
Se fossi stato un bookmaker e avessi voluto guadagnare, davanti a quello che sentivo tra la gente e a queste performance (ovviamente ogni volta spacciate per un successo), non avrei avuto dubbi a puntare sul titolo in forte ribasso. Ero certo che non avrei sbagliato e davvero avrei fatto un sacco di soldi. Ma Renzi, al di là delle sviolinate a Marchionne, non era purtroppo un titolo di Borsa su cui puntare al ribasso. Allora notai anche i mass media solitamente più compiacenti erano in imbarazzo, non potendo presentare come un successo ( gli ’aficionados’ ci hanno provato fino alla manifestazione per il referendum al Turreno, ma dagli articoli che scrissero si capiva che lo facevano senza troppa convinzione) quello che in realtà era un fiasco. Andai a leggere i loro articoli e mi resi conto che, pur non volendo e non potendo scriverlo apertamente, anche loro avevano capito tutto ed apparivano rassegnati, rinserrandosi dietro la pura cronaca, senza esprimere un giudizio che invece nella loro testa avevano ben chiaro.
I giovani come ‘carne da cannone’ politica. Anche se non sempre è così, lo è quasi sempre
Basterà, per le prossime elezioni di marzo, guardare le campagne elettorali. Da lì si capirà come andranno davvero le cose. E già, visto che da più di una parte ho visto politici tirare fuori i giovani imberbi mettendoli in primo piano, ho capito che questi politici sono con l’acqua alla gola. Dispiace che i giovanissimi siano usati così, come ‘carne da cannone prima delle sconfitte’. Ma il loro utilizzo è un segnale di quello che questi politici, al di là di quello che dicono, pensano davvero. Ci ha provato anche Alfano, ma l’impresa era una mission impossibile. Qualche mese ha strombazzato ’urbi et orbi’ credo una scuola di politica per giovani, facendo loro credere in un futuro del partito. Qualche mese dopo Alfano, a cortissima di politica e di voti, si toglie dalla scena. E i giovanotti che ci avevano creduto? Chissenefrega, si sarà pensato.
Non sempre, tuttavia, i giovani sono stati docili agnelli di disegni in cui dovevano svolgere il ruolo di specchietto per le allodole, da cui però nella storia della Repubblica nessuno alla fine si è fatto abbagliare. In alcuni momenti i giovani sono stati davvero protagonisti. Nella Rivoluzione francese, ad esempio, molti dei leader rivoluzionari avevano poco più di 20 anni. O nel Sessantotto, in cui in tutto l’Occidente i giovani furono davvero protagonisti. Ma non mi sembrano quei tempi. I nostri tempi sono molto più modesti.
Sul fenomeno Cinque Stelle noi giornalisti abbiamo avuto la testa piena di conformismo, che ci ha annebbiato la testa e i sensori
Sarebbe bastato andare in una delle piazze riempite da Grillo, e sentire che ’suonavano’ a pieno, per farsi venire il sospetto che i pentastellati nelle elezioni del 2013 avrebbero ottenuto un risultato ben al di là di quello che veniva assegnato loro dai sondaggi (presero infatti 5 punti percentuali in più di quello che davano le rilevazioni).
Qui noi giornalisti, pur percependo un fenomeno in crescita, ci dimostrammo piuttosto conservatori e parecchio conformisti. Nessuno di noi volle capire quello che stava accadendo. Troppo conformismo, che riempie la testa di fesserie e che è sempre teleguidato dai ceti che si avvantaggiano della situazione esistente e che normalmente hanno anche leve importanti per provare a confondere i loro interessi con la realtà, alla fine appanna la vista della mente e in conclusione, quando la realtà presenta il conto delle cose, ti fa sentire come un fesso ingannato. Quella anche per me fu una lezione e mi dicevo come avevo potuto non capire quando i segnali c’erano tutti. L’ho considerata un’altra lezione di vita sulla necessità, se si fa questo mestiere, di tenere la mente sempre ben sveglia e sentire una lampadina accesa quando il conformismo penetra.
Fregandosene dei ‘consigli’, sempre interessati quando non proprio ‘pelosi’, di chi vuole usarti per proporre un’immagine della realtà funzionale al suo tornaconto.
Gentiloni a Fontivegge, venuto per una causa nobile ha trovato che la gente non c’era. Un’ingiustizia, che però manifesta a quale livello sia giunta la distanza tra Paese legale e Paese reale. Una distanza che peser molto nel voto di marzo per le Politiche è che è frutto di un ceto dirigente inadeguato
Giorni fa è venuto Gentiloni a Perugia per una cosa nobile, l’impegno a far risorgere la zona di Fontivegge, operazione per la quale sul piatto ci sono 36 milioni di euro. Nonostante questo, andate a vedere i video dell’arrivo (io l’ho visto, così per fornirvi un riferimento, sul sito di Umbria24). Non c’è praticamente nessuno, la gente cammina, dà una sguardo e se ne va e anche nelle foto di Gentiloni al Broletto l’unica piccola folla presente è quella degli amministratori dell’Umbria e delle altre rappresentanze delle istituzioni.
Uno spettacolo triste e, vista l’occasione, anche ingiusto. Ma la dice lunga sul distacco ormai totale tra Paese reale e Paese legale, sulla freddezza verso un ceto dirigente - non solo politico - che complessivamente, con le dovute eccezioni, è quello di più basso livello che - proporzionati ai tempi - la Repubblica abbia mai avuto. Il risultato, che non è solo frutto delle dura recessione che ha subito l’Italia e che l’Umbria ha subito quasi il doppio rispetto alla gi tragica media nazionale, è che questa freddezza e questo disincanto sono profondi. Freddezza e disincanto che certo non si dissolveranno nei tre mesi che ci separano dalle elezioni politiche, che peseranno moltissimo sul voto e che potrebbero riservare molte sorprese nelle urne. Nonostante il tanto fumo che ai alzerà per non farci vedere bene.
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