Di Ciuenlai – Non lo fanno loro, che dovrebbero, allora proviamo a farlo noi. Stiamo parlando di uno straccio di analisi sui perché di una rivoluzione e dell’apertura di un vero dibattito sulla catastrofica crisi del Partito Democratico Umbro. In pratica della storia degli ultimi 80 anni di questa regione. Comincio io, poi seguiranno altri.  

Nonostante le sonore sconfitte di questi anni, non è stato cercato (e quindi trovato) non dico un antidoto, ma nemmeno un pannicello caldo . Si vive ancora alla giornata pensando che le cose possano aggiustarsi da sole e che la “tradizione” alla fine abbia la meglio.  Una tradizione che , di fatto, non c’è più e che, anzi, sta cercando altri lidi (spesso scoprendo tristemente che è alla ricerca della mitica “Isola che non c’è”). Il poco consenso che rimane è dato dai residui del grande sistema di potere messo in piedi tra la fine e l’inizio dei due millenni. 

Partito + Sindacato + associazioni di categoria e di massa (tipo Arci), Cooperazione, legati in modo diretto alla gestione della cosa e della spesa pubblica. Un sistema che , da tempo, non è  più in grado di garantire le vecchie e tranquillizzanti “percentuali bulgare”. Non è in grado perché le risorse disponibili non riescono più a soddisfare i grandi appetiti di questa  gigantesca macchina del consenso. E’ saltato il sistema economico/clientelare che aveva preteso di sostituire la grande crisi industriale degli anni 80, costata solo al capoluogo, migliaia e migliaia di posti di lavoro,  con il modello chiamato ”Calce e carrello” (edilizia e commercio), modello sostenuto da una abbondante spesa pubblica e  dalle scelte dei governi locali. All’inizio la “ciccia per gatti”  riusciva a coprire la gran parte delle richieste . Poi, con i drastici tagli della spesa pubblica , si è dovuti passare al sistema delle scelte, sempre più selettive e sempre meno remunerative. E ogni scelta escludeva qualcuno degli antichi beneficiari e procurava una diminuzione dei consensi. 

L’allarme “rosso” era suonato già nelle elezioni amministrative del 2009. E’ li che è finita l’epoca della “Bulgaria”. Ma eravamo, allora, in pochi (e bistrattati) a suggerire una simile lettura. E invece, per la stragrande maggioranza del Partito Democratico,  le elezioni al primo turno, con percentuali di poco superiori al 50%, di Boccali e di Guasticchi al Comune e alla Provincia di Perugia, furono salutate come un “grande successo”. La verità era che il centrosinistra aveva perso circa 12 punti e aveva inconsapevolmente e  colpevolmente iniziato” l’impensabile” stagione della contendibilità,  che, da allora in poi,  ha portato  decine di comuni sotto la cappella del centrodestra. 

Nessuna riflessione sui devastanti effetti del combinato disposto tra la perdita  del’elettorato non più “servito” dal sistema di governo e di quello legato al voto ideologico e/o di lista , che cominciava ad emigrare verso l’astensionismo prima e verso altri lidi poi (Lega e 5 stelle). 

Nessuna riflessione sul fatto che la democristianizzazione (leggi correntismo diffuso dal centro alle più remote periferie e legato al sistema dei capobastone) e l’americanizzazione (le primarie fatte solo sullo scontro tra persone come elemento di pura divisione), avevano cambiato i connotati di  una sinistra un tempo  struttura collettiva e oggi succube di liberalismo, liberismo e individualismo sfrenato. 

Una dimensione nuova nella quale, quelli provenienti dalla cultura del “Comitato Centrale” hanno provato prima a governare e poi a sopravvivere, senza riuscirci. Semplicemente perché non avevano i “fondamentali” per farlo. Ecco perché, di fronte a questi segnali di sfacelo, non c’è stato  un sussulto, una ribellione,  ma  solo una generalizzata alzata di spalle. Perché erano tutti (e sono tutti) impegnati a salvaguardare se stessi e  i piccoli e grandi privilegi che la politica concede. E non si tratta solo  del mantenimento del potere. Perché l’incapacità a reagire è continuata anche dopo, anche adesso, che quasi “tutto è perduto”.  

La ragione è semplice ed è terra a terra. C’è una larghissima parte del sedicente gruppo dirigente, che si adatta alla situazione e si accontenta di  tenere stretto con le unghie e coi denti  il poco che si può trarre dai  piccoli vantaggi dello stare all’opposizione e nella  gestione di un partito dimezzato, ma ancora consistente.  Ed è qui che emerge la triste verità. 

Il Pd non è un partito. E’ una sigla elettorale sotto la quale si sono rifugiati esponenti provenienti da esperienze politiche diverse,  che avevano un unico scopo : gestire il potere. Il partito , in quanto soggetto collettivo non è mai esistito, anzi non è stato mai cercato. Tutto si è piegato alle logiche di corrente e dei capobastone.  E così  la grande organizzazione e presenza nel territorio costruita in primis dal Pci, ma anche da alcune componenti socialiste e cattoliche è andata a farsi fottere. Un dato per tutti. Il Pd a Perugia ha ancora 28 circoli. Solo il Pci ne aveva, a metà degli ani 80, una cinquantina, tra sezioni e cellule forti (quelle con più i 50 iscritti). Ma il problema non è solo quello della forte riduzione della presenza sul territorio. Nel capoluogo si è passati infatti dai 10 mila aderenti di una volta a poco più di mille (i dati attuali li ho avuti da un dirigente pd, ma non sono ufficiali. Quelli non li sa nessuno, perché i siti piddini non li pubblicano). Che senso ha quindi avere 28 circoli con poche decine di iscritti molto spesso fatti dai “traffichini” di componente, talvolta persino a “loro insaputa”. Nessuno! Il risultato è che, salvo rare eccezioni, siamo quotidianamente di fronte a 28 porte chiuse . Attività zero virgola . 

I segretari, non sono segretari di partito, ma segretari di corrente e si attivano solo se c’è da portare voti e preferenze alla componente  alle primarie o alle elezioni. Questo perché i congressi si tengono, come detto, sulle persone e non sulle ide e sulle cose. Il risultato è che un progetto Umbria non esiste da anni. Non c’è perché nessuno lo cerca. C’è altro da fare. A Perugia si insegue un candidato, a Terni un segretario, a Foligno un sostituto e a Orvieto un miracolo e via decadendo. 

Tutti segnali di crollo imminente, in uno scenario nel quale è praticamente impossibile fare opposizione senza aver fatto i conti con gli errori degli ultimi 25 anni.  Ma farlo significherebbe spazzare via tutto quello che c’è oggi, persone comprese. Improbabile se non impossibile in una situazione nella quale non si ha più  notizia di valori come  il bene comune. Non c’è neppure un Godot da aspettare, perché un qualsiasi Godot fa paura ed è meglio evitarlo. Il Pd quindi sta morendo di consunzione, spolpato da chi avrebbe dovuto rimetterlo in carne. Un corpo putrefatto difficilmente risorge. Forse, cominciano a pensare in diversi, è meglio farne nascere un altro. Ma come e con chi? E’ una bella domanda.

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