Le bugie di Monti (quasi) peggiori delle sue riforme

di Leonardo Caponi
PERUGIA - E’ paradossale dirlo, ma le cose peggiori del governo Monti non sono quelle che fa, ma le bugie che racconta per giustificarle! Questa cosa secondo la quale l’accesso al lavoro dei giovani precari sarebbe impedito dal blocco dei lavoratori “garantiti”, è semplicemente immorale e ripugnante. Prima ancora che un rifiuto politico (come giustamente pare stia facendo, per fortuna, la CGIL) dovrebbe suscitare, in tutte le persone perbene, una rivolta di carattere culturale ed etico! Ipocritamente dicono di fare le riforme in nome dei giovani, ma in realtà li mettono contro i padri e i nonni e, come ha sempre fatto il capitale nella sua storia, scatenano guerre tra i poveri per coprire le loro malefatte e la difesa dei loro privilegi. A parole vogliono, spalleggiati da un Capo dello Stato che spende la sua autorità morale per una cattiva causa, la coesione sociale e nazionale: ma in realtà seminano divisione e conflitti nel mondo del lavoro, nella società, nelle famiglie. Si ripete, per il mercato del lavoro, la storia della sedicente riforma delle pensioni: per favorire l’accesso al lavoro dei giovani, si ritarda l’età della pensione per i padri, tenendo così più a lungo occupati i posti disponibili! E pretendono che si creda a questa storia!
La riforma del mercato del lavoro non contiene niente di buono. Nemmeno nella parte che, con l’omai solito ipocrita eufemismo, è chiamata la “flessibilità in entrata”. In realtà non c’è lotta alla precarietà!: c’è soltanto una “razionalizzazione” delle forme della precarietà!
Non ci sono risorse finanziarie aggiuntive e non è vero che gli ammortizzatori sociali vengono estesi a tutti, anche a coloro che oggi ne sono esclusi. La tutela dalla disoccupazione comincia a passare dalla fiscalità generale ad una forma di sussistenza privatistica (la famosa Assicurazione) stipulata tra impresa e singolo dipendente. La disoccupazione non è più un problema sociale, comincia a diventare un fatto individuale, una sorta di disgrazia personale di chi, purtroppo, ci incappa: addio solidarietà, visione comune; ognuno si ritrova solo con se stesso ed in quanto tale è più ricattabile e sottomesso al centro di potere, sia esso impresa o che altro, che potrà così imporre la soluzione a se più conveniente o non imporre nessuna soluzione.
I contratti a termine dopo tre anni dovranno essere regolarizzati. Ma, tre anni, vi sembrano pochi!? E, in ogni caso questa norma ha pronta la scappatoia della “riforma” dell’art.18 che, con la facilità di licenziamento, compensa il vincolo, se lo è, di cui sopra.
La colonna portante della riforma Monti Fornero diventa l’apprendistato. E’…tutto dire! Chi, aihmè, comincia ad avere una certa età, ricorda che la lotta per il superamento dell’apprendistato (tipico contratto dell’epoca democristiana nella prima repubblica) fu una battaglia storica del sindacalismo del tempo; poiché con l’apprendistato (e le agevolazioni normative e contrattuali previste per le imprese) si mascherava in realtà una occupazione “piena” dal punto di vista del rendimento produttivo, ma pagata meno e ancor meno tutelata. Oggi tornerà così. E poi, l’apprendistato, figlio di un’altra epoca, serve, come dice la parola stessa, a “imparare un mestiere”: ma a che serve oggi, quando loro stessi dicono che il posto fisso e la professione stabile vanno aboliti dall’orizzonte occupazionale dei giovani?!
Quanto poi alla “flessibilità” in uscita (art.18) che rendendo più “dinamico” il mercato del lavoro, servirebbe ad aumentare l’occupazione, la “panzana” raccontata oltrepassa la soglia dell’improntitudine. Una maggiore libertà a licenziare non funziona mai, ma tanto meno è destinata a funzionare in una fase economica, come quella attuale, in cui, dovunque, nelle imprese ma un po’ dappertutto, tutti gli sforzi sono puntati a ridurre l’occupazione. Una impresa vale tanto più, quanto meno dipendenti occupa! E’ evidente quindi che una maggiore libertà di licenziare non darà nessuna “nuova opportunità”, ma farà soltanto perdere il lavoro a chi ce l’ha.
Il sindacalismo dei nostri padri, quello che ha consentito conquiste fondamentali ai lavoratori italiani e la realizzazione di un avanzato sistema giuslavoristico nel nostro Paese, ci ha insegnato che ci sono fasi nelle quali, per estendere le garanzie ai più deboli, è necessario difendere le condizioni di altri che, apparentemente, possono sembrare “privilegiate”. E’ il momento di rispolverare questa lezione, per trasmetterla ai giovani e costruire un movimento contro questo governo di bugiardi e truffatori.

Mercoledì
21/03/12
19:32
Non solo, ma con quell'aria da maestrini ci prendono pure in giro. La storia, riportata da tutte le agenzie, che, bontà loro, hanno esteso anche alle imprese sotto i 15 dipendenti il reintegro in caso di licenziamento discriminatorio è una bufala, in quanto è già previsto da una legge del 1990, così come altra bufala la storiella che dopo 36 mesi di tempo determinato continuativo scatta l'assunzione a tempo indeterminato. E' già previsto dalla normativa vigente, da un decreto legislativo del 2000. Professoressa Fornero e professor Monti ma ci state prendendo tutti per fessi.
Giovedì
22/03/12
17:52
Sul lavoro il governo mente. Lo ha detto un gruppo di giuslavoristi in una nota diffusa dalla Cgil dell’Emilia Romagna. Secondo i giuslavoristi sarebbero state «false» le affermazioni diffuse dagli organi d’informazioni secondo cui «il Governo Monti, per far digerire la pillola delle modifiche peggiorative a tutele esistenti per i lavoratori, avrebbe prospettato l'esistenza di due interventi nell'...opposta direzione».
«IL GOVERNO MENTE». I due provvedimenti a cui si fa riferimento sarebbero «l'estensione alle imprese sotto i 16 dipendenti dell'istituto della reintegra in ipotesi di licenziamento discriminatorio; la previsione secondo cui i contratti a tempo determinato non potranno essere reiterati per più di 36 mesi, convertendosi, oltre tale limite temporale, in contratti a tempo indeterminato».
«Entrambe le affermazioni sono false» hanno scritto i docenti Umberto Romagnoli, Luigi Mariucci, Piergiovanni Alleva e Giovanni Orlandini assieme a una cinquantina di noti legali di tutta Italia, «in quanto tali disposizioni già esistono nel nostro ordinamento».
NESSUNA TUTELA IN PIÙ. La prima, hanno sostenuto i giuslavoristi, è contenuta nell'art.3 della legge 108/90, che testualmente dispone: «Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300».
La seconda, sempre secondo il documento diffuso dalla Cgil, è disciplinata «dall'art. 5 comma 4 bis del Dlgs. 368/01, il quale recita: 'Qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto ed un altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato'».
Mercoledì, 21 Marzo 2012