Anche l’iniziativa pubblica, svoltasi l’8 febbraio presso il Museo civico di Nocera Umbra, ha confermato una situazione economica sempre più insostenibile nella fascia appenninica umbra.

Un'area che va da Scheggia a Valtopina, passando per Gualdo Tadino, Gubbio e Nocera Umbra, di circa 75 mila abitanti, è colpita contemporaneamente da una crisi industriale tutt’altro che conclusa, da un nuovo e progressivo processo di diminuzione di abitanti e dalla mancanza di un progetto di sviluppo che contrasti lo stato di cose esistenti.

La crisi economica ed industriale si è trasformata in recessione e stagnazione. Dopo la chiusura dell’Antonio Merloni (1500 dipendenti persi più l'indotto), il dimezzamento degli addetti della ceramica di Gualdo Tadino e le attuali difficoltà della Tagina, il crollo dell’edilizia che ha più che dimezzato i volumi produttivi di Colacem e Barbetti a Gubbio, non c’è nessun processo di reindustrializzazione dell’area, anche parziale, che sia sostanzialmente decollato.
La stessa vicenda J.P. Industries-Porcarelli, aldilà delle controversie giudiziarie felicemente risolte, al momento non da certezze per una ripartenza reale dell'azienda e per l'impiego dei 300 lavoratori ex Merloni riassunti.
Inoltre anche in Umbria si parla tanto di salario sociale ma va ricordato che ci sono ancora 200 lavoratori di Gaifana sotto i 40 anni rimasti senza alcun ammortizzatore e quindi oggi a reddito zero. In sintesi la crisi ha praticamente azzerato la presenza industriale nella fascia appenninica con 5 mila posti di lavoro persi: di fatto un altro terremoto dopo quello del 1997 che si è abbattuto su un territorio dove non s'intravedono segnali veri di ripresa.

La fascia appenninica ha ricominciato a perdere abitanti. Molti lavoratori extracomunitari impegnati nell’edilizia che avevano contribuito alla ricostruzione e che successivamente si erano positivamente integrati grazie alle politiche di accoglienza di sindaci illuminati, ricordiamo tra gli altri quello di Gualdo Tadino Rolando Pinacoli, sono progressivamente andati via da questo territorio. E si tratta, sia chiaro, di una sconfitta. Inoltre alcune centinaia di nostri connazionali hanno ripreso progressivamente ad emigrare, oggi senza la valigia di cartone ma pur sempre alla ricerca di un lavoro e di una vita dignitosa, soprattutto verso la Francia e il Lussemburgo.
Un nuovo processo di spopolamento quindi, pur se graduale, è in atto. Vorremmo e dovremmo contrastarlo, anche per evitare ai nostri figli e nipoti l'inaugurazione di una altro museo dedicato ad un ulteriore esodo del terzo millennio. Su questo versante la fascia appenninica ha già dato. Basta e avanza quello già presente a Gualdo Tadino, intitolato a Pietro Conti, che ricorda l’emigrazione degli anni ’40 e ’50 e degli inizi del 900.

Va costruito un progetto concreto per contrastare la crisi economica attuale e per ripartire. Nella fascia appenninica esistono idee, uomini, donne e risorse da valorizzare. Una proposta seria e credibile che punti al rilancio produttivo delle piccole e medie imprese e alla valorizzazione dell’ambiente e del territorio. In questo senso l’accordo di programma tra governo nazionale e regioni Umbria e Marche, con i 35 milioni non spesi, non puo’ rimanere sulla carta. Quelle risorse vanno utilizzate per creare imprese e lavoro. Inoltre va riattivato il percorso che ha visto protagonista anche l’ex ministro Fabrizio Barca, relativo alle zone interne della penisola italiana e che quindi riguarda direttamente e con priorità tutto il territorio della fascia appenninica.

Il tempo delle chiacchiere è scaduto da tempo. Adesso è necessario fare. E' urgente mettersi a lavorare su ipotesi credibili e praticabili di breve e medio periodo.

Mario Bravi

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