di Fabrizio Ricci, da www.rassegna.it - Il borgo medievale di Spina è il tipico esempio di quello che un turista, in particolare uno straniero, cerca nel nostro Paese. Un Castello, vecchio quasi mille anni, con le torri, gli archi, le mura fortificate, i vicoli stretti e scoscesi. E soprattutto con la gente ad abitarci dentro e a mantenerlo vivo. Da poco più di un anno però nell'antico borgo di Spina, frazione del Comune di Marsciano, a 10 chilometri da Perugia, ci vivono solo gatti randagi. Il Castello è deserto e sta cadendo a pezzi, da quando il 15 dicembre del 2009 un forte terremoto (4,4 gradi sulla scala Richter) lo ha gravemente danneggiato costringendo tutta la popolazione che lo abitava ad andarsene via. Gli sfollati sono in tutto 565 e i danni calcolati si aggirano intorno ai 350 milioni di euro. Oltre a Spina sono stati colpiti diversi altri paesi del circondario e in modo particolare San Biagio della Valle, Sant’Apollinare, Castiglione della Valle, e Pieve Caina. Insomma, un’area significativa della Media valle del Tevere. “La zona è comunque piccola, in tutto ci vivono meno di 10mila persone, ma i danni sono stati enormi. Per fortuna però non ci sono stati morti e questo forse ci ha condannati ad essere terremotati che non fanno notizia e di cui quasi subito tutti si sono dimenticati, anche a pochi chilometri da qui”. A parlare è Ruggero Zaganelli, presidente del “Comitato terremotati 15 dicembre”, un'associazione di cittadini (quasi 500 gli aderenti) nata proprio per sensibilizzare le istituzioni e i mezzi di informazione sulla situazione di questi terremotati “di serie B”. Persino i parlamentari umbri, racconta Zaganelli, non erano informati sulla situazione. “Quando li abbiamo contattati la prima volta pensavano parlassimo del terremoto del '97, non avevano idea della gravità della situazione”. Eppure i danni, come detto, sono stati ingenti e non soltanto da un punto di vista economico. Se prima infatti il tessuto sociale di questo piccolo paese era tutto concentrato in poche centinaia di metri, ora la popolazione sfollata è sparpagliata a chilometri di distanza. Le scuole sono state “salvate”, nel senso che sono rimaste a Spina, ma due asili nido hanno chiuso e molte attività economiche sono in seria difficoltà per il venir meno della clientela abituale. Dentro al Castello poi è rimasto aperto un unico esercizio commerciale, un negozio di fiori, ma solo perché l'ingresso dà sull'esterno e i danni subiti sono stati limitati. “Di questo passo - spiega Antonio Pampanella, spinaiolo sfollato insieme ai figli e ai nipoti, che ora vive in affitto a qualche chilometro di distanza – il paese rischia di morire. Se non si fa in fretta a riportare le persone, soprattutto i giovani, nelle loro case, qui la gente se ne va per sempre”. Il pericolo, dunque, è proprio quello che lentamente, con il passare del tempo, il paese si smembri sempre di più, perdendo i suoi abitanti e quindi mandando ulteriormente in crisi il tessuto economico, di per sé già debole e messo a dura prova dalla crisi generalizzata. Per evitare questo sarebbe necessario un intervento pubblico immediato, tale da rassicurare la popolazione sulla possibilità di investire in un futuro a Spina e negli altri paesi colpiti. Ma a più di un anno dal sisma, la situazione è invece ferma al palo e non si è andati oltre le prime operazioni di messa in sicurezza. Solo nei prossimi mesi si dovrebbe partire con la ricostruzione leggera, ma per quella pesante, che interessa la maggior parte degli sfollati, non si ha ancora alcuna certezza. E soprattutto non ci sono i soldi. “Il problema fondamentale è che le risorse stanziate dal Governo sono irrisorie – afferma ancora il presidente del comitato terremotati Zaganelli - allo stato attuale a fronte dei 350 milioni di euro stimati sono stati finanziati 15 milioni per i primi interventi a favore delle scuole, l'autonoma sistemazione e la ricostruzione leggera. Poi, la legge di stabilità approvata recentemente dal Parlamento ha previsto altri 6 milioni di euro nel biennio 2011-12. Risorse assolutamente insufficienti per attivare la fase della ricostruzione vera e propria". Anche il sindaco di Marsciano, Alfio Todini, ha più volte ribadito che gli stanziamenti governativi “non consentono neanche quel minimo di programmazione degli interventi necessari a restituire una prospettiva di normalità” a questo territorio. Ma le cose stanno così: molto semplicemente i soldi non ci sono e non arriveranno in tempi brevi. Lo ha ribadito in maniera chiara nella sua recentissima visita Spina, lo scorso 29 dicembre, il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli: “E' troppa la disparità tra i 15 milioni di euro messi a disposizione e i 352 richiesti”, ha riconosciuto il successore di Bertolaso, ma, ha aggiunto, “non so quanto le risorse necessarie siano reperibili nell'immediato”. In ogni caso, la visita di Gabrielli, accompagnato da tutte le istituzioni umbre nelle zone più danneggiate di Spina e San Biagio della Valle, anche all'interno degli edifici lesionati dalla scossa del dicembre 2009, ha riacceso una speranza nell'animo dei terremotati. Una speranza che lega il destino di questo territorio e dei borghi colpiti a quello di L'Aquila. “Noi non vogliamo certo fare paragoni – chiarisce subito Ruggero Zaganelli – perché siamo consapevoli dell'enorme differenza che esiste tra la nostra disgrazia e quella degli abruzzesi. Ma se, come pare, il Governo si orienterà a garantire uno stanziamento pluriennale di lungo periodo per L'Aquila, allora crediamo che ci possa essere spazio per una soluzione analoga anche per noi. D'altronde – osserva ancora il presidente del comitato dei terremotati di Spina – a noi basterebbe una goccia rispetto a quello che occorre per L'Aquila”. Insomma, quello che chiedono i terremotati di Spina e dintorni e di non dover restare fermi. Fermi e invisibili come sono stati finora. Ma nel Paese delle emergenze, tra alluvioni, frane e cumuli di rifiuti, è sempre più difficile farsi ascoltare.

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