Il lavoro logora (pure chi ce l'ha)

Di Fabrizio Marcucci
PERUGIA - La crisi non sono solo le lacrime e il sangue. Anzi. Lacrime e sangue si lavano via. Le vedi a occhio nudo e proprio per questo è più facile metterci mano, anche se fanno male. La crisi spesso ti lavora dentro. E quando ti accorgi delle conseguenze è solo perché il fiume carsico è sboccato in superficie; ma fino a poco prima aveva scavato a lungo nell’oscurità, invisibile quanto inesorabile.
Siamo abituati a computarla in numeri, la crisi. Posti di lavoro persi, quote di Pil erose, fabbriche chiuse. Lacrime e sangue, appunto. Più di rado riusciamo a misurare come ci sta cambiando dentro. Come ci sta ingrigendo, sfiancando; e come il panorama appassito che abbiamo intorno rischia di modificarci a fondo pur senza farci versare lacrime e sangue nell’immediato.
CHI PAGA COSA E COME
Un contributo importante per tentare di dare una forma a quello che non rientra né nella categoria delle lacrime né in quella del sangue arriva da Lorenzo Birindelli, economista che ha curato lo studio sui “Profili professionali delle fasce deboli nel mercato del lavoro” contenuto nel “Rapporto economico-sociale” 2012-2013 dell’Aur (Agenzia Umbria ricerche). Birindelli ci dice quali sono i lavoratori in difficoltà in Umbria. Si tratta di persone che un’occupazione ce l’hanno. Ma che a causa della bassa mansione ricoperta, della retribuzione ottenuta, dell’essere costrette al part time laddove gli servirebbe uno stipendio pieno, dell’essere precari, entrano in difficoltà. È la faccia oscura della crisi, appunto. Che non si vede ma fa sentire a fondo i suoi effetti.
Secondo l’elaborazione di Birindelli, nel periodo 2005-5011 sono passati dal 15,3 al 21,9 per cento i lavoratori umbri «in difficoltà». E tra quelli che l’autore annovera nella categoria «collaboratori» si arriva a una punta di insoddisfazione del 67,6 per cento, due su tre. Un rapporto da cui si capisce bene come il fenomeno sia ben oltre il livello di guardia. Mitigato solo dal fatto che, a differenza di chi la crisi la paga in un’unica soluzione (con la perdita secca del posto di lavoro), questa platea larghissima di società la crisi la sta pagando a rate; ma non per questo viene logorata di meno. Solo, si vede di meno. Ma si tratta di una sorta di illusione ottica.
LA BASE DELLA PIRAMIDE
La fascia di insoddisfatti non è equamente ripartita tra i vari gruppi professionali. Imprenditori, dirigenti e direttori «in difficoltà», sono calati dal 3,3 per cento del 2005 al 3,2 per cento del 2011 in Umbria. Professionisti, docenti e ricercatori insoddisfatti sono sì aumentati, ma di poco. Le categorie all’interno delle quali il livello di difficoltà è cresciuto più sensibilmente sono quelle del “personale non qualificato” - la cui fascia di persone in difficoltà è balzata in sei anni dal 34,7 al 41,2 per cento - degli “artigiani” (dal 12,7 al 21,7 per cento) e degli “addetti alla vendita e ai servizi alle famiglie” (dal 19,9 al 29,5 per cento). È insomma la base della piramide sociale quella che la crisi sta mettendo a più dura prova.
CHI E' FUORI E CHI E' DENTRO
Si tratta di un dato che va a braccetto con quello degli occupati. Alla caduta verticale dei lavoratori umbri con licenza elementare (13mila nel 2012, il dato più basso in assoluto degli ultimi otto anni), e di quelli con licenza media (86mila secondo le rilevazioni dello scorso anno, anche in questo caso il numero più basso dal 2004 a oggi), fa da contraltare l’incremento del numero dei lavoratori con diploma di scuola media superiore (passati da 172mila a 192mila unità nello stesso periodo) e di quelli con la laurea (da 52 a 72mila).
LUCCICA MA NON E' ORO
In verità, anche il numero degli occupati totali in regione è aumentato. Si è passati dai 340mila del 2004 ai 362mila dello scorso anno. Segno che la perdita di posti di lavoro tra coloro con titolo di studio più basso è stata dovuta in parte anche dall’andata a riposo di persone in età da pensione. Ma se si analizza la composizione dei nuovi posti di lavoro, si ritrova un altro pezzo delle ragioni per cui crescono l’insoddisfazione e la difficoltà degli umbri che lavorano. Intanto, va rilevato come sia lontana la punta dei 373mila occupati toccata nell’ultimo trimestre del 2010. Ma è da altri tre dati che si percepisce come chi entra nel mercato del lavoro oggi è meno garantito rispetto a chi ci entrava ieri. O come, addirittura, anche gli ex garantiti possono vedersi scivolare in basso pur mantenendo il posto.
IL MESTIERE DEL PRECARIO
Nello stesso periodo (2004-2012) in cui il numero di occupati in Umbria è cresciuto di 22mila unità, i titolari di un contratto a tempo pieno e indeterminato sono saliti di solo mille unità, da 297mila a 298mila (con un calo drastico di ottomila lavoratori dal 2011 al 2012). Contemporaneamente, è cresciuto a dismisura l’esercito dei part time (da 43mila a 64mila: +48 per cento) e dei contratti a tempo determinato (da 33mila a 40mila: +21 per cento). Eccola, la crisi che non si vede e che lavora sotto la superficie. Ed eccoli, i motivi dell’aumento dei lavoratori «in difficoltà». Non a caso, Birindelli annovera tra essi anche coloro che ottengono un lavoro a termine per non più di sei mesi.
C'E' MA NON SI VEDE
Perdita di ore di lavoro (e quindi di reddito), mansioni giudicate non adeguate alla propria preparazione, tempi e modi di lavoro precari. È costituito da tutto questo il fiume carsico di quella faccia della crisi che, come quella oscura della luna, non si vede ma c’è. Non si vede ma si sente. Rimanendo al lavoro, se si considera solo il transito dal 2011 al 2012, è passata dal 77,9 al 75,5 la percentuale degli occupati umbri «abbastanza» o «molto soddisfatti» della loro condizione; è cresciuta invece dal 19,2 al 20,5 per cento la platea dei «poco» o «per niente» soddisfatti.
IL FIUME CHE TRACIMA
E dal momento che il lavoro è costitutivo della propria posizione all’interno della società, non stupisce che l’insoddisfazione che da lì origina tracimi e invada altri campi. È ancora l’Istat a certificare che - sempre dal 2011 al 2012 - sono diminuiti dal 2,8 al 2,6 per cento gli umbri «molto soddisfatti» della propria situazione economica e sono calati dal 48,3 al 43,6 per cento quelli che si ritengono «abbastanza soddisfatti». Sono invece aumentati sensibilmente i «poco soddisfatti» (dal 35,4 al 36,3 per cento) e ha subito un’impennata la percentuale dei «per niente soddisfatti» (dal 12,4 al 16,6 per cento). E le famiglie che giudicano «ottime» o almeno «adeguate» le risorse economiche a disposizione sono scese dal 59,8 al 57,4 per cento. Al contrario, la platea dei nuclei che le ritengono «scarse» o addirittura «assolutamente insufficienti» si è rimpinguata dal 39,9 al 42,2 per cento.
LA CRISI DENTRO
E fin qui rimaniamo in ambito economico. Ma la crisi rischia davvero di cambiarci dentro, di modificare i rapporti con quello che abbiamo intorno. È lo stesso rapporto dell’Aur a evidenziare come nel corso degli ultimi due anni «l’Umbria è la regione in cui il rischio di criminalità percepito aumenta di più, di quasi 11 punti percentuali». Un disagio che è difficile spiegare solo con la recrudescenza del fenomeno. E che va invece correlato alla perdita di certezze, al generale spaesamento, all’ingrigirsi dei rapporti sociali. Alla crisi insomma, che non è solo lacrime e sangue. Ma che ci lavora dentro e rischia di cambiarci. Magari senza che ce ne accorgiamo.
Dal Giornale dell'Umbria

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