di Agnese Cupido

 

PERUGIA -  Sala dei Notari gremita ieri sera per incontrare Concita De Gregorio (La Repubblica) e Riccardo Iacona (Presadiretta Rai 3). Partendo dall'ultimo libro di Iacona, “Se questi sono uomini” -viaggio attraverso l'Italia per incontrare donne maltrattate e raccogliere le loro testimonianze- si è aperto un dibattito che ha messo in luce un argomento ritenuto ancora da troppi di periferia, ancora troppo spesso taciuto: la violenza sulle donne e il femminicidio.

I toni non possono che essere polemici, in Italia ancora oggi sono troppi i casi di violenza e di omicidio, verso donne che non devono essere considerate solo delle vittime, delle succubi, ma prima di tutto delle eroine perché donne che in qualche modo si sono ribellate e hanno fatto sentire la propria voce.
Un argomento come questo mette in luce il fatto che c'è un'Italia nascosta, un'Italia che Iacona definisce il “nostro Afghanistan”, dove almeno una donna su tre ha subito violenza e complice ne è il nostro Paese, perché non si fa nulla, perché non c'è assunzione di responsabilità da parte delle classi dirigenti, e perciò è in primis in nostro Paese ad accettare il femminicidio. Di fronte alla questione femminile c'è ancora troppo imbarazzo, l'argomento è sentito come questione di genere che mette gli uomini nella condizione di riflettere su qualcosa di “scomodo”. La nostra è una società non pensata per uno stesso numero di uomini e di donne – la De Gregorio apporta un esempio molto calzante a tal proposito, dice: «basti pensare a Montecitorio, dove ci sono 3 bagni per le donne e 33 per gli uomini, non considerando che qui ci sono tante donne per quanti sono gli uomini»-. Tutto ciò si ripercuote sull'opinione pubblica. Sono ancora molti gli uomini convinti che la donna debba stare a un certo posto, che ammettono di rispondere con la violenza per paura di perdere quella donna che è sentita con un oggetto di proprietà, che utilizzano la violenza perché è l'unico strumento forte quanto le parole di una donna che rivendica la propria libertà; molte le donne che ci provano, ma poi si arrendono perché portate a sentirsi sempre nel posto sbagliato e a dover fare un passo indietro.  Questo dimostra che il rapporto tra uomo e donna non si è evoluto, le storie passate di violenze si sono trasformate semplicemente in storie moderne, di ragazzi che uccidono per un commento di troppo a qualche foto su Facebook.
Questi ragazzi, d'altronde, sono figli di una cultura che in Italia si è imbarbarita fortemente negli ultimi vent'anni e che può rifiorire soltanto se il cambiamento di prospettiva parta dalle istituzioni, innanzitutto -leggi e rete di servizi sociali che garantiscono un rifugio per quelle donne che trovano il coraggio di denunciare-, ma anche dalle scuole sin dalle elementari, dove il rapporto tra bambini e bambine poco diverge da quello tra uomini e donne.

A fine dibattito ci si rende conto che c'è molto su cui riflettere e l'impressione di aver imparato qualcosa. Sembra veramente di essere andati alla scoperta di un'Italia nascosta e di aver contribuito a farla emergere. L'uditorio con la sua partecipazione ha in qualche modo mosso i primi passi per una presa di coscienza su quanto sia indietro il nostro Paese riguardo alle politiche di genere in confronto al resto d'Europa e su quanto sia urgente un cambio di rotta. Iacona con il suo libro vuole  farsi portavoce di questa urgenza ed è importante che il campanello d'allarme giunga proprio da un uomo che, fregandosene delle accuse di professare un femminismo ormai anacronistico, crede che qualcosa si possa fare, affinché anche l'Italia diventi un paese per donne.

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