di Elio Clero Bertoldi

 

PERUGIA - La partita di Catanzaro ha messo ulteriormente in luce un'altra qualità di Andrea Camplone, che lo rende, ancor più - lui, un ex Grifone - perugino se non di nascita, almeno di cuore e di mente. O di empatia. La scelta di non togliere un attaccante, dopo l'espulsione del difensore Cangi ("Non ho tolto una punta perché il Perugia non avrebbe più fatto ripartenze, mentre la nostra forza, in fase di possesso palla, erano i due esterni, Fabinho e Politano, entrambi in grande spolvero" - questa la sua spiegazione), lo qualifica come appartenente, per strategia, alla scuola "braccesca".

Nell'arte militare, nel Quattrocento, il nostro grande concittadino Braccio Fortebraccio fu il teorizzatore di una guerra duttile e dinamica, affidata ad eserciti piccoli, ma votati all'estrema mobilità, forti del fattore sorpresa e sempre pronti ad attaccare; l'altra grande scuola di pensiero bellico era rappresentata dagli "sforzeschi" (pure Francesco Sforza, caposcuola di queste teoria insieme al padre, aveva per metà sangue umbro, essendo figlio illegittimo del romagnolo Muzio Attendolo Sforza e di una dama di Marsciano), che davano maggiore importanza alla preponderanza numerica degli uomini da schierare e muovere sul campo, alla superiorità delle loro armi e armature.
Un allenatore "braccesco", insomma, per un perugino, è un vanto ulteriore.
"Griffa, griffa", Camplone, perché "Braccio valente, vince ogni gente".

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