Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Le Idi di Marzo non furono fatali solo a Giulio Cesare, ma, quattro anni dopo, anche ai nostri avi perugini. Vinto il Bellum perusinum per la resa di Fulvia e di suo cognato, il console Lucio Antonio (fratello del triumviro in quel periodo ad Alessandria in Egitto a godersi le grazie di Cleopatra), Ottaviano lasciò andare liberi gli eserciti romani e i suoi capi, arresisi per fame, ma si prese una feroce e agghiacciante, quanto inspiegabile, vendetta sui perugini, che nulla avevano fatto se non aprire le porte della citta' al console in carica e resistere, coraggiosamente, e per mesi, all'assedio di Ottaviano (che non era e non fu mai uno stratega) e delle sue legioni. Il futuro imperatore, allora poco piu' che ventenne, attese tra l'altro diversi giorni e consumo' una strage belluina facendo sgozzare, sugli altari dedicati a Giulio Cesare nell'anniversario della morte, come fossero vittime sacrificali quattrocento tra senatori e cavalieri perugini (alcune fonti riportano trecento, ma il terribile livello del massacro, un vero genocidio, non cambia). Cadevano, quel giorno, le idi di marzo del 40 aC.
Chissà se sul letto di morte, a Nola, Augusto nel domandare a familiari e amici "Ho recitato bene la commedia della vita?" avrà ripensato alle parole pronunciate, con insofferente distacco, sull'acropoli di Perugia durante quei sanguinosi riti, in risposta a chi gli chiedeva, tra i perugini condannati a morte, di salvare la vita almeno ai piu' giovani, ai figli: "Moriendum est".
L'uomo che si gloriava di aver portato la pace, era stato crudele e sanguinario. Non considerare questo tratto della sua complessa personalita' sarebbe poco corretto. E ingiusto sarebbe dimenticare le vittime che abitarono, 2050 anni fa la città di cui noi, oggi, calpestiamo le antiche pietre.

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