PERUGIA - Iniziativa promossa dall'Istituto Professionale per i Servizi Commerciali "Blaise Pascal" che si terrà il 28 gennaio, alle ore 17,00 presso la Sala dei Notari di Palazzo dei Priori a Perugia. Si tratta del Reading for Shoah (Trainarebeours un treno a ritroso ad Auschwitz) e s'inserisce nelle iniziative per la Giornata della Memoria.  L'ingresso è libero.

L'evento si articola in tre parti :
1) La testimonianza di Vera Michelin-Salomon, ex-deportata nata a Crema nel 1923, che giovane si trasferisce a Roma e ben presto, grazie alle sue amicizie e contatti familiari, entra in contatto con l’antifascismo romano.
Dopo l’8 settembre 1943 collabora attivamente con i gruppi studenteschi che si prodigano nella distribuzione di materiale contro l’occupante nazista. A febbraio 1944 viene arrestata, insieme al fratello e alla amica Enrica Filippini-Lera, verrà condotta a Via Tasso e trasferita poi a Regina Coeli.
A marzo del 1944 sarà processata e condannata dal Tribunale Militare Tedesco venendo cosi deportata prima a Dachau e poi ad Aichach (Alta Baviera) dove verrà liberata a fine aprile 1945.
2)Una parte recitata dagli allievi che imbastiscono un dibattito sull'opportunità e il senso ancora oggi di effettuare un viaggio d'istruzione ad Auschwitz e di parlare di Shoah.
3)Un'ultima parte poetica e musicale con testi recitati inframmezzati da musica (Bach per violoncello, esegue il Maestro Mauro Businelli), violino Michele Tremamunno e due brani in ebraico eseguiti dal Coro di Voci Bianche "Octava Aurea" diretto da Mario Cecchetti.

 

Vera Michelin-Salomon a Perugia lunedì  28 gennaio ore 17.00 Sala dei Notari di Palazzo dei Priori

Quella di Vera Michelin-Salomon è una di quelle storie che non dovremmo mai smettere di raccontare. Una vicenda densa di avvenimenti e di significati che, come tante altre storie legate alla resistenza e all'antifascismo, rimanda ad un universo culturale più ampio. Quello della memoria storica, dei valori condivisi e dell'impegno civile. A sentirla raccontata da lei stessa, sembrerebbe che quello che ha fatto sia stato frutto del corso naturale degli eventi. Niente di speciale, sembra dire. Eppure quella di Vera è la storia di una ragazza che poco più che maggiorenne decide di intraprendere, come altri suoi coetanei, la strada della lotta al nazifascismo, mettendo così in serio rischio la sua vita e finendo un giorno arrestata e deportata nelle carceri tedesche. La vicenda ci rimanda con forza a quello che è stato uno dei uno dei valori fondanti della nostra Repubblica, l'antifascismo, e diventa esempio di cosa voglia dire passione civile come difesa della libertà. Quella ragazzina che osò sfidare i nazifascisti oggi ha quasi novant’anni e insieme a pochi altri è una delle ultime testimoni dirette di una vicenda che ha ancora tanto, troppo, da insegnarci. A tutti noi spetta il compito, quindi, di raccogliere il testimone e di raccontare la sua storia a chi ancora non la conosce e a chi verrà dopo di noi.

Vera Michelin - Salomon nasce a Torino nel 1923 da genitori di origine valdesi. Per via del lavoro del padre da piccola si trasferisce in diverse città. Una volta raggiunta la maggiore età decide di lasciare Milano e la casa dei genitori e si trasferisce a Roma. Il suo arrivo nella capitale è decisivo. Qui, insieme alla cugina Enrica Filippini Lera, si avvicinerà agli ideali antifascisti e all’attività di propaganda clandestina. Attività che le causeranno poi l’arresto e la conseguente deportazione in Germania. Vera arriva nella capitale poco più che maggiorenne e trova lavoro come segretaria in una scuola professionale. Frequenta i cugini, tutti più grandi di lei, alcuni già clandestini nel partito comunista. Le frequentazioni romane le apriranno gli occhi su un mondo sommerso che per vivere deve nascondersi, l'universo sotterraneo di una Roma che ribolliva di fermenti antifascisti che poco alla volta cominciavano a manifestarsi in maniera sempre più evidente. È l’estate del 1943, il 25 luglio Mussolini viene costretto alle dimissioni e nel giro di un mese gli avvenimenti decideranno le sorti del conflitto e dell'Italia. È questo il contesto in cui, complici anche le frequentazioni dei cugini maggiori e la loro vicinanza agli ambienti clandestini, maturò in lei la consapevolezza che “c’era un’altra strada per crescere, un altro modo di essere cittadini italiani”, come ricorderà lei stessa in una recente intervista.

Poco per volta, la routine della sue giornate romane, il recarsi a lavoro in bicicletta, il rientro a casa sempre prima delle dieci, si arricchisce di azioni antifasciste. Soprattutto, propaganda clandestina. L'azione diretta per lei cominciò dopo l’8 settembre, quando capirà che esiste una rete clandestina e quando, proprio le conseguenze dell'armistizio del settembre del 1943 faranno maturare completamente in lei il desiderio di prendere parte alla lotta clandestina. Il fatto di vedere i tedeschi per strada, racconterà poi, “ci riempì di angoscia e ci fece temere che il peggio dovesse ancora arrivare”. Il momento di fare qualcosa, insomma, era arrivato.
Fu proprio una delle azioni di volantinaggio a cui cominciò a dedicarsi che decisero il suo destino. Durante un'operazione di propaganda davanti ad una scuola superiore, infatti, viene probabilmente riconosciuta da qualcuno e segnalata alla polizia e poi alla Gestapo. Ed ecco che un giorno, ritornando a casa da lavoro, trova un soldato delle SS che l’aspetta davanti la porta di casa, con atteggiamento per niente amichevole. Verrà arrestata insieme alla cugina Enrica che rientrò poco dopo con una borsa piena di volantini clandestini, al fratello e ad altri due amici. Per fortuna, dirà poi, non saltarono fuori le sue amicizie con appartenenti alla lotta armata clandestina. Le fu mossa soltanto l’accusa di propaganda e ebbe, per fortuna, salva la vita. L’arresto fu seguito da alcuni giorni di interrogatori e di reclusione a Regina Coeli. Lì fu raggiunta dalla notizia che tutti e cinque sarebbero stati sottoposti a processo da parte di un tribunale tedesco. Racconta che in carcere erano in tanti ma regnava un totale silenzio per paura di possibili spie infiltrate tra di loro. Vera e la cugina vengono condannate entrambe. Stessa pena. Tre anni di carcere duro da scontare in Germania mentre gli altri sono assolti. Vera ricorda che le sembrò inverosimile l’eventualità di venire deportata in Germania. Gli avvenimenti di quei giorni facevano pensare che la liberazione era molto vicina e che con l'arrivo degli alleati sarebbero state presto in libertà. Purtroppo non fu così.
Siamo ormai nel marzo del 1944, mentre lei si ritrova rinchiusa a Regina Coeli, nel centro di Roma c’è l’attentato di via Rasella. Muoiono una quarantina di persone, sono quasi tutti soldati tedeschi. L’attentato scatena una rappresaglia nazista che porterà all'eccidio delle Fosse Ardeatine. Dalla sua cella Vera non capisce cosa sta accadendo, lo saprà solo il giorno dopo, ma ricorda bene come quel giorno i soldati delle SS entrarono nel carcere e urlando nomi e cognomi si portarono via un po’ di persone, tra cui un suo carissimo amico. Arrivò intanto il giorno della notizia che né lei, né la cugina Enrica, si sarebbero mai aspettate di ricevere. Nel giro di una settimana sarebbero state trasferite in Germania per finire di scontare la loro pena. Vera ricorda che in quella settimana i familiari ebbero modo di farle visita per portarle degli indumenti più pesanti per affrontare il viaggio e il più freddo clima tedesco.

La partenza avvenne la sera del 24 aprile. Viaggiarono tutta la notte su di un camion in direzione Firenze perché le ferrovie su quel tratto erano state distrutte dalla guerra. La mattina seguente lasciarono il capoluogo toscano, stavolta a bordo di un treno carico di militari tedeschi in licenza, per raggiungere Monaco. Della prima parte del viaggio Vera dice di ricordare poco, sarà stato forse il suo modo di difendersi, ipotizzerà lei poi, quello che ricorda bene però è l’atteggiamento dei militari tedeschi. Erano gli stessi militari di Regina Coeli, quelli che in Italia le facevano da carcerieri e che a tratti erano quasi gentili. Gli stessi soldati, ricorda Vera, una volta attraversato il confine di casa cominciarono a trattarle con il massimo del disprezzo. A Monaco restarono un giorno, la sera furono di nuovo su di un camion che le condusse fin dentro il campo di concentramento di Dachau, situato a pochi chilometri dalla stessa città. Del campo ricorda poco, furono spostate di qua e di là tra vari uffici. Dormirono nelle docce, con tutti gli effetti personali ancora con loro. Da lì finiranno in un carcere pieno di cimici in compagnia di altre ragazze di nazionalità polacca e greca a cucire e riparare indumenti.

 

In Germania passano da un carcere all’altro. In uno viene sistemata insieme alla cugina Enrica e ad una contadina di Reggio Emilia. Una signora che piangeva tutto il tempo, presa dai nazisti al posto della figlia partigiana che non erano riusciti a catturare. Incontrano altre italiane, quasi tutte dentro con la stessa accusa, collaborazione e appoggio alla lotta partigiana. È l'ultimo carcere, quello da dove un giorno saranno liberate dall’arrivo dei soldati alleati. Nel ricordare il carcere nazista e le condizioni di vita al suo interno in quei mesi Vera quasi si vergogna. Farebbe volentieri a meno di parlarne. Almeno noi eravamo al chiuso, dice, e il suo pensiero va a tutti coloro che invece hanno avuto il triste destino di finire in un campo di sterminio. Per un periodo viene mandata a lavorare nei campi a cavare barbabietole per molte ore al giorno. Dell’esperienza ricorda che il lavoro li era molto duro per lei che non era per niente abituata a fare un'attività del genere. Rientrerà in carcere distrutta. Per fortuna li ad attenderla c'è la cugina. Il tempo nel carcere lo trascorrevano raccontandosi storie, la signora di Reggio Emilia ricordava benissimo tutte le trame dei film visti al cinema, e ad immaginare cosa di lì a poco sarebbe successo, sfruttando le poche notizie che trapelavano dalle loro carceriere. Delle volontarie tedesche dal volto umano, dice Vera, che a noi italiane non ci guardavano come traditrici. Una volta le portarono perfino una mela. Un regalo enorme nella situazione in cui si trovavano.
Un giorno vengono portate in una vicina stazione nazista a bruciare documenti di ogni genere. Le ordinano di distruggere tutto in fretta e furia. Vera e le altre trattengono a stento la loro felicità. Capiscono che gli alleati stanno ormai per arrivare. È tutto finito. La libertà è vicina.

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