Un sogno chiamato rivoluzione, di Filippo Manganaro - Nova Delphi Libri, è un romanzo storico che racconta quella parte di Novecento in cui con maggior forza si espresse “la volontà degli ultimi di tentare la scalata al cielo”. In un brillante stile narrativo, seguendo le vicissitudini di ciò che rimane di una famiglia di ebrei russi - il vecchio tipografo Shlomo e sua nipote Chaya - questo libro propone, attraverso la ricostruzione di episodi poco noti o dimenticati, alcuni dei grandi eventi che hanno caratterizzato il secolo scorso: l’incendio alla Triangle di New York, lo sciopero del “Pane e le Rose” del 1912, l’occupazione della Bassa California da parte dell’armata anarchica partita dagli Stati Uniti in appoggio alla Rivoluzione zapatista, fino alla conclusione in Spagna, nel 1936, con l’ingresso delle Brigate Internazionali a Madrid. Un ritratto appassionato che tra sogni e speranze, tradimenti e sacrifici, vede protagonisti tutte quelle donne e quegli uomini che nella condivisione di un ideale trovarono la strada per il proprio riscatto sociale.

Aidan, vecchio emigrato irlandese, racconta a Shlomo,emigrato anch’egli ma da meno tempo, il suo impatto con gli Stati Uniti e con il mondo del lavoro

Eravamo felici di aver trovato lavoro e non sapevamo, ce l’avrebbero raccontato solo dopo, che era stato così facile perché la settimana prima un incendio aveva distrutto un paio di pozzi bruciando vivi centosettanta minatori. I loro colleghi per protesta erano entrati in sciopero contro la mancanza di uscite di sicurezza nella miniera. Si erano messi davanti alle gabbie che portano giù ai pozzi assieme alle donne e ai bambini, ma erano arrivati i Pinkertons, quei dannati scagnozzi della polizia privata, e avevano aperto il fuoco sparando nel mucchio. Non so nemmeno quanti ne abbiano ammazzati: come ti dicevo, eravamo ignari di tutto. Comunque, ci mettiamo poco a capire come vanno le cose. La baracca dove alloggiamo cade a pezzi e fa un freddo cane, mia moglie non guarisce, anzi, peggiora; ha bisogno di cure, ma per tutta la contea, con decine di migliaia di minatori sparsi nei villaggi, c’è un solo medico ed era appena passato quando siamo arrivati. Tornerà fra una settimana, più o meno, ci dicono, nessuno sa dare indicazioni precise. (…) Passano le settimane e mia moglie peggiora ancora, i soldi non bastano nemmeno per le medicine, io e mio fratello quasi non mangiamo per cercare di tenerla in forze.

Cominciamo a parlare con gli altri minatori, quasi tutti irlandesi, e decidiamo di chiamare un connazionale, un sindacalista che era passato di là qualche tempo prima lasciandoci l’indirizzo della locanda dove alloggiava. Organizziamo una riunione segreta in una delle baracche, contattando uno a uno i minatori fidati per evitare che la notizia giunga alle orecchie dei capi e dei Pinkertons. Qualcosa, però, sfugge al controllo. La sera della riunione siamo tutti nella baracca ad aspettare il sindacalista e quello non arriva. Dopo un po’ cominciamo a innervosirci: siamo in troppi riuniti nello stesso posto, rischiamo di farci scoprire. Allora, io e un altro decidiamo di andarlo a cercare, camminiamo nella strada buia, perché ormai è notte, finché non vediamo un bagliore su una montagnola di scorie. Ci avviciniamo e vediamo un fuoco acceso davanti a una grande croce: sopra c’è inchiodato il sindacalista, morto, con la faccia quasi irriconoscibile per le botte prese.

C’è un cartello sopra la croce, come se fosse Gesù Cristo, e c’è scritto: questa è la fine del sindacato! Torniamo di corsa alla baracca e diciamo a tutti di disperdersi. Quella notte non riesco ad addormentarmi, sono troppo sconvolto, e così sono sveglio quando mia moglie ha l’ennesima crisi. La tocco: ha la febbre altissima, non riesce più a respirare. Corro fuori a chiamare Tom ma, quando torniamo, lei è morta. Ho passato i giorni peggiori della mia vita ed è stato Tom, per dirti com’era diverso allora, a impedirmi di crollare del tutto. Abbiamo cominciato a girare per le miniere vicine parlando con la gente e, alla fine, siamo riusciti a mettere insieme un bel gruppo di giovani decisi e combattivi. Beh, Shlomo, non voglio nasconderti nulla: abbiamo risposto con la violenza alla violenza e la prima azione è avvenuta nella nostra miniera. Erano ragazzi venuti da fuori, perché c’eravamo organizzati così: nessuno interveniva nel posto dove lavorava per evitare di essere riconosciuto. Una sera ricompare la croce ma, stavolta, c’è attaccato il direttore della miniera e sul cartello c’è scritto: Molly Maguire è qui!”

“Molly Maguire? E chi è?”

“È un mito irlandese, di quando i contadini hanno cominciato a reagire ai soprusi degli inglesi. Anche allora si rispondeva colpo su colpo e si narrava che le vendette fossero compiute da un gruppo di contadini guidati da Molly Maguire, una donna che non esitava a sparare per difendere i diritti calpestati. Col tempo, a furia di non trovare i responsabili di queste azioni violente, tutti hanno cominciato a credere davvero all’esistenza di questa donna, e i suoi seguaci erano chiamati Molly Maguires. Quando gli irlandesi hanno cominciato a emigrare negli Stati Uniti a causa della carestia le violenze sono diminuite, e allora si è sparsa la voce che anche Molly Maguire fosse espatriata.

Un sogno chiamato rivoluzione
di Filippo Manganaro

Nova Delphi Libri
collana Contemporanea
pagine 268
euro 16,00
 

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