Quella parola chiave che Massimo Recalcati elegge a ideale della civiltà
di Franco Lolli
“Se esistesse una parola fondamentale capace di racchiudere per intero l’esperienza della psicoanalisi, questa parola sarebbe ‘desiderio’”.
Desiderio è e resta la parola chiave, la parola elettiva, della psicoanalisi. E’ così che si apre l’ultimo libro di Massimo Recalcati “Ritratti del desiderio” (Raffaello Cortina, pp. 190, € 14,00); un’apertura che esplicita in maniera inequivocabile il punto di vista dell’autore e che costituisce una sorta di precipitato di quel percorso di ricerca che egli ha compiuto negli ultimi anni. La dimensione del desiderio fonda l’esperienza dell’analisi: in questa sua convinzione Massimo Recalcati si dimostra, una volta di più, un teorico fedele all’insegnamento di Jaques Lacan, colui che, in effetti, ha introdotto nel dibattito psicoanalitico un concetto che, prima del suo magistero, era confinato nell’ambito letterario e poetico. La lezione, che negli anni ’60 del secolo scorso, lo psicanalista parigino ha ricavato dallo studio di Hegel (letto, come ci ricorda Recalcati, attraverso la lente di ingrandimento della speculazione di Kojève) verte esattamente sulla centralità del ruolo del desiderio nell’esistenza dell’essere umano.
Patologia della dismisura
Il desiderio – che è sempre desiderio dell’altro e che in questo libro viene declinato nelle sue differenti versioni, con grande raffinatezza, rappresenta, infatti, il fulcro intorno al quale il soggetto struttura la propria vita; al punto tale che, si potrebbe arrivare ad affermare, la vita si “umanizza “ proprio in sua funzione. Il desiderio è alla base del patto sociale, del legame tra gli uomini, della possibilità stessa della relazione; è sulle sue fondamenta che si edifica l’idea di comunità.
Questa facoltà del desiderio di “promuovere” la società e di assicurare al percorso evolutivo dell’essere umano un orientamento deciso è il versante del desiderio che Recalcati ha indagato a fondo nei suoi due ultimi libri, L’uomo senza inconscio, prima, e l’anno scorso Cosa resta del padre? (entrambi editi da Cortina). Analizzando la società postmoderna, Massimo Recalcati ha, in effetti, individuato nel progressivo indebolimento del simbolico – che Lyotard riassume nella nota formula “crisi delle grandi narrazioni” – il fattore decisivo della contemporaneità, di cui ha studiato in particolar modo il tramonto dell’Edipo.
La tesi di Recalcati è nota: l’affermazione del capitalismo e la sua radicalizzazione nella versione liberista ha comportato e comporta un’inarrestabile spinta, individualistica e cinica, al godimento e la simultanea attenuazione della dimensione dello scambio, del legame e del debito. La componente pulsionale che il modello consumistico alimenta, proclamando il pieno diritto del cittadino all’appagamento immediato e assoluto di ogni suo bisogno, ha sempre più reso anacronistiche quelle forme del vivere che vengono moderate dalla necessità di tener conto dell’altro.
I dati provenienti dalla clinica confermano in maniera inequivocabile queste osservazioni: le patologie della contemporaneità investono infatti i consumi, sono patologie legate alla dismisura, all’eccesso, al troppo, all’angoscia; e implicano isolamento, disconnessione dall’altro.
Di fronte a questa deriva compulsiva e mortifera dell’attualità sociale, uno psicoanalista non può non prendere posizione. Riaffermare, come fa Recalcati, il valore conciliante del desiderio, la sua funzione stabilizzante e di orientamento, nonché la sua assoluta centralità nel percorso della cura, significa opporre una resistenza di ordine etico al percorso di frantumazione simbolica che caratterizza la società contemporanea: la creatività e la generatività del desiderio vengono, in questo modo, logicamente contrapposte alla distruttività e all’autoreferenzialità del godimento. Operazione tanto necessaria (per la sua finalità anticonformista di critica del nuovo ‘programma della Civiltà’) quanto rischiosa (per il pericolo che corre di tradursi in un manicheismo che porterebbe tutto il bene sul lato del desiderio e tutto il male sul lato del godimento). Ebbene, il pregio di quest’ultimo libro di Massimo Recalcati, a mio avviso, sta proprio nel far sì che tale contrapposizione non scivoli in una distinzione di natura morale, distinzione che disconoscerebbe l’esistenza di quei territori di confine nei quali ciò che è bene sfuma nel suo contrario.
Dal godimento all’odio
Recalcati, infatti, nell’invitare il lettore a visitare quella che lui stesso definisce la galleria in cui sono esposti i vari ritratti del desiderio, avverte delle sue ambivalenze, mette in guardia rispetto alle zone d’ombra nelle quali, per utilizzare una sua espressione di particolare efficacia, le acque del desiderio si mescolano a quelle del godimento.
Tornando sui temi già in parte affrontati in quello che va considerato uno dei suoi più importanti contributi alla teoria psicoanalitica, il saggio Sull’odio uscito da Bruno Mondadori (2004), Massimo Recalcati evidenzia le contraddizioni e le ambiguità di un concetto che egli ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito culturale. E se, come sappiamo, la biografia di un autore non può non incidere sulla sua opera, il fatto che lo psicoanalista milanese abbia concentrato la propria attenzione di studioso sulla dimensione del desiderio appare tutt’altro che stupefacente: perché chi ha avuto la fortuna di lavorarci insieme, ma anche chi, semplicemente, ha avuto occasione di ascoltarlo durante le sue conferenze, ha imparato quanto Recalcati sappia praticare nella propria vita professionale la dimensione del desiderio e trasmetterla agli altri in maniera straordinariamente contagiosa.
Fonte: Alias - supplemento a Il Manifesto del 26 febbraio 2012

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