Agli intellettuali di ogni età, di ogni formazione culturale e credo religioso
di Mario Tiberi
E’ sotto gli occhi di tutti il degrado morale e la caduta di tensione cogitante che affliggono la nostra tempestosa epoca, il declinare verso derive nichiliste della pulsione umanista che rese eccelsi i migliori pensatori italiani di ogni tempo, lo sprofondare in un abisso buio e cupo di cui non si intravede il fondale.
Non possiamo, non dobbiamo consentire che la sfiducia verso le pubbliche istituzioni e l’amarezza per delusioni reiterate e torti subiti possano prevalere sulla agognata rinascenza risorgimentale cui, ad ognuno, compete il diritto di ambire.
Ecco perché è pressante esigenza quella di chiamare a raccolta le più nobili coscienze, anche nel ridotto della città di Orvieto, tesa alla formazione di un collegio di intellettuali di ogni età, di ogni provenienza culturale e politica, di ogni credo religioso affinché possa aprirsi una tutta rinnovatrice stagione di alborea civiltà dalle ampie prospettive e dalle larghe vedute. Un collegio tutt’altro che elitario ed anzi, all’opposto, che affondi le sue radici nell’essenza più intima del popolarismo democratico.
Infatti, l’intellettuale non è tale in quanto tale, ma in ragione delle sue qualità e virtù etiche e delle sue capacità e competenze di pensiero; prima tra tutte la sua coltivata predisposizione naturale a mai gettare all’ammasso il proprio intelletto e la propria libertà di giudizio critico.
Per assurdo, ma è un assurdo che non ha nulla di paradossale, anche un analfabeta può essere un verace e serio intellettuale, e forse dei migliori, qualora il suo spirito sia intriso di disciplina etica e di logica dialettica riflessivo-concettuale.
In fin dei conti, chi è e chi è sempre stato l’intellettuale?
In estrema sintesi e stimati consolidati parametri di valutazione filosofica, così lo si potrebbe tratteggiare: l’intellettuale è persona utile, necessaria e persino indispensabile nella elaborazione culturale di una struttura sociale o politica, pur se non ben visto dagli armeggioni e dai mestieranti del potere poiché quest’ultimi non avvezzi a misurarsi sul piano delle idee; l’intellettuale è garanzia di libertà, di capacità di incidere nella realtà, di democrazia sostanziale anche quando si abbandoni a consapevoli mutamenti di opinione, talora dettati da contingente opportunità.
Ed è proprio in quell’abbandonarsi, al contrario di ogni falsa credenza, che risiede la sua forza morale e la sua dirompente energia vitale.
A tutti, dunque, è lecito adoperarsi per il raggiungimento della intellettualità; a nessuno, però, è permesso di sottrarsi all’esercizio del civile “Officium” delle responsabilità personali e pubbliche, le quali debbono essere autonome e indipendenti da condizionamenti ideologici o pratici, disinteressate nel perseguimento del “Bene Comune”, virtuose e coerenti tra il professato e l’agito.
P.S. : il descritto ed enunciato appello, ovviamente, può valicare i confini della mia città di origine ed estendersi in ogni altra realtà, qualora fosse in grado di raccogliere i favori delle Donne e degli Uomini di “Buona Volontà”.

Tuesday
21/02/12
11:42
Vediamo se ho capito il ragionamento.
Vista la caduta morale e la deriva nichilista della nostra società, non dobbiamo abbatterci e rinunciare ad una agognata “rinascenza risorgimentale”.
Per fare ciò bisognerebbe chiamare a raccolta le più nobili coscienze di ogni provenienza culturale e ideologica (gli intellettuali) per formare un gruppo che “affondi le radici nell’essenza più intima del popolarismo democratico!)
Perché un gruppo di intellettuali? Perché sono “indispensabili nella elaborazione culturali una struttura sociale e politica e sono garanzia di libertà in quanto indipendenti da condizionamenti ideologici nonché disinteressati nel perseguimento del bene comune e anche dotati di capacità di incidere nella realtà (questo presume che secondo l’illustre interlocutore i politici non siano “intellettuali”)
A prescindere da una certa “ermeticità” di linguaggio, che non facilita la comprensione dei concetti, il ragionamento, ma pare lodevole ma piuttosto astratto.
Già la premessa non è scontata. La caduta della moralità a cui si riferisce Mario Tiberi è probabilmente quella cristiana. La moralità per sua definizione non può “cadere”, ma solo essere sostituita da valori diversi da quelli precedentemente ritenuti giusti. Anche un “delinquente” ha una sua morale. Morale è anche perseguire il proprio tornaconto. Homo Homini lupus diceva Hobbs quasi scusando la natura aggressiva ed individualista insita nella razza umana.
L’obbiettivo allora degli intellettuali non dovrebbe essere quello di “restaurare” la morale caduta ma principalmente di metterne a fuoco una condivisa.
Ma le ideologie che si contestano non fanno proprio questo?
E’ sul concetto di bene e di male che a mio parere gli intellettuali di oggi dovrebbero confrontarsi perché sul pianeta ne esistono parecchie versioni. E’da questo principio che derivano i principi morali e giudizi su ogni comportamento mano.
Sulla proposta di creare un gruppo di intellettuali, ovvero di persone intellettualmente oneste che applichino nei casi contingenti il concetto di bene comune, la questione si complica parecchio.
Questa funzione non dovrebbe essere attribuita agli “intellettuali” ma più semplicemente dalle persone più sagge, intelligenti e dotte presenti nella singola comunità. Come sceglierli, perché oltre alle loro qualità siano anche rappresentativi?
A questo piccolo particolare manca la risposta e si apre un dibattito che in Italia, ancora non ha trovato risposta visto che si parla di legge elettorale.
Comunque apprezzo l’articolo che come vede ha innescato una riflessione, che grazie al Web e a questo sito, ha già travalicato i confini della magnifica città di Orvieto.
G.C.