(di Paolo Petroni) (ANSA) - SPOLETO - ''Quanti tramonti persi, perche' era ora di entrare a prepararsi per lo spettacolo'', esclama Eleonora Duse, guardando alla propria vita passata tra camere d'albergo e camerini di teatro. Ancora una volta in una camera d'albergo, appunto, quella in cui morira' negli Stati Uniti, il 21 aprile 1924, dove aveva una replica di ''La porta chiusa'' di Marco Praga, e' in questo lavoro che si basa su ''Ultima notte a Pittsburgh'' di Ghigo De Chiara, portato al Festival da Maurizio Scaparro con Anna Maria Guarnieri protagonista.

Un'attrice alle prese con un personaggio che non solo e' un'altra attrice, ma un vero mito, una grandissima, moderna attrice che segno' il teatro tra fine Otto e inizio Novecento e giro' il mondo, passando di successo in successo, incantando tutti, sempre recitando in italiano.

Una sfida che la Guarnieri affronta usando tutte le sue possibilita' espressive, con un lieve tocco decadente, plateale in alcuni gesti e pose che potremmo definire d'epoca, recitando anche di la schiena, passando da toni drammatici a altri nostalgici, intensa e lieve, tra accensioni e improvvise chiusure in se stessa o pronta a citare battute dei suoi personaggi, dalla Giulietta si Shakespeare alla rivoluzionaria Nora di ''Casa di bambola'' o la Mila de ''La figlia di Jorio'', cavalli di battaglia della Duse, e alla fine la platea del Caio Melisso e' tutta in piedi per applaudirla molto a lungo con un calore eccezionale, che finisce per commuoverla, mentre Scaparro la raggiunge e tiene per mano.

In quella stanza di un albergo di Pittsburgh, la Duse, figlia d'arte nata in un'altra camera d'albergo a Vigevano il 3 ottobre 1858, tra una scrivania da viaggio, un letto, una poltrona e i suoi bauli coi costumi, unica nota di colore, in quest'ambiente, spento, da sogno, tutto tra il bianco, il grigio e il beige ideato da Barbera Petrecca, febbricitante delira e ripercorre la propria vita di donna moderna, indipendente: ''Non aspettero' la morte ferma all'ormeggio.

Dovra' venire lei a cercarmi''. Eccola cosi' davanti ai tramonti e le tante occasioni perse, quelle che avrebbero potuto essere e non sono state, o i grandi amori, da Gabriele D'Annunzio a Arrigo Boito che voleva liberarla ''dall'appartenere a quella razza che la condanna a vivere per scherzo'', non avendo capito quanto Eleonora fosse attrice, se non prima, non meno dell'essere donna.

E ancora i suoi genitori, un padre all'antica che non la capisce, e poi, soprattutto, la figlia Enrichetta tanto amata ma cresciuta sola in un collegio e che la rimproverava di ''fare la pagliaccia in cambio di un applauso'', l'amicizia e la rivalita' con Sarah Bernhardt, ma anche il sogno del cinema, gli appuntamenti e i progetti mancati con David Griffith, e il suo stile, i suoi silenzi pieni di significato, il ribadire di non stare a recitare ma sempre e solo a interpretare, anche quando si trattava di figure di donne scialbe.

Tutto questo, grazie a De Chiara, a Scaparro e alla Guarnieri, punta sull'umanita' della Duse, piu' che sul mito, quello che per esempio ha fatto si' che ci sia una foto di Marylin Monroe, sdraiata su un letto in casa sua, con alle spalle, tra le altre cose, una foto incorniciata di Eleonora. L'ha scoperta nell'archivio della Fondazione Cini sempre Scaparro, nel suo lungo lavoro attorno a questa figura, che ha diffuso e difeso la cultura italiana nel mondo.

Non e' un caso che questo spettacolo sia stato appena invitato nel 2012 al Cafe' La Mama di New York, lo storico spazio di Ellen Stewart (innamorata di Spoleto e recentemente scomparsa) che l'anno prossimo compie 50 anni.
 

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