(di Paolo Petroni) (ANSA) - SPOLETO - ''A farmi diventare comunista furono quei morti ammazzati... Non per qualcosa che avevano fatto. Per qualcosa che avevano pensato. Un pensiero che gli era costato la vita. E che adesso sentivo di dover fare mio, per non lasciarli morire del tutto'': questa spinta etica, questo impegno in prima persona in nome degli altri, restarono a segnare tutta la vicenda umana e politica di Nilde Iotti, che un testo di Sergio Claudio Perroni fa rivivere al Festival di Spoleto in uno spettacolo con la regia di Roberto Ando' e con Michela Cescon protagonista.

Il lavoro, prodotto dallo Stabile di Catania, dove sara' la prossima stagione, quando verra' anche ospite all'India del Teatro di Roma, e' in due parti e si intitola 'Il tredicesimo punto'. Dopo l'atto unico 'Leonilde' in cui la Iotti si racconta, ne segue un altro in cui compaiono alcuni politici dei nostri giorni attorno al loro candidato, alla vigilia di un confronto tv, intenti a discutere se fare nel programma un riferimento alla Iotti e ai suoi ideali, ''ormai dimenticata da tutti'', sia giusto o meno e non sia in contrasto con gli interessi elettorali (e non) della loro parte politica.

Un gioco di specchi tra ieri e oggi, ma deformanti, quanto deformata si e' la politica negli ultimi anni, tanto che la cosa che cambia per prima e' il linguaggio dei protagonisti, da quello pulito, rispettoso anche dei nemici, attento alle differenze e ai diritti degli altri, pieno di passione, ma sempre legata alla ragione, del primo presidente donna della Camera, si arriva a quello piu' becero, tutto un intercalare di parolacce, di tre individui dalle diverse provenienze e militanti nello stesso partito, evidentemente di sinistra, che non sono d'accordo su nulla.

Perroni ha scritto un testo secco, essenziale, sulle traversie di quella che fu la piu' giovane eletta del Pci alla Costituente, dove incontro' Palmiro Togliatti che sarebbe diventato il suo compagno per la vita, nonostante i moralismi, le rigidita', i bigottismi del partito e del paese, e porto' avanti battaglie storiche per cambiare la vita quotidiana delle persone e delle donne innanzitutto.

La Cescon rende il ritratto in prima persona intenso, senza sbavature, vivo e emozionante, in uno spazio, ideato da Giovanni Carluccio, che sembra un poco un magazzino di cose vecchie e un'allusione all'aula di Montecitorio e al potere, con un cumulo parabolico di sedie e poltrone. Poi un secondo atto unico in cui l'autore mette in risalto, con note meno grottesche di quel che potrebbe sembrare, tutte le debolezze della sinistra e costruisce un gioco scenico a sorpresa, di cui non riveleremo il finale, legato alla figura della truccatrice che dichiara: ''Non mi intendo di politica, non guardo mai la tv'', come le due cose coincidessero. Certo e' che il disaccordo e' completo, che gli interessi personali e di parte vengono prima del resto e le lotte interne rischiano di bloccare tutto, in questo partito che cerca di rincorrere in populismo l'avversario, non sa elencare i veri ''problemi quotidiani della vita quotidiana'' della gente e ''in cui non c'e' nessuno che non venga da un'altra esperienza'' e non abbia magari qualcosa da nascondere e pensi soprattutto a se stesso, come dimostrano gli specchi angolari del camerino in cui ognuno si riflette, dall'ex prete e stratega di Ruggero Cara ai due figuri polemici e mandati a controllare tutto dall'avversario interno al partito, oltre al silenzioso candidato, Giovanni Argante, Fulvio D'Angelo e Pietro Montandon.
 

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