(di Paolo Petroni) (ANSA)-SPOLETO - Arriva in scena col suo caschetto di capelli biondo, tutta vestita di bianco, giacca, pantaloni e scarpe, i tratti un po' induriti dagli 83 anni d'eta', in un Teatro Romano con le gradinate piene di gente. Jeanne Moreau ipnotizza subito tutti appena, in piedi davanti a un leggio, comincia a leggere con la sua voce roca, fascinosa, evocativa e suadente, immobile, senza un gesto, quasi ieratica sino alla fine.

Sono brani del saggio che Jean Paul Sartre dedico' a ''Jean Genet, commediante e martire'' e servono da introduzione alla recita-concerto del suo poema ''Le condamne' a mort'', che porta avanti con la popstar francese Ethienne Daho, accompagnati da un quintetto che comprende anche una chitarra e un violoncello acustici. Jean Genet (1910-1986) fu scrittore maledetto, o meglio dalla vita maledetta di orfano, emarginato e ladro, piu' volte in galera e li' salvato dalla scrittura, che ne ha fatto un narratore e specialmente drammaturgo tra i piu' significativi del secondo Novecento europeo, se non altro grazie a un titolo come ''Le serve'', entrato nel repertorio internazionale. Il suo debutto avviene nel 1942 grazie a Jean Cocteau con la pubblicazione di un poema scritto in versi alessandrini appunto in carcere, ''Le condamne a mort'', che negli anni Sessanta fu musicato da Helene Martin ed eseguito nei locali della Rive gauche.

Da quello spartito Daho ha portato da alcuni anni al successo la ''canzone'' intitolata ''Sur mon cou'' (sul mio collo) e da qui e' partita l'idea di riproporre poema e musica per intero, assieme alla Moreau, che fu amica di Genet.

Recentemente l'attrice ha ricordato di averlo conosciuto quando, nel 1956, recitava Tennessee Williams al Theatre Antoine di Parigi, dove lui la veniva a prendere quasi ogni sera per accompagnarla a mangiare alla Coupole, ''dove mi usava per rimorchiare i suoi ragazzi. Era un buon compagno, divertente e altruista, anche se talvolta poteva essere improvvisamente poco piacevole''.

Il mattatore della serata e' Daho, che con la sua bella voce propone quasi tutto il poema accompagnato dalla musica ossessiva, affascinante, ritmica di Martin. Tre, quattro strofe le recita invece insieme all'attrice e, all'improvviso, il ritmo cambia, il verso drammatico e appassionato ritrova la sua melodia intima, la bella, alta metrica originaria.

Gli applausi arrivano a scena aperta, oltre che lunghi alla fine. Sono versi anche forti, anche scandalosi quando descrivono un rapporto omosessuale senza remore, eppure salvati, santificati dall'amore, dal sentimento struggente tra due persone, costrette a misurarsi col senso della fine.

Il poema e' infatti dedicato (e la dedica la legge nel finale la Moreau), a Maurice Pilorge, suo compagno per 40 giorni nel carcere di Fresnes, condannato a morte e ghigliottinato per aver ucciso l'amante: ''Invocate il sole, che arrivi a consolarmi./ Strangolate i galli! Fate dormire il boia!/ Dietro la mia inferriata ride perfido il giorno./ La prigione per morire e' una scuola senza succo''.
 

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