L’Umbria ha dato i natali a tre imperatori di Roma: Marco Cocceio Nerva di Narni, Caio Vibio Treboniano Gallo di Perugia e Marco Claudio Tacito di Terni.
Senza dubbio il breve governo di Nerva è stato il più importante tra i tre. Marco Cocceio Nerva nacque a Narni nel 30 d.C. discendente di una famiglia senatoria di antica nobiltà. Era figlio di Cocceio Nerva, famoso giureconsulto, e di Sergia Plautilla, figlia del console Popilio Lena. Suo fratello aveva sposato una nipote dell’imperatore Tiberio, stabilendo, così, legami con la famiglia Giulia-Claudia.
“Il futuro imperatore, oltre ad essere un noto avvocato, divenne anche amico di Nerone, che ammirava le sue capacità di poeta e che gli concesse le insegne del trionfo per la vittoria da lui avuta nella repressione della congiura di Pisone (65 d.C.). In seguito Nerva conquistò il favore di Vespasiano, il quale lo scelse come collega nel consolato (71 d. C.). Nel 90 d.C. ricoprì una seconda volta la carica di console insieme a Domiziano. Ma la sua partecipazione al complotto per assassinare l’imperatore deve essere considerata verosimile, dal momento che poi fu proprio lui ad essere elevato al trono lo stesso giorno del delitto” (Micheal Grant)
A succedere a Domiziano dunque, fu il vecchio senatore di Narni (Narnia) Marco Cocceio Nerva, che in qualità di principe assunse il nome di Imperatore Cesare Nerva Augusto. Fu il primo di una serie di imperatori (Nerva, Traiano; Adriano; Antinino Pio, Marco Aurelio e Commodo) che portarono il nome convenzionale di Antonini, con la sola eccezione di Commodo ( figlio di Marco Aurelio). Il loro diritto di successione fu fondato non sulla nascita ma sull’adozione.
Gli Antonini appartengono a due epoche diverse. Il governo dei primi quattro principi di questa “dinastia” ( dall’anno 96 al 161 d.C. ) rappresenta il periodo della massima stabilità del potere centrale. La politica dei Flavi aveva ottenuto indiscutibili successi e il breve periodo del regime di Domiziano non aveva spezzato il sistema delle alleanze sociali e politiche a favore del potere imperiale. La stabilizzazione del potere centrale non poteva non riflettersi che positivamente sull’impero nel suo insieme. Questo fu un periodo durante il quale l’Italia, e pressoché tutto l’impero, se si eccettuano alcune guerre di confine, godettero di una pace piena e benefica fuori dalla norma nel mondo antico. Non per nulla i contemporanei definirono il loro tempo “il secolo d’oro”.
L’uccisione di Domiziano era stata compiuta senza la partecipazione della guardia pretoriana, al cui interno l’imperatore godeva di una grande popolarità. Dal momento però uno dei sui comandanti, Petronio Secondo, prese parte al complotto, per una prima fase fu possibile tenere a freno la volontà di rivalsa dei pretoriani. Il senato era così riuscito senza ostacoli a portare a termine il progetto di eleggere il nuovo imperatore, scelto nel suo seno. Ma appena cominciarono gli atti di vendetta nei riguardi della memoria di Domiziano (distruzione delle sue raffigurazioni, cancellazione del suo nome dai monumenti ufficiali, ecc..) e nei riguardi dei suoi ex partigiani, i pretoriani si ribellarono. Li comandava l’alto prefetto, Casperio Eliano. La guardia pretese la consegna di Petronio Secondo e degli altri uccisori di Domiziano, e Nerva fu costretto a cedere. Quando i rivoltosi fecero irruzione nel palazzo imperiale, Nerva coraggiosamente li affrontò, ma fu messo da parte brutalmente e gli ufficiali giustiziati sul posto. Dopodiché l’imperatore fu costretto con la forza a ringraziare pubblicamente i pretoriani per aver eseguito la condanna dei suoi amici e sostenitori.
Nerva, pertanto, fin dall’inizio del suo governo aveva il problema di stabilizzare e regolamentare i rapporti con l’esercito. L’imperatore, che non godeva di alcun prestigio nei circoli dell’esercito e non aveva alcuna esperienza militare, decise, molto saggiamente, di proclamare suo figlio adottivo nell’autunno del 97 d.C., nel corso di una cerimonia sul Campidoglio (dove si era recato a render grazia a Giove per la vittoria riportata in Pannonia dalle legioni e per la quale ottenne l’appellativo di Germanico) il più prestigioso dei comandanti militari, il legato della Germania Superiore Marco Ulpio Traiano, nativo della Spagna, ma la cui famiglia era originaria di Todi (Tuder), esponente della nobiltà provinciale. Nerva investì Traiano della potestà tribunizia, facendone non solo il suo successore, ma il collega di governo nel 98 d.C.. Traiano era il più grande condottiero a disposizione dell’impero, esperto amministratore, sostenuto dalle potenti legioni dell’alta Germania.
Così fu risolto il difficile problema di rafforzare il nuovo regno con un elemento militare e nello stesso tempo fu creato un precedente per un nuovo ordine di successione. Cioè adottare l’uomo migliore del momento e pertanto indicarlo come successore. Una straordinaria riforma istituzionale.
Nerva governò in pieno accordo con il senato, il più alto organo dello stato già rinnovato dai Flavi. Salito al trono imperiale, aveva giurato di non condannare senatori senza il permesso del senato stesso, permesso che sarebbe stato concesso solo dopo.
Pose fine ai processi per lesa maestà che in realtà erano un mezzo per eliminare gli oppositori, liberò chi era stato imprigionato a seguito di tale accusa e amnistiò gli esiliati. Tutte le proprietà illegalmente confiscate furono restituite. Oltre a ciò, il senato riprese a prendere parte alle discussioni sugli affari di ordinaria amministrazione, a confermare le leggi, a ratificare i trattati di pace ecc.
“Comunque seppur si andavano ripristinando certi meccanismi costituzionali non intaccarono il processo di rafforzamento delle basi della ‘monarchia militare’ che sempre più si andava trasformando in ‘monarchia burocratica’. Se durante il regno di Nerva poterono ancora essere alimentate certe illusioni costituzionali, generate dal modo stesso in cui era sorta la nuova dinastia, già i suoi successori, di fatto, non tennero la ‘costituzione’ in nessun conto. Comunque, il buon accordo tra l’imperatore e il senato continuò ad essere ininterrotto fino all’ultimo rappresentante della dinastia, Commodo. (S.I. Kovalov)”.
Verso la fine del I sec. l’economia agricola italiana era in piena decadenza. La crisi agraria era strettamente legata ad una diffusa e devastante povertà e alla brusca diminuzione delle natalità. Sembra che la miseria fosse così grande da costringere il governo ad adottare provvedimenti uscenti dai limiti delle normali regalie e distribuzioni di viveri alla popolazione cittadina.
Per fronteggiare la drammatica situazione Nerva varò un sistema alimentare di assistenza statale che fu poi sviluppato dai suoi successori. L’obbiettivo era quello di aiutare gli strati più poveri della popolazione libera, e contemporaneamente sostenere l’agricoltura. Con i mezzi del fisco, Nerva aveva creato un fondo al quale poterono attingere coloro che avevano bisogno di prestiti a basso interesse (5%). Gli interessi venivano pagati alle casse municipali dove in tal modo si accumulavano fondi locali che dovevano servire a distribuire sussidi alle famiglie più povere, nonché agli orfani.
Nerva prese altri provvedimenti intesi a superare la crisi, così abbiamo notizia di una legge agraria, da lui promossa per mezzo dei comizi tributi (forse l’ultimo atto legislativo dell’assemblea popolare sotto l’impero) che prevedeva l’ acquisto di terre per la ridistribuzione agli strati più poveri. Anche la grave situazione finanziaria dei comuni italici, causata dalla crisi, determinò nuovi provvedimenti governativi. A Roma vennero costruiti nuovi magazzini per il grano, la cui distribuzione fu incrementata, e si ripararono gli acquedotti deteriorati. Furono aumentate le esenzioni dal pagamento della tassa di successione, e l’impopolare balzello imposto per il servizio postale pubblico dalle comunità italiche fu trasferito allo stato. Nerva vendette buona parte della sua proprietà privata per pagare il costo dell’operazione e abolì la tassa giudaica. Tutte le proprietà illegalmente confiscate furono restituite e venne fatta una donazione di 75 denari a ciascun cittadino e di 5 mila per ogni pretoriano.
“Però tutti questi tentativi per acquistare popolarità si dimostrarono così dispendiosi per il governo, oltre che per lo stesso imperatore, che dovette essere istituita una commissione di cinque membri nominati dal senato con l’incarico di raccomandare la riduzione delle spese pubbliche” (M. Grant).
Nonostante l’importanza minima delle operazioni militari condotte da Nerva sul Reno inferiore e sul Danubio, esse gli servirono di un pretesto per assumere il titolo di ‘Germanico’.
Nerva morì all’inizio del 98 d.C.. Traiano, che allora si trovava sul confine renano, nell’attuale Colonia (la romana Colonia Agrippina), divenne imperatore senza incontrare la minima opposizione. Traiano non si recò subito a Roma dopo la morte di Nerva, ma continuò operazioni militari per un anno a mezzo sul Reno al fine di consolidare il confine, a dimostrazione di quanto fosse solida la sua posizione di capo di stato. A Roma, Traiano, giunse solo nell’estate del 99 d.C., e uno dei suoi primi atti di governo fu la punizione dei pretoriani che si erano ribellati sotto Nerva.
Lo storco Flavio, considerò il regno di Traiano come un miracolo della rinascita della romanità.
“L’anziano successore di Domiziano, fu uomo di transizione, allo stesso tempo mite e illuminato. Egli regnò solo 16 mesi, che furono decisivi e non solo perché governò bene” (A. De Nicola).

Stefano Vinti

 


L’optimus princeps

L’età degli Antonini fu caratterizzata dalla scelta della persona più degna del principato, con la consapevolezza che solo in tal modo lo Stato avrebbe evitato le incognite e gli inconvenienti del sistema di designazione invalso nel sec. I. dopo un secolo di esperienza successoria che aveva visto scelte di tipo diverso, o con decisioni del principe in carica a beneficio di un familiare diretto o adottato, o con imposizione dell’esercito a vantaggio di un suo comandante, o, e fu il caso di Nerva, con iniziativa del Senato a favore di un suo esponente, i tempi parevano maturi per affermare una procedura che assicurasse allo Stato una guida stabile e indiscussa. Ormai non era più in questione il sistema, ci si adopera, piuttosto, a ipotizzare la figura del principe migliore (l’optimus princeps) che sia all’altezza dei compiti inerenti la carica e corrisponda alle aspirazioni e alle attese dei cittadini così da armonizzare nel miglior modo principato e libertà, due concetti per loro natura inconvertibili. La riflessione ideologica si era sviluppata specialmente nel pensiero di Seneca, impegnerà poi anche Plinio il Giovane e Dione Crisostomo di Prusa e molti esponenti della classe senatoria.

L’optimus princeps deve sentirsi anch’egli cittadino obbligato alle leggi e rispettoso delle libertà altrui; deve considerarsi un padre, quindi sarà clemente, amabile, benefico; deve rifuggire dal farsi adorare, pur accettando una certa forma di investitura divina, che è quella che ne anima la forza creatrice e che avrà la sua sanzione con l’apoteosi dopo la morte. Tuttavia la virtù che più deve risaltare in lui è la moderazione, cioè l’equilibrio del comportamento che eviti ogni eccesso, mantenendosi accessibile a tutti, conducendo una vita privata irreprensibile, avendo rapporti familiari normali, non confondendo la propria casa con lo Stato, attendendosi sì l’ossequio dovuto alla carica che ricopre ma senza pretendere umiliazioni e adulazioni, riconoscendo ad ognuno il diritto della libertas, concetto arricchito di valori morali derivanti dalla sicurezza del godimento in dignità dei propri beni, garantiti dal principe. Questi deve essere sempre pronto ad adempiere ai suoi compiti, in pace e in guerra, con costante pietà e devozione agli dei patri in conformità agli interessi di tutti. Riguardo ai militari è bene che il principe rifugga dal concedere loro donativi che ne eccitino gli aspetti e li tenga assiduamente impegnati in esercitazioni, acquartieramenti nei castra disposti sui confini: non bisogna temere la guerra, racconta Plinio, ma evitare di provocarla: Tacito invece preferisce la pace vittoriosa e clemente a una pace armata, rimpiangendo la mancata conquista della Germania da parte di Augusto.
L’azione del governo deve tutta rivolgersi al bene dei cittadini: si raccomanda maggiore impegno e approfondimento degli studi. Agli spettacoli e alle gare di tipo greco sono da preferirsi i “Ludi gladiatori” che, con la vista delle ferite, eccitano gli animi e ingenerano disprezzo della morte. Bando poi alle superstizioni che arrivano dall’Oriente: esse contrastano con la morale tradizionale. Infine la successione deve avvenire con chiarezza, senza intrighi, gradita a tutti e approvata dal Senato: la scelta cada su chi accetti, senza desiderarlo, un compito che è irto di doveri e richiede piena dedizione all’interessi altrui.

Solo un principe che abbia le qualità prospettate può assicurare un’età nuova. A un tipo ideale siffatto intese ispirarsi Nerva quando procedette alla designazione del suo successore. Egli era stato prescelto dal senato per il suo equilibrio e la sua moderazione; aveva mostrato abilità sufficienti per passare indenne attraverso i principati di Nerone, Vespasiano e Domiziano, senza mai trovarsi compromesso. Era un esperto giurista e aveva ricoperto solo cariche civili: l’età avanzata e il non avere figli facilitavano il suo compito di porsi al di sopra delle parti in una situazione che avrebbe potuto ancora precipitare nel caso di una reazione antidomiziana. Ci fu però un momento difficile anche per lui quando sul Reno e sul Danubio le legioni furono sul punto di rivoltarsi e Casperio Eliano, uno dei due prefetti del pretorio, pretese la punizione degli uccisori di Domiziano: Nerva dovette cedere, ma corse subito ai ripari già nell’autunno del ‘97, nel corso di una cerimonia nel Campidoglio (dove si era recato a render grazia a Giove per la vittoria riportata in Pannonia dalle legioni romane e per la quale aveva ottenuto il soprannome di Germanico), proclamando figlio adottivo Cesare Marco Ulpio Traiano, legato della Germania Superiore. All’adozione aggiunse subito la “tribunicia potestas” con la designazione per il consolato del ‘98 da rivestire insieme, così che Traiano diventasse di fatto coreggente. Nerva morì all’inizio del ‘98 e il figlio adottivo si trovò principe incontestato. L’aver provveduto tempestivamente alla successione creando un importante precedente fu uno dei grandi meriti del brevissimo principato di Nerva.
(Tratto da La Storia, UTET)

Letture
Il breve periodo di Nerva

Nell’anno 850 della fondazione di Roma, sotto il consolato di Vetere e Valente, l’impero si era ristabilito grazie ad un regime di prosperità, dato che la fortuna ne aveva affidato le redini a bravi principi. Infatti a Domiziano, odioso tiranno, era succeduto Nerva, uomo di media nobiltà, modesto e semplice nella vita privata; egli, salito all’impero quando era già in età avanzata, con l’appoggio di Petronio Secondo, prefetto del pretorio, e di Partenio, congiurato contro Domiziano, si mostrò equilibrato ed umano. Ispirato dagli dei provvide attivamente allo stato con l’adozione di Traiano. Morì a Roma dopo un anno, quattro mesi e otto giorni di regno a 72 anni di età e fu divinizzato.

“Entropio, Breviario di storia romana” da: Storia di Roma, di Jules Michelet, Gherardo Casini Editore

 

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