Stefano Galieni

Damiano Tommasi, presidente dell'Associazione Italiana Calciatori, ha aspettato alcuni giorni prima di lasciarsi intervistare. Le inchieste in corso sulle scommesse illecite, le intercettazioni che riempiono ormai le cronache dei giornali non solo sportivi, richiedevano un minimo di riflessione. Ma Tommasi, indimenticabile centrocampista della Roma e della nazionale, considerato esempio non solo come professionista ma come cittadino impegnato in battaglie sociali, cerca di andare oltre la cronaca e di parlare del mondo del calcio con estrema chiarezza.

Partendo dall'inchiesta in corso che idea si è fatto della vicenda?
A me sembra che si rischi di entrare in un meccanismo più grande degli stessi attori coinvolti. Quando si sente che dalle partite si arriva alle minacce, all'infiltrazione di organizzazioni criminali, si va al di là del problema sportivo. Credo che però soprattutto la giustizia sportiva non possa aspettare troppo tempo, prima che inizino i campionati le cose vanno chiarite. La mia impressione è che si voglia compiere una indagine ad ampio raggio.

Comunque ad ogni fine stagione sembra emergere costantemente qualcosa che ne mette in dubbio la validità
Non sono d'accordo. Quello che è accaduto pochi giorni fa, non è e non può essere la norma. E' vero che non è la prima volta che l'agenda del calcio presta il fianco a questi eventi. Del resto il nostro sport muove un volume d'affari impressionante. Soltanto per le scommesse legalizzate nelle agenzie il giro è di circa 4 miliardi di euro l'anno. Chiaro che gli interessi di chi vive nell'illecito cerchino sponde. Non è la normalità ma c'è il rischio pericoloso di infiltrazioni.

Non pensa che a pagarne lo scotto, anche indirettamente, siano quei giocatori che onestamente e spesso senza i riflettori addosso, si impegnano tutto l'anno?
No. Chi si comporta bene per certi versi ne esce ancora più motivato positivamente. Ma chi sbaglia è bene che venga colpito, certe intercettazioni sono tremende ed a causa di questi colpi il calcio in generale finisce con l'offrire, ancora una volta, una immagine poco rassicurante.

Perché si finisce in meccanismi simili?
A mio avviso il problema è nella scommessa in sé che è rischiosa. Non si può sperare solo nel virtuosismo della squadra su cui si punta e nella volontà umana in negativo o in positivo. Non si tratta di puntare su una combinazione di numeri ed affidarsi alla sorte. Nel calcio non è la prima volta che succede e accade anche in altri sport. Più cresce il meccanismo delle scommesse più aumentano le possibilità che qualcuno tenti di alterane il risultato con mezzi non leciti.

E come la vive lei che ha sempre tentato di far emergere i valori positivi dello sport, portando avanti anche battaglie di solidarietà, di antirazzismo, di comportamenti corretti?
Io resto convinto che lo sport mantenga sempre un valore educativo. Spesso e volentieri le persone non seguono i principi a cui dovrebbero attenersi. Ad alto livello il calcio vive da show business, come una grande azienda in cui quello che conta è il risultato. Ma vedo che anche nei livelli minori, dove non sembrano esserci grandi interessi, si insinuano scelte non corrette. Il problema è sapere fin dove si vuole portare avanti questo discorso. In fondo "prenderla sportivamente" è segno di un certo tipo di approccio alla vita quando c'è competizione. Ma capita che anche dove non ci sono grossi interessi economici: pur di vincere si scende a compromessi.

Il calcio quanto ha risentito della crisi economica?
Il discorso è diverso fra serie A e serie inferiori. Per la serie A c'è il contratto per i diritti televisivi che è di un miliardo di euro. Questo di fatto mette il campionato principale al riparo dalla crisi. Ovviamente non conosco i bilanci di ogni singola società ma nel complesso si tratta di un sistema economico che gode di buona salute. Il problema è delle società più piccole, di cui sono proprietari piccoli imprenditori che debbono come prima cosa pensare a salvare la propria azienda e poi eventualmente investire nella squadra. I proprietari delle società vivono il proprio territorio più da vicino e non possono rischiare in campionati che non danno grande visibilità. C'è stato anche il caso di Dahlia Tv, il canale a pagamento che doveva avere l'esclusiva del campionato di B ma è fallita e anche questo ha avuto ripercussioni.

Però sembra ci siano dei problemi sui diritti tv anche in serie A.
La situazione è ancora da chiarire. Non sono definite le quote di ripartizione degli introiti e ad oggi ci sono anche difficoltà a far entrare queste cifre. A mio avviso, visto che parliamo di aziende, servono persone con esperienze e competenze professionali più che sportive.

Da noi si parla poco della vicenda Blatter. Sembra destinato a restare per sempre a dirigere la Fifa.
Premetto di non aver mai conosciuto Blatter. Ma noto come l'altro candidato alla presidenza si sia dovuto ritirare. E' difficile non sentire circolare voci o ipotesi dietrologiche in tutto questo. Di fatto però Blatter oggi ha 17 federazioni contrarie alla sua rielezione su 200. Un consenso forte che non credo dipenda solo dalla mancanza di alternative.

Facendo un bilancio della stagione passata come valuta l'inserimento della tessera del tifoso?
E' un bilancio che dovrebbe fare il ministero dell'interno. Non può essere un problema che deve restare unicamente sul tavolo della federazione. Quanto accade spesso dentro e fuori gli stadi è comunque un altro dei limiti del nostro calcio.

Nella finale di Tin Cup, i volontari di Greenpeace hanno cercato di portare attenzione sui referendum con una azione eclatante. Un messaggio rivolto in un luogo ad alta visibilità. Cosa pensa il cittadino Damiano Tommasi dei referendum?
Io credo che qualsiasi occasione per andare a votare sia non solo un diritto ma anche un dovere a cui siamo chiamati. Ritengo un errore non partecipare alla vita politica. Ne ho già sentite tante su come avvengono certe votazioni ma se uno è contrario ai quesiti preferisco che dica di no, contribuendo a costruire un Paese in cui sia possibile discutere. Io ritengo legittimo criticare il sistema elettorale, sulle nomine, su come avvengono le votazioni, ma mi fa male, anche guardando alle ultime elezioni, vedere un così alto numero di astenuti. Un partito, forse il più grande che non si esprime anche perché forse non si sente rappresentato da nessuno e questo è un enorme campanello di allarme per chi fa politica. Ma con i referendum si tratta di scegliere e di dire sì o no, partecipando.

Fonte: Liberazione del 5 giugno 2011
 

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