di Nicola Bossi

PERUGIA - La grande paura dopo il cedimento di una parte di cemento (lo sfioro) della Diga di Montedoglio sul Tevere non è ancora passata. Ma mentre lentamente le acque si ritirano anche all'interno dell'invaso per lasciar posto alle verifiche su verifiche alla struttura, si scoprono anche nuovi elementi seppur agli occhi degli esperti. Tra questi uno delle massime menti pensanti e critiche dell'Umbria, Ilvano Rasimelli, grande vecchio dell'ingegneria e fondatore della Rpa di Perugia.

Lo stile di Rasimelli è forte e allo stesso tempo motivato. In una lettera indirizzata alle autorità giudiziarie e politiche dell'Umbria così commenta quello che è accaduto quella notte dove ormai si è capito: si stavano facendo delle verifiche di tenuta della diga. "L’operazione di verifica di tenuta della diga - scrive Ilvano Rasimelli - al livello del franco di piena viene, di norma, effettuata utilizzando le normali portate del bacino e assicurando, quindi, un lento innalzamento del medesimo. Al contrario, l’esperimento è stato irresponsabilmente effettuato mentre nella zona ancora pioveva dopo un periodo di alte precipitazioni".

Rasimelli dunque mette in evidenza delle anomalie di procedura di verifica che possono contenere delle responsabilità oggettive se normate da regolamenti. Tradotto: le forti piogge presenti e passate recenti avevano già reso il bacino troppo aggravvato di acque per fare delle verifiche di piena ordinarie.

Continua Rasimelli: "E’ paradossale, poi, il crollo della parete laterale dello scarico di superficie, perché questo evento poteva compromettere il contatto con la diga in terra che per il dilavamento, ad opera dell’enorme flusso idraulico, avrebbe rapidamente travolto l’intera diga con conseguenze inimmaginabili su tutta la vallata sottostante fino al di sotto del comune di Perugia". Tradotto:poteva esserci stata una strage sia per colpe strutturali che per colpe gestionali.

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