Il 16 ottobre diventa un movimento
Non si chiama più Finanziaria, ora è legge di
stabilità. Non è più dettata dal singolo stato ma dall'Ue che a sua
volta risponde agli ordini dei paesi forti, quelli che dettano le
regole, riorganizzano i poteri e impongono ai paesi di serie B una
politica forcaiola di tagli: a cultura, ricerca, scuola, ai diritti del
lavoro. Il 15 dicembre i governi dei poveracci andranno in processione
a Bruxelles con il cappello in mano ad affrontare l'esame: i tagli sono
sufficienti? Sarà meglio, sennò giù sanzioni. Non c'è destra e sinistra
che tengano. Figuriamoci quanto contano le differenze tra le due destre
italiane, divise su tutto e unite nel sostenere, in forme e con
linguaggi diversi, il ddl assassino della Gelmini e l'altrettanto
assassino Collegato lavoro. Tutte e due queste destre (e non solo)
vogliono il patto sociale perché hanno bisogno di rematori stupidi e
obbedienti. Il problema non è liberarsi di Berlusconi, obiettivo
sacrosanto, ma andare oltre il berlusconismo. Se a Londra gli studenti
danno il giro ai piani del governo mettendo da parte le buone maniere,
a casa nostra si preparano tempi duri per la politica «classista» dei
tagli e si appronta un'agenda che dovrebbe preoccupare le due destre e
interrogare l'antiberlusconismo politico pronto a una «battaglia
comune» con la Confindustria.
Ieri a Bologna è andato in scena il comitato «Uniti contro la crisi»,
quelli del 16 ottobre in piazza San Giovanni e del 17 alla Sapienza.
Non stiamo parlando di un intergruppo operai-studenti in cui ci si
scambia solidarietà reciproca, è un tentativo più ambizioso: costruire
percorsi, ricerche e lotte comuni perché uno è il progetto da
combattere, che al governo ci sia una destra o l'altra, o un comitato
di salvezza nazionale, o che si torni alle urne senza un progetto
alternativo a quello liberista dominante. L'obiettivo è che gli
studenti, i movimenti per i beni comuni, i precari, i motori delle
lotte sociali e ambientali non siano più, nel futuro immediato, ospiti
della Fiom e che la Fiom non sia ospite all'assemblea degli studenti
alla Sapienza, ma che ognuno nelle lotte si senta a casa sua perché
obiettivi e percorsi sono costruiti insieme. Con la democrazia e
l'autonomia dal quadro politico dato.
L'idea lanciata all'assemblea degli studenti il giorno dopo la
manifestazione oceanica della Fiom era di rivedersi tutti a Roma l'11
dicembre perché questo movimento deve andare avanti, crescere,
radicarsi. Ma che senso avrebbe, lo stesso giorno della manifestazione
del Pd contro Berlusconi? Non ha senso contrapporsi né aderire, ne sono
convinti tutti, non ha senso tirare per la giacchetta questo o quello,
magari la Cgil recalcitrante sullo sciopero generale e impegnata a un
tavolo sulla produttività che non promette nulla di buono.
Dunque, l'appuntamento indetto da Uniti contro la crisi si anticipa e
raddoppia: il 9 dicembre iniziative in tutti i territori e i luoghi
simbolici, magari a Melfi e Pomigliano, meticciando storie, linguaggi,
fabbriche, atenei, ambiente e beni comuni, i migranti di Brescia (a cui
l'incontro di Bologna ha inviato un «presente») e i manifestanti di
Terzigno. L'indomani, il 10 dicembre, tutti a Roma, magari non
all'università ma in un luogo sociale comune insistono gli studenti. Il
cammino prosegue nella preparazione di un seminario da tenersi a fine
gennaio a Porto Marghera, preparato nei luoghi di lavoro, studio e
ricerca più o meno precari.
Buon lavoro per tutti, almeno un reddito di cittadinanza. E' giusto
spiegare agli studenti che il collegato lavoro cade sulla loro testa e
cancella diritti presenti e futuri, umilia, divide, tenta di
trasformare il conflitto verticale in un conflitto orizzantale, in una
guerra tra poveri. Agli operai metalmeccanici è più facile spiegare la
strage in atto nella scuola. Forse un operaio di Pomigliano in cassa
integrazione, con il futuro sequestrato da un imperatore che detta
ordini e regole da Torino o Detroit, riuscirà mai a mandare il figlio
all'università?
A Bologna si è discusso con passione tra studenti, ambientalisti,
metalmeccanici, precari. Costruire un'agenda e lotte comuni tra
linguaggi e pratiche diversi è opera, se non titanica, molto
impegnativa. Molti dei presenti erano giovanissimi, altri avevano sulle
spalle il G8 di Genova, la disobbedienza, la pratica dei centri sociali
e qualcuno, pochi, le esperienze del secolo scorso, il 68-69, il
risucchio della politichetta. Da generazioni diverse un comune
convincimento parla di autonomia politica, non dalla politica ma dalle
dinamiche e qualità di questa politica. Puntando sui contenuti:
difendere una fabbrica senza pensare a una riconversione industriale
ecologicamente e socialmente compatibile non fa fare molta strada, e
viceversa. Lo sbocco? Lo sciopero generale chiesto dalla Fiom, che non
può essere «una tantum» perché la crisi è lunga, la destabilizzazione
fortissima, il fascino populista e autoritario mina società e relazioni
sociali. Sciopero generale per cominciare, allargato, contaminato,
includente. Con la lotta di studenti e precari che non si ferma, c'è il
mostro approntato dalla Gelmini che incombe: primo appuntamento il 17,
secondo il 25 davanti a Montecitorio. Con un occhio a Londra.
Fonte Il Manifesto

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