MARCHIONNE Quel che avreste voluto sapere su Pomigliano
Di Loris Campetti
Do you remenber Pomigliano? Sì, Pomigliano, quella fabbrica sotto il
Vesuvio da dove da due anni non escono automobili, mentre tra poco
rischiano di uscire operai a mazzi? Datemi l'anima, il diritto di
sciopero e la mezz'ora di mensa, rinunciate alle pause, evitate
d'ammalarvi e io vi darò un futuro. Vi darò la Panda strappata ad altri
disgraziati, lassù in Polonia, a cui darò in cambio la Ypsilon
strappata a quelli di Termini Imerese. Era solo uno scherzo quello di
Sergio Marchionne, anzi una gigantesca presa per il culo. Chiudo e
riapro con un altro nome, aveva detto, così prenderò solo yes-men, anzi
yes-workers. Farò investimenti a raffica, darò il sidol ai cancelli
della fabbrica e il miracolo si realizzerà, anche i muti potranno
parlare mentre i sordi già lo fanno.
Di miracoli non se ne vedono e si sente puzza di cimitero. Marchionne
fa sapere che per ora di Pomigliano se ne fa niente. Anzi, non
investendo uno solo dei 700 milioni di euro previsti
dall'accordo-bidone, invece della cassa integrazione speciale chiederà
la cassa in deroga, anticamera della mobilità e dunque della
cancellazione dei posti di lavoro. E ha un vantaggio, questo
ammortizzatore sociale: lo paga tutto la collettività, la Fiat non ci
mette un euro. Dixit Marchionne, quello che non prende una lira dallo
stato. Che bella idea, dicono Fim, Uilm e Fismic, così si salva
Pomigliano. E per salvare Mirafiori siamo pronti a firmare lo stesso
accordo-bidone di Pomigliano.
L'uomo simbolo dell'industria italiana, che dà l'esempio e il là a
tutto il padronato, sta mandando a rotoli la nostra prima
multinazionale. Lo dicono i dati dei mercati. La Fiat va a picco perché
non ha modelli nuovi, non investe sul futuro ma continua a raccontarci
che per colpa della Fiom potrebbe essere costretta a lasciare l'Italia.
Ognuno fa il suo mestiere, più o meno bene. Marchionne fa il suo e per
questo è pagato come 435 operai di Pomigliano. Lo fa cercando di
cancellare la dignità di chi lavora. Quel che sconforta è che in tanti
in politica e nei sindacati continuino a credergli, o fingano di farlo.
La Fiat non vende perché non ha macchine da vendere, crolla del 40% in
Italia, la sua quota si assottiglia da mesi in casa e in Europa e tutti
dibattono sul fatto che tre operai di Melfi avrebbero bloccato un
carrello durante uno sciopero macchiandosi così del reato di
sabotaggio. Non c'è più morale, contessa. Ma se a sabotare la
produzione è proprio Marchionne, con le sue previsioni sbagliate, con i
ritardi sul rinnovo (magari in una direzione un po' più ecocompatibile)
del parco auto messo sul mercato... A proposito dei tre operai Fiom
licenziati, a cui per la giustizia dev'essere restituito salario e
lavoro mentre la Fiat ha restituito solo il salario: forse già oggi un
giudice d'appello di Melfi emetterà un nuovo verdetto. Tutti quelli che
l'hanno preceduto, a Melfi come a Torino, hanno già condannato la Fiat
per antisindacalità.
Domani il ministro più lungamente atteso, meno amato dal Quirinale e
già a libro paga di Berlusconi, Paolo Romani, incontrerà Marchionne.
Tra i due soggetti - padrone e governo - non si sa chi sia più
colpevole. Si sa solo che tutta la colpa della crisi è della Fiom. E
della rigidità operaia.
Da Il Manifesto del 3 novembre 2010

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