di Paolo Brutti

C’è qualcosa nelle dimissioni di Draghi che mi ingenera una sottile felicità. Non durerà questa felicità perché Draghi tornerà in sella di un governo senza 5S come hanno chiesto tutti i partiti della vecchia maggioranza in Senato. Ma lasciatemi per qualche giorno sprofondare dentro questa felicità, più forte perché transitoria. Dove è la fonte di questa dolce sensazione? Nella forza insopprimibile della democrazia. 
Venticinque secoli fa i grandi proprietari di terre si riunirono sotto una tenda per ascoltare il consiglio di un filosofo noto a tutto il mondo su una domanda alla quale avevano chiesto la sua risposta. La domanda era semplice. Noi, dicevano, siamo gente educata da generazioni al bene  della città, alla sua prosperità, al bello e alla scienza. Educhiamo i nostri figli agli studi e usiamo la nostra ricchezza per farli eccellere nella conoscenza del bene della città. Noi siamo i migliori ed educhiamo i nostri figli ad esserlo per loro e per gli altri. Noi siamo oi Aristoi. Nei tempi difficili spesso ci chiamano per reggere l’urto dei problemi. Ma quando passa la bufera ci respingono e se resistiamo ci scacciano,  come è accaduto ora. Ti abbiamo chiamato perché tu ci dica come possiamo fare in modo che ciò non accada più quando torneremo in città. E soprattutto se questo che sosteniamo non sia giusto, naturale e buono in sé, secondo la sostanza delle cose. 
Il filosofo si sedette tra loro e attese il silenzio. Vedete, disse, in città vale un principio, che loro chiamano democrazia. Prima del potere viene il consenso e questo ha una misura, la volontà della maggioranza. Questo perché la città è grande, fatta di molte attività come i vostri campi, poi le fornaci, le costruzioni, la fabbrica delle armi e quella degli acquedotti. Poi ci sono le navi che vanno ovunque e portano una grande ricchezza. Ed è il popolo che fa andare le navi e tutto il resto, anche i soprastanti dei vostri schiavi sui campi. È il popolo che fa andare avanti tutto e il popolo ha scelto la democrazia, perché è la forma di governo che meglio rappresenta la sua condizione di essere molti e di esercitare molteplici attività. Dunque se vorrete governare per sempre la città dovete abolire la democrazia e sostituirla col riconoscimento del vostro merito. Poiché non siete in grado di fare questo voi non vincerete. La vostra guerra porterà a qualche successo se la combatterete non contro il popolo ma contro la democrazia. E poiché questa guerra riunirà il popolo contro di voi, voi la perderete e con essa perderete anche le vostre ricchezze e la vostra stessa vita. 
In democrazia nessuni può essere assunti al governo per merito o per studio ma solo per consenso. Chi piange Draghi piange il potere dell’aristocrazia. Nessuno dei governanti europei lo è solo perché prima è stato in un alto consesso internazionale, perché è stato un banchiere centrale, perché parla con sicurezza con i grandi del mondo. Nessuno. E per converso nessuno che è stato grande banchiere è mai per ciò è per ciò solo primo ministro. In qualche modo Draghi è, o speriamo è stato, il più grave attacco alla democrazia e alla autonomia della politica che ci sia stato in Italia in questo dopo guerra. Questo pericolo è penetrato nella nostra democrazia senza incontrare resistenza e tutto è diventato evidente con la guerra. Non so se Draghi appartenga a qualche ristrettissimo circolo internazionale che gioca col mondo. So che la sua natura di consigliere del principe è quanto di più vicino ci sia della democrazia della loggia, dove i pari si scelgono tra loro e decidono cercando il consenso e nascondendo la loro identità. 
Per questa sua caduta sono felice ma so che non durerà e lo troveremo ancora sopra noi, più forte e solitario di prima.

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