Lorenzo Carletti: le colpe e le responsabilità della sanità Umbra
Emergenza #Covid, #Tamponi e crisi sanitaria, un disastro per cui era difficile far peggio.
Il nuovo anno inizia portando con se tutti i disastri politici del precedente. Non solo: la quarta ondata si sta abbattendo con tutta la sua forza per rapidità dei contagi, anche se almeno per adesso non per gravità delle conseguenze. Inoltre, anche in Umbria restano circa 70 mila persone senza vaccino, nonostante più della metà degli ospedalizzati venga dalle loro fila.
Un quadro fuori controllo, dove il tracciamento è stato totalmente spazzati via, primariamente a causa dei tagli scriteriati agli addetti più che all’aumento esponenziale dei positivi; la prima linea caratterizzata dai medici di base è stata ancora una volta schiacciata dall’emergenza, per scarsità di dotazioni e per scelte irresponsabili come quelle di non potenziare, anzi di interromperne la continuità di azione, delle Usca.
Risultato: assalto alle farmacie ed alle postazioni Drive oppure un sostanziale atteggiamento omertoso in assenza di controllo e di possibilità di verificare la propria condizione rispetto al Virus.
Qui sta tutta l’inconsistenza di una gestione le cui conseguente devastanti ricadono su persone e famiglie: l’irreprebilità ed i costi esorbitanti dei tamponi. Non è pensabile che in condizioni di rischio si debba aspettare intere giornate per accedere ad un tampone e che questi non siano distribuiti gratuitamente dai medici di famiglia o che si abbia la concreta possibilità di farlo in auto in tempi accettabili e non con attese che vanno dalle 3 alle 8 ore.
Ciò che logicamente andava fatto, cioè predisporre gli strumenti per tracciare singolarmente e collettivamente il virus, garantire libertà e gratuita di accesso al tampone, è l’ultima cosa a cui si è pensato, lasciando come al solito le persone al ricatto “attendere senza garanzia o pagare”.
Nella nostra Regione, più che in altre, assistiamo come la “risposta” (sarebbe più utile parlare di rincorsa) all’emergenza, che la modifica del titolo V della Costituzione praticata da tutte le forze politiche che oggi siedono al Governo, attraverso l’autonomia regionale (differenziata) restituisce esiti inconsistenti e diversi per ogni territorio.
Così implode quello schema universale ed equo sancito con la nascita del Sistema Sanitario Nazionale e progressivamente eroso, se non umiliato, da politiche decennali di tagli alla sanità e di restringimento dei presidi di territorio.
Il risultato è un si salvi chi può che urla la sua vendetta nei confronti dei vertici di Sanità e restituisce al cittadino italiano un servizio diverso, cioè non omogeneo, cioè iniquo, in base alla ricchezza e lungimiranza della propria amministrazione regionale, spesso orientata alla sanità privata e quindi indisponibile a potenziare il sistema pubblico.
I Governi che si sono succeduti in questi due anni pandemici hanno gestito la questione sempre e solo come un'emergenza sanitaria anche ora a distanza di circa due anni dall'inizio dell'evento. Troppo spesso hanno delegato alle regioni la gestione della stessa inducendo in molti territori a processi di privatizzazione gestionali. Le regioni non hanno assolutamente investito sulla medicina territoriale, ridotto al minimo la prevenzione e la cura.
Si rincorre la pandemia invece di prevederla con interventi strutturali che ne avrebbero permesso il controllo della stessa.
Nesun intervento sulle scuole per renderle agibili con classi di 15/20 alunni, ripristinando plessi scolastici in disuso, assumendo nuovo personale e mettendo nelle aule un serio piano di areazione meccanizzata.
Nessun intervento sulla gestione dei trasposti carichi fino all'inverosimile e grossa fonte di trasmissione del virus.
Nessuna assunzione di responsabilità nel rendere obbligatorio il vaccino che come si sta evidenziando è l'unico strumento, insieme all'uso delle mascherine e dell'igene individuale, può arginare la malattia grave, rendendo con il tempo la malattia endemica come una qualsiasi influenza, permettendo inoltre la non ospedalizzazione ed il ricorso alle terapie intensive.
L’Umbria certamente si inquadra in questo disastro, ma con una marcia in più verso il baratro del servizio pubblico e del principio di diritto alla cura.
Le ragioni di questo disastro sono diverse, a cui si aggiungono le scelte surreali adottate dal nuovo piano sanitario regionale che prevede, prima tra tutte, il dimezzamento dei distretti sanitari sul territorio. Il tutto in un quadro pandemico acuto!
La distruzione della medicina territoriale, la riduzione ai minimi termini dei servizi di prevenzione, l’ignoranza sul ruolo dell’epidemiologia, l’enorme peso della sanità privata nel Servizio Sanitario Regionale, una gestione del Servizio Sanitario pubblico condotta secondo le logiche, gli obiettivi e gli interessi di un Sevizio Sanitario privato ed infine una medicina centrata in gran parte sulle cure d’eccellenza, innovative ed estremamente costose, che non solo ha ignorato ogni forma di medicina di comunità e di continuità assistenziale, ma ha anche prosciugato le risorse da destinare all’assistenza sanitaria quotidiana dell’insieme della popolazione, sono solo alcune delle eccellenti visioni di questa classe politica regionale.
Indebolire l’assistenza sul territorio costringe i cittadini ad andare al Pronto soccorso per qualunque cosa, aumenta i ricoveri impropri e fa crescere la spesa sanitaria. Insomma, più forte è la medicina territoriale, minori saranno i costi totali del sistema sanitario.
Questa è la sanità pensata e praticata dall’assessore “lombardo-Veneto” Coletto e dalla Presidente Tesei, che, infatti, proseguono nella loro opera di demansionamento e devastazione di quella che era una delle migliori realtà sanitarie pubbliche dell’Italia Mediana e del paese tutto.
Questo fintanto che le diverse classi dirigenti non hanno deciso di svendere al capitale economico privato ed alla sua fame di speculazione in un settore costituzionalmente F-O-N-D-A-M-E-N-T-A-L-E in cui la politica dovrebbe rappresentare il più alto principio di universalità e garanzia a fondamento di un paese moderno, civile, democratico.
A chi ha a cuore la difesa del principio di sanità universale, a chi sta scontando sulla propria pelle le iniquità di questo sistema sanitario e sociale, a chi ha intenzione di non rimanere fermo noi proponiamo una mobilitazione permanente che si opponga, politicamente e socialmente al disastro di classi dirigenti senza visione e senza coraggio.
Medicina di territorio, ripristino delle funzionalità ospedaliere e consolidamento degli ospedali territoriali e di comunità, contrasto alla speculazione economica privata e piano per il lavoro e per assunzioni di personale medico e sanitario a garanzia di prestazione e dimezzamento dei tempi di attesa sono solo gli aspetti essenziali di una battaglia che deve diventare concretezza del pensare e dell’agire politico.

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