La pedina di vetro di Antonella Tavassi La Greca
La pedina di vetro di Antonella Tavassi La Greca
Recensione di Maria Pellegrini
Giulia, figlia di Ottaviano e della sua prima moglie Scribonia, è il soggetto di un’autobiografia romanzata di Antonella Tavassi La Greca, “La pedina di vetro” (Di Renzo Editore, pgg. 236, € 13,50). Il volume uscito per la prima volta nel 1999 è arrivato alla sesta ristampa ed ha avuto un crescente successo per l’apprezzamento di critici e lettori perché l’intento dell’Autrice è stato quello di rimanere fedele il più possibile a quanto testimoniato dalle fonti storiche, puntigliosamente ricercate e annotate, e di non manipolare gli eventi, ma di interpretare soprattutto i sentimenti di una famosa donna del mondo antico scrutando ogni piega del suo animo per immaginarne e scrivere i pensieri, i dolori, le passioni e le delusioni, perché non è stato tramandato nulla scritto da lei stessa. Queste memorie redatte in prima persona a nome di Giulia sono un risarcimento di quelle probabilmente stilate da lei nei lunghi giorni dell’esilio e non pervenute, come del resto accadde a quelle di Agrippina, madre di Nerone. A noi donne resta soltanto di rassegnarci «alle arbitrarie selezioni della storia», commenta Tavassi La Greca nella sua Introduzione.
Il volume ripercorre tutte le tappe della vita di Giulia dall’infanzia alla solitudine dell’esilio sull’isola di Pandataria (odierna Ventotene) dove «l’ha scaraventata la collera del padre Augusto» che pure l’aveva molto amata. Tavassi La Greca, in una breve introduzione ricorda al lettore in quale circostanza è nato in lei l’interesse per questa figura femminile bella, intelligente e colta ma dal destino terribile: è diventata una «pedina di vetro» nelle mani del padre «che erano abituate a fare e disfare a loro piacimento». E la fragile pedina, Giulia, s’infrangerà per essere stata incapace di rappresentare la vera matrona romana come la sua matrigna Livia.
Il libro si apre con la descrizione di un temporale con lampi accecanti sul mare mentre Giulia è in compagnia della madre Scribonia che ha voluto seguirla in quel luogo d’esilio per alleviare la sua sofferenza. «Le giornate sono una uguale all’altra, su quest’isola aspra e bellissima», scrive Tavassi La Greca divenuta Giulia e immaginandone pensieri, ricordi e speranze di poter tornare alla vita brillante di un tempo, quando era quell’attraente e disinvolta figlia del Principe che incarnava le aspirazioni della nuova generazione, quella che non aveva conosciuto le guerre civili, i conflitti, gli orrori, ma soltanto il benessere e la ricchezza derivante dalla pace e per essere figlia di Ottaviano (nel testo è sempre chiamato Augusto nonostante tale titolo lo avesse avuto molti anni dopo la nascita di Giulia e il matrimonio con Livia).
Il racconto prosegue con l’entrare in scena di Livia, terza sposa di Augusto che prima di Scribonia aveva preso in nozze la giovane figliastra di Antonio, ma l’incontro con Livia «bellissima e di soli diciannove anni è amore a prima vista: subentrarono poi dei calcoli che non sono certo alieni dalla personalità di un uomo invaghito del potere come lui».
Figlia d’un patrizio anticesariano e acceso repubblicano e moglie d’un altro acceso anticesariano, quale era Claudio Nerone, Livia non restò insensibile all’amore di quel giovane, nonostante avesse già avuto dal marito il primo figlio, Tiberio, e fosse incinta del secondo che si chiamerà Druso. Il futuro primo imperatore decise di divorziare da Scribonia che aveva appena dato alla luce la loro figlia Giulia e convinse Claudio Nerone a fare lo stesso con Livia. Il matrimonio fu celebrato immediatamente, cosa che recò materia di scandalo ma la sposa era serena «come non fosse accaduto nulla. Sembrava essere stata tutta la vita la moglie di Augusto».
Alle nozze non segui la nascita di un figlio come aveva sperato Augusto che allora pose proprio in Giulia le sue speranze dinastiche. Fin da piccola la bambina visse nella casa paterna, all’ombra di Livia e per nulla docile nei confronti dell’educazione che la influentissima e austera matrigna intendeva imporle. Aveva dieci anni e già per lei si progettavano fidanzamenti. A 14 anni il padre decise di darla in matrimonio al nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia.
Giulia ricorda il giorno del matrimonio: «il sorriso di Marcello … la fiducia che lei, giovinetta di 15 anni, riponeva in lui ... il viso radioso di Ottavia, madre dello sposo … l’assenza di Augusto preso da crisi respiratorie». Se l’assenza del padre è documentata dallo storico Cassio Dione, sono frutto dell’immaginazione di Tavassi La Greca le atmosfere, i dialoghi, il festino che ne seguì, il piacere della notte di nozze. Fatti reali s’intervallano a descrizioni immaginate di paesaggi, dialoghi, risate. La tentazione di scrivere biografie di personaggi famosi del passato ha investito nel corso dell’ultimo secolo molti scrittori, ma il biografo di una vita che non ha realmente vissuto ha spesso l’ambizione di dare un ritratto veritiero del personaggio da lui scelto, ma non sempre riesce a frenare l’immaginazione e la sua fantasia creativa può sfuggire a ogni controllo con la narrazione di vicende, dialoghi, atmosfere del tutto immaginarie. Perciò di recente sul genere letterario dell’autobiografia romanzata si sono manifestate diffidenze e timori, perché descrivendo la vita con gli occhi di un altro, si corre il rischio di interpretare superficialmente la complessità degli eventi dell’epoca. Tavassi La Greca rispetta la verità storica che fa da sfondo ai personaggi coinvolti nella narrazione, ma trasformando in romanzo le vicende biografiche di Giulia, figlia di Augusto è inevitabile che siano frutto della sua immaginazione le descrizioni dei sentimenti, aspirazioni e parole pronunciate nel corso del racconto.
Sulla la tragica fine del giovane sposo di vent’anni, morto per una malattia fulminea si nutrirono dubbi, ma la giovane sposa racconta che «Augusto ordinò che fosse data la massima diffusione al referto medico … il funerale fu il più imponente che si fosse visto a Roma … io vestita a lutto sprofondai in una tetra e prematura vedovanza, ritornata sotto l’autorità di mio padre e di Livia». A sedici anni l’irrequieta Giulia è vedova ma per il padre è una pedina da giocare per raggiungere i suoi scopi: «Augusto, benché addolorato, stava riflettendo a come giocare sulla scacchiera del gioco dei Latruncoli (simile al nostro gioco da tavolo della dama) la sua migliore pedina di vetro». Per lei subito si programma un nuovo matrimonio. Livia avrebbe voluto che fosse scelto il proprio figlio Tiberio ma Augusto scelse il fidato Agrippa che aveva la sua stessa età. Tra Agrippa e Tiberio, Giulia dopo momenti di incertezza accettò l’amico del padre perché confessò: «che avrebbe sposato anche Polifemo purché la cosa fosse sgradita a Livia e avesse urtato contro i suoi progetti di gloria per la casa Claudia».
Quel matrimonio programmato dalla “ragion di Stato” sembrò felice, e soprattutto fu molto prolifico. Nacquero due figlie, Giulia, detta Minore (per distinguerla dalla madre detta poi Giulia Maggiore) e Agrippina.; due figli Gaio e Lucio che subito adottati da Augusto assunsero i nomi di Gaio e Lucio Cesari.
«Nessuno dei miei due mariti mi aveva scelto. E io non avevo mai potuto scegliere» si legge nelle supposte memorie di Giulia; perciò la giovane si lasciò corteggiare da Sempronio Gracco dell’illustre famiglia dei Gracchi. Lo ricorda quando durante i ricevimenti che lei organizzava in casa declamava versi: «mentre recitava con la sua voce dall’inflessioni profonde, continuava a fissarmi e io cadevo in uno stato di eccitazione indescrivibile, che non ricordavo di aver mai provato …perché consideravo Agrippa più come padre dei suoi figli che un marito … al suo fianco avevo provato l’appagamento della maternità». Quando cominciarono a circolare voci e pettegolezzi sulla sua condotta Gilia si stupì del comportamento del marito: «Non mi chiese nulla di quello che gli era arrivato all’orecchio ma mi pregava di seguirlo nel suo viaggio in Grecia e in Oriente».
Lei accettò ed ebbe «la possibilità di apprezzare le sue straordinarie doti … ovunque ci furono tributati omaggi quasi regali come se fossero due sovrani». Tornata a Roma ricominciò con prudenza a frequentare Sempronio confessando però «la mia era una lucida pazzia». Agrippa, partito per una nuova campagna militare in Pannonia, improvvisamente sulla via del ritorno, arrivato a Capua, morí. Giulia era accorsa a incontrarlo ma lo trovò senza conoscenza, «la malattia aveva avuto ragione in pochi giorni della sua fibra fortissima». Augusto gli rese onori solenni, ne pronunciò un elogio solenne e ne raccolse le ceneri nel Mausoleo presso il Campo Marzio eretto per la propria famiglia dopo la morte di Marcello.
Dopo la sua morte nacque l’ultimo figlio, perciò fu chiamato Agrippa Postumo.
Giulia racconta la sua vita fin qui scandita da due matrimoni e due funerali. Era di nuovo vedova e Augusto predispose per lei un altro matrimonio. Anche questa volta la sua scelta cadde su una persona del proprio ambito familiare: il figliastro Tiberio. Giulia scrive «sono certa che fu costretto, come lo fui io» e lui dovette accettare tale decisione e ripudiare la bella e virtuosa Vipsania Agrippina.
Il matrimonio fu salutato con sontuosi festeggiamenti e considerato con grandi speranze. Tiberio visse con Giulia dapprima in concordia, ma ben presto nacquero dissapori, e il distacco fra i due si aggravò in seguito alla morte di un loro figlioletto di pochi mesi. Frattanto Sempronio Gracco si era riavvicinato a Giulia riprendendo l’antica illegittima relazione. In seguito a queste gravi delusioni, Tiberio si ritirò a Rodi e vi rimase per sette anni. Ma proprio mentre era là, nel 2 a. C., esplose l’ira di Augusto per gli ormai intollerabili scandali suscitati dalla condotta di Giulia che ha diversi amanti tra i quali anche Jullo, figlio del suo grande nemico Antonio e altri provenienti da famiglie che avevano ricoperto un ruolo importante nella Roma repubblicana. Si parlò di una congiura ordita contro l’imperatore alla quale non era estranea la figlia stessa. Giulia ricorda che nell’ultimo colloquio con il padre fece di tutto per convincerlo che era stata tutta una macchinazione orchestrata da Livia: «Mi sono umiliata fino a buttarmi ai suoi piedi ... L’ho supplicato di non macchiarsi le mani con il sangue di innocenti … Tutto è stato inutile». Infatti Augusto fu irremovibile e cominciò a punire proprio lei; secondo la legge emanata da lui stesso che obbligava il marito o il padre a denunciare la moglie infedele, spedí subito a Giulia una lettera con cui rompeva il matrimonio in nome di Tiberio e la fece esiliare.
Un dolore inaspettato la sopraggiunse durante l’esilio per due volte: i suoi figli Caio e Lucio morirono a distanza di due anni. Dietro queste repentine morti gravava il sospetto che fosse Livia la mandante ma ciò non era documentabile.
Nel 4 d.C. a Giulia fu permesso di lasciare l’isola e trasferirsi a Rhegium, e lei cominciò a sperare che fosse una tappa di avvicinamento a Roma, invece vi rimase dieci anni. Apprese della morte di Augusto, e l’amareggiò il pensiero che suo padre non si era mosso a pietà neanche in punto di morte; quanto aTiberio, succeduto al patrigno nella suprema carica dello Stato, fece uccidere l’ultimo figlio di lei e del suo precedente marito, Agrippa Postumo, e si vendicò dopo 14 anni degli affronti subiti dalla bella Giulia uccidendo il suo amante Sempronio Gracco.
Giulia morì esule, disonorata, in miseria, all’età di cinquantatré anni, appena dieci mesi dopo che Tiberio aveva ottenuto il Principato. Le sue immaginarie memorie si aprono con la vista sul mare e si chiudono mentre lei sulla spiaggia «cerca il mare con gli occhi: la sua distesa è grigia e immobile ... un gabbiano vola basso … allarga le ali e si innalza … fa sfoggio della sua libertà».
Nell’immagine: copertina del libro La pedina di vetro

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