Sulle implicazioni tecniche dei  Giochi Olimpici e delle Paralimpiadi  potremmo discutere fino alla noia, ma vivaddio, lo sport non è fatto solo di queste.

Ricordo che una ragazza, paraplegica americana con il pallino dei 100 e 200 metri da percorrere in carrozzella, s’è vista riconoscere dal giudice della sua Contea il diritto di misurarsi in pista contro avversarie, diciamo così, normali.

La vittoria della ragazza ha premiato il suo sconfinato amore per l’atletica insieme alla fermezza, anzi la testardaggine, con cui ha voluto che le fosse riconosciuto il diritto a competere su un piano di perfetta parità con le compagne di scuola.

Se poi ci si vuol proprio fermare all’analisi delle implicazioni, le più evidenti sono quelle che danno senso all’idea di sport, come esercizio motorio e confronto di abilità nel rispetto di regole comuni e condivise dai partecipanti.

Elementi che, come si vede, prescindono dall’utilizzo degli arti superiori o inferiori, poiché fanno riferimento più a valori che a strumenti.

E, fra i valori che lo sport propone, non ci sono solo quelli della correttezza cui devono attenersi i gareggianti, ma connessioni sociali, come l’integrazione e la solidarietà.

La ragazza paraplegica, dunque, ha vinto segnando un record: ha battuto tutti prima di cominciare la gara.

Ha sconfitto ogni pregiudizio, ogni luogo comune che si ostina a segnare nelle differenze fisiche la diversità fra individui con pari diritti.

Poco importa, nello specifico, che ci sia voluto il giudice di un tribunale a stabilire l’ovvietà dell’uguaglianza; semmai, partendo proprio dal suo giudizio, ciascuno di noi dovrebbe riflettere sulla sterile grettezza che, su tanti fronti, ci spinge a discriminare a causa di falsi modelli acquisiti.

Quando saremo in grado di far propri i principi di parità fra gli esseri umani avremo anche imparato a far uso libero e democratico delle relazioni interpersonali, oltre che sentirci più ricchi nella dignità individuale e collettiva.

Ing. Giocondo Talamonti

 

 

 

 

 

 

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