La rivolta di Boudicca contro l’occupazione romana della Britannia.
di Maria Pellegrini
Giovedi 23 giugno la Gran Bretagna (Regno Unito) ha votato per uscire dall’Unione Europea. I giornali, le radio, le televisioni di tutto il mondo s’interrogano sulle conseguenze di questa scelta. Per chi si interessa di storia romana tornano alla mente le lunghe vicende della conquista della Britannia da parte di Roma, iniziata al tempo di Giulio Cesare (55 a. C.) e proseguita in età imperiale fino al 410 d.C., quando orde di Sassoni invasero l’isola e l’imperatore Onorio non corse in suo aiuto. Le legioni romane abbandonarono l’isola.
Con il nome “Britannia” di derivazione celtica i romani indicavano gran parte delle”“insulae britannicae”, cioè l’odierna Gran Bretagna.
Il primo contatto diretto tra romani e britanni ci fu quando Giulio Cesare, già impegnato nella conquista della Gallia, condusse due campagne militari nella parte meridionale della Britannia di fronte alla costa gallica, la prima nel 55 a. C., la seconda nell’anno seguente. Anche se non riuscì nella conquista di territorio, Cesare stabilì un sistema di clientele con i capi di quelle popolazioni divise in tante tribù, portando parte dell’isola sotto la sfera di influenza di Roma, ma di fatto indipendente anche se soggetta a un tributo annuo.
Augusto e i suoi primi successori progettarono uno sbarco sulle coste britanniche ma non lo misero in atto. Per l’effettiva invasione romana della Britannia si dovette attendere fino al tempo dell’imperatore Claudio (41-54 d. C.).
Nel 43 le truppe romane sconfissero i britanni che abitavano la parte sud orientale dell’isola e conquistarono la loro capitale Camulodunum, (odierna Colchester). Qui fu stanziata una colonia di veterani. La Britannia nel 46 divenne una provincia imperiale, sottoposta al governo di un legato di Augusto, di rango consolare. L’imperatore Claudio tornato a Roma celebrò il trionfo e prese il soprannome di “Britannico”.
Per i primi venti anni, il dominio romano fu oppressivo e brutale e suscitò numerose rivolte che mostrarono l’aggressività dei dominatori.
La storia della conquista di questa isola nebbiosa e piovigginosa, così lontana dall'Urbe, è ricca di vicende che in questa sede sarebbe troppo lungo trattare. Ci limiteremo a ricordare un episodio della rivolta antiromana del 60-61 mentre era imperatore Nerone. A guidarla era Boudicca, regina degli Iceni, una potente e ricca tribù della Britannia, che viveva nell’odierna zona di Norfolk (Inghilterra orientale).
Due grandi autori dell’antichità, Tacito e Cassio Dione, ci hanno lasciato molte notizie su questa rivolta contro la dominazione romana.
L’amministrazione delle terre della nuova provincia era stata affidata ai re delle varie tribù lasciati sul trono come “re clienti”, che dai Romani erano considerati temporanei perché alla loro morte il regno sarebbe divenuto provincia imperiale. Uno dei “re clienti”, Prasutago, a capo degli Iceni, aveva accettato la protezione dell’imperatore in cambio di pace, e aveva promesso che alla sua morte avrebbe lasciato in eredità a lui il suo regno, ma quando nel 61 morì, nel testamento nominò, contrariamente alla promessa fatta, sua moglie Boudicca co-erede dell’imperatore sperando così di ottenere protezione per la sua famiglia. Invece rozzi e violenti veterani romani, oltretutto contrari all’idea di essere governati da una donna, presero a depredare gli abitanti come se il regno fosse un bottino di guerra e non un regno cliente. I nobili Iceni e i parenti del re furono allontanati dai loro possedimenti, cacciati dalle case ed espropriati dei campi, quando non addirittura messi in catene e tenuti in condizione di servi. A Boudicca non toccò miglior sorte: la sua casa fu devastata e lei stessa denudata e fustigata pubblicamente; peggiore sorte ebbero le due figlie, violentate senza pietà. Ma ciò che i romani non avevano considerato era la reazione di Bouticca, che per volontà del marito era ancora regina.
Tutti gli storici del tempo concordano nella sua descrizione, simile a un amazzone: è una donna molto alta e dall’aspetto terrificante. Ha gli occhi feroci e la voce aspra. Le chiome fulve le ricadono in gran massa sui fianchi. Quanto all’abbigliamento, indossa sempre una collana d’oro e una tunica variopinta. Il tutto è ricoperto da uno spesso mantello fermato da una spilla. Mentre parla, tiene stretta una lancia che contribuisce a suscitare terrore in chiunque la guardi.
Tacito negli “Annali” descrive Budicca, coraggiosa e fiera, mentre incita gli uomini alla battaglia portando sul carro dinnanzi a sé le due figlie (per i Celti il carro è utile in battaglia per la velocità e la notevole capacità di penetrazione fra le schiere nemiche). A chi gli si avvicina dichiara che è pur consuetudine per i britanni combattere agli ordini di donne, ma che in quel momento lei non vuole vendicare la perdita del regno e delle ricchezze, ma, come donna, chiede vendetta per la perdita della libertà, per l’offesa recata al suo corpo fustigato, per il violato pudore delle sue figlie. Lei desidera combattere contro i romani e non arrendersi mai.
Dione Cassio nella sua “Storia Romana” riporta il discorso che Boudicca tiene al suo popolo per invitarlo alla rivolta: “Avete certo imparato quale differenza ci sia tra la libertà e la servitù [...] Avete maturato la consapevolezza di quanto una povertà priva di padroni sia preferibile a una ricchezza costretta a servire”. Con molta sicurezza la fiera regina suggerisce al suo popolo di riflettere sul trattamento umiliante e sulla condizione dolorosa nella quale è costretto a vivere da quando i romani hanno messo gli occhi sulla Britannia: privato della maggior parte dei possedimenti deve pagare le tasse su quelli che gli sono stati lasciati e a versare un tributo annuale su ogni persona fisica. “Non sarebbe forse stato meglio essere venduti come schiavi una volta per tutte? […] Quanto sarebbe stato meglio essere trucidati […] che essere vessati e depredati, disprezzati e calpestati da uomini che non sanno far altro che depredare!” Così esclama Boudicca e con grande coraggio e fierezza esorta la sua gente a non aver paura dei romani perché essi non sono né più numerosi né più valorosi, essi devono proteggersi con elmi, corazze, schinieri perché hanno paura, ma il peso di tutto quell’armamento non permetterà loro di ritirarsi con agilità, né scomparire tra meandri di paludi e alture. Poi con orgoglio afferma “i romani non ci sono pari nel sopportare la fame, la sete, il freddo, il caldo; sempre abbisognano di ombra, di coperture, di frumento macinato, di vino, di olio in tal misura che, se una sola di queste cose viene a mancare, subito periscono. Per noi, invece, qualunque erba o radice è cibo; qualunque succo è olio; qualunque acqua è vino; qualunque albero è casa”.
Il discorso è molto lungo, ma già i passi citati mostrano come l’autore, un greco che pure ammira il popolo romano e ne ha scritto la Storia, interpreti i sentimenti dei sottomessi e dei vinti e colga l’essenza degli ideali dei britanni: la lotta per la libertà e l’amore per la propria terra.
Alla violenza ricevuta, Boudicca, seguìta dal suo popolo, risponde con la violenza. Una massa di uomini inferociti marcia su Camulodunum: in poche ore le strade della città si riempiono di cadaveri. Gli Iceni non fanno prigionieri, le loro spade s’alzano e abbassano a trucidare chiunque. Poi non ancora ebbri di sangue si spostano su Londinium (Londra), altra città occupata dai romani. Per quella stessa strada stanno marciando soldati romani, legionari addestrati alla guerra fin dalla fanciullezza. Improvvisamente gli Iceni irrompono dalle selve e li assalgono. Boudicca stessa combatte dinanzi a tutti i suoi uomini, sul suo carro, i capelli al vento.
Secondo Tacito “Mai, per certo, la Britannia fu più agitata né in una situazione più equivoca: veterani sgozzati, colonie incendiate, legioni attaccate; si combatteva allora per la salvezza, più tardi per la vittoria”. Il procuratore Svetonio Paolino è costretto a intervenire. Sceglie un luogo adatto alle scarse truppe che possiede, una gola dall’accesso angusto, chiusa alle spalle da una selva, fronteggiata da una pianura dove i nemici non possono tendergli agguati. I britanni giungono al luogo della battaglia spavaldi e baldanzosi. Hanno portato le loro donne in battaglia per mostrare il loro valore. Boudicca stessa appare sul suo cocchio, indomita e altera. I romani ben presto si riorganizzano e nello scontro che segue riconquistano il loro regno, uccidendo 80.000 dei 100.000 britannici (i romani, invece, perdono 400 uomini su 12.000).
Costretta ad arrendersi, Boudicca è condotta in carcere, ma qui, pur di non sottomettersi ai nemici, si uccide, ingerendo del veleno. Il governatore Svetonio ordina la distruzione di tutti i territori delle tribù che hanno preso parte alla rivolta.
La regina guerriera, che tanto ha colpito gli storici per il coraggio “virile”, è diventata un simbolo quasi mitico e considerata nei libri scolastici inglesi una delle eroine della patria, conosciuta come la prima regina d’Inghilterra, immortalata mentre guida il suo carro da guerra in una statua in bronzo (eretta nel 1902, opera dello scultore Thomas Thorneycroft), che troneggia, oggi, a Londra, ai piedi del Big-Ben, all’estremità nord del ponte di Westminster.
È evidente che i Britanni apprezzassero una parte di ciò che l’occupazione romana portava con sé, la modernizzazione e la fine dell’isolamento, ma la libertà, sommo bene di un popolo, era venuta meno con l’approdo delle armate romane sulle coste d’oltremanica
Negli anni seguenti i romani conquisteranno altre parti dell’isola, incrementando le dimensioni della Britannia romana. Il governatore Agricola sconfisse i Caledoniani nell’84 nella battaglia di Monte Graupio, nell’odierna Scozia, in un luogo non ben identificato. Questo episodio dell’espansione del territorio romano in Britannia è ricordato dagli storici per l’eroismo di Calcago e del suo discorso rivolto alle truppe prima dell’attacco dei romani sotto il comando di Agricola, e riportato da Tacito. Ne riportiamo le parole finali, riguardanti gli oppressori romani, rimaste indelebili nella storia del pensiero antimperialista:
Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque, ubi faciunt solitudinem, pacem appellant.
“Con falsi nomi chiamano impero il rubare, il massacrare, il rapire, e dove fanno il deserto lo chiamano pace”.
Nota L’immagine è di www.arte21.it

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