Fontivegge non rinasce
Chissà cosa direbbe oggi Luisa Spagnoli se tornasse a Fontivegge a vedere cosa è rimasto della sua Perugina. Beh, il tempo passa anche per le fabbriche e, alla fine, sarebbe soprattutto in curiosità per San Sisto. Prenderebbe un taxi davanti alla stazione e correrebbe davanti ai nuovi impianti di via Pievaiola a vedere un futuro che è già passato. A Fontivegge è rimasta la vecchia ciminiera a ricordare i tempi di una volta ma, a guardarla bene, sembra una specie di croce solitaria in un campo di papaveri rossi. Un reperto senza linguaggio che non trasmette più il senso della storia. E' lì, e a guardarla, ci si chiede quanto tempo potrà restare in piedi accanto al traffico infernale che la tormenta nel tempo della civiltà dell'automobile. Luisa Spagnoli forse non nutrirebbe più nostalgia per le sue vecchie mura o, almeno, se l'avesse, la nasconderebbe. Capirebbe. Capirebbe le ragioni di una grande operazione immobiliare che consentirono alla Perugina dei Buitoni di sostenere per un po' il bilancio in sofferenza di quegli anni. Forse.
Ancor più difficile immaginare il senso di straniamento che si può provare capitando al centro di una piazza silenziosa che una volta era lo spazio di una fabbrica. Il Centro direzionale che ha ormai perso la sua verde età senza, in fondo, averla mai vissuta, è ancora oggi davanti a un grande punto interrogativo. Qual è il senso della più grande operazione immobiliare che abbia conosciuto Perugia nel corso del Novecento? L'altra è stata Piazza Italia, ma lì siamo negli ultimi decenni del secolo precedente, nei tempi post unitari. Perugia usciva dalle sue mura e in fondo alla valle c'era già il segno di una scelta. La stazione. Un ponte tra la città antica e il contado, a ovest, guardando il tramonto, e poi l'idea di una città tutta nuova. In realtà non proprio un progetto ma uno sviluppo edilizio spontaneo fatto di casette modeste e di qualche palazzo senza pretese ha accompagnato la nascita della stazione. La svolta è arrivata negli anni ottanta con il centro direzionale di Aldo Rossi, un maestro del post moderno, dopo dieci anni di progetti, ripensamenti, ipotesi fantasiose.
Un centro direzionale è un centro direzionale, non una nuova città. E' fatto di uffici e qualche negozio, e poi, alla fine, di volumetrie deserte, di spazi vuoti. A metà pomeriggio tutto finisce, come tutti i centri che non vivono di residenze e famiglie ma di corridoi e stanze da lavoro con il loro numero su tante porte chiuse. Così a Fontivegge sono rimasti pezzi del vecchio quartiere, la stazione, la piazza con la fontana, qualche palazzina a misura del tempo che fu. E poi i palazzi nuovi che ospitano altri uffici e altri servizi. L'Inps, il catasto, l'agenzia delle entrate. E poi appartamenti, le Poste, il bar, qualche negozio.
Ci sono anche i residenti, certo, lungo Mario Angeloni, il primo caduto della resistenza spagnola, nel '36, un antifascista eroico e avventuroso, un perugino illustre. Nonostante tutto questo cemento e il verde del parco della Verbanella, un po' più in alto, Fontivegge non ha mai conquistato la dignità di un quartiere residenziale. Il primo problema è il traffico più pesante della città che stringe come un cappio i palazzi di Aldo Rossi e le altre strutture edilizie, la piazza del Bacio, gli spazi incompiuti, il caos che avvicina e cerca di far convivere linguaggi diversi come quello degli spazi metafisici di Aldo Rossi e strade che rappresentano per chiunque una barriera insuperabile.
Se questo cappio, questa enorme rotonda colpita da un traffico dal volto selvaggio e da un'aria irrespirabile non si spezza, Fontivegge non rinasce, non sarà mai un quartiere. La distanza tra vecchio e nuovo, tra ieri e l'altro ieri, è segnata anche dalle scale che portano al Broletto come se il Broletto fosse una specie di acropoli distante anni luce dalla stazione e della sua piazza con la fontana. E' vero, le stazioni e i loro spazi sono sempre e un po' ovunque delle zone franche, di tutti e di nessuno, dove si arriva e si parte ma anche dove ci si ferma, in attesa di scoprire la città e le sue luci. Fontivegge è una zona che trasmette insicurezza e non certo familiarità.
A Palazzo dei Priori i nuovi amministratori avevano capito che in questo posto si poteva giocare una partita importante per la città, per una delle sue porte più significative, per il loro stesso prestigio. Chi vince la sfida di Fontivegge, vince. Ma non ci siamo. L'attenzione è già scemata e la sfida rimandata. Una specie di unità operativa, una "task force" a tempo pieno si sarebbe dovuta dispiegare tra gli anfratti sconosciuti di un posto difficile da gestire e da controllare. Un progetto di pubblica sicurezza può essere utile, anche se non si vede ancora, ma la complessità di Fontivegge impone una riflessione sulla mobilità, sul disegno urbanistico e sui valori sociali senza i quali nessun posto è veramente urbs. Città.
Renzo Massarelli

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