Umanità e spirito mordace di Ottaviano Augusto
di Maria Pellegrini
La produzione letteraria dell’imperatore Augusto non si limita alle “Res Gestae”, la monumentale iscrizione con il racconto autobiografico delle proprie imprese inciso originariamente su tavole di bronzo, collocate all’ingresso del suo Mausoleo. Tra i suoi scritti si ricordanoanche epigrammi, un carme in esametri intitolato “Sicilia”, una tragedia, un’autobiografia, una “Vitadi Druso”, saggi filosofici e raccolta di lettere. Tutta questa produzione è andata perduta, ma attraverso le opere di scrittori posteriori sono stati recuperati stralci delle sue lettere, battute di spirito, notizie di orazioni funebri, e particolari della sua vita privata che ci restituiscono un ritratto diverso da quello ufficiale. In certi episodi della vita abbiamo di lui l’immagine di un severo e intransigente moralista, ma da altre fonti latine e greche di epoche diverse (tra cui soprattutto la“Vita del divo Augusto” di Svetonio, e una raccolta di “Detti di Cesare Augusto” di Plutarco e i “Saturnali” di Macrobio)veniamo a conoscenza della sua disposizione all’ironia riscontrabile in numerosi aneddoti e battute salaci. Ne diamo alcuni esempi:
A un conoscente avaro che gli aveva offerto un pranzo modesto, quasi fosse un suo abituale convitato disse ironicamente:
Non credevo di essere in rapporti tanto stretti con te.
Un altro aneddoto ci mostra come seppereplicare a una battuta sfacciata di Cornelio Dolabella. Quando i Galli offrirono ad Augusto una corona d’oro di cento libbre, Dolabellagli chiese di averla in dono, ma il Principerispose candidamente:
Preferisco darti la corona civica. (era fatta di foglie di quercia).
Un’altra battuta arguta la diede ai Tarragonesi che gli tributavano grandi onori mentre era in vita quasi fosse un dio. Questi provinciali per adularlo gli annunciarono che era spuntata una palma sul suo altare, segno di fausto presagio, ma lui replicò:
Appare chiaro quanto spesso accendiate il fuoco!(alludendo alla trascuratezza dell’altare e dei sacrifici).
Di Augusto abbiamo anche alcune lettere che ci mostrano un suo aspetto privato e umano. Le lettere di Augusto furono pubblicate, Aulo Gellio ce lo conferma, ma ne abbiamo solo tracce soprattutto nelle “Vite” di Svetonio che avrà potuto leggerne gli originali negli archivi imperiali nel periodo in cui era procuratore alla corrispondenza al tempo dell’imperatore Adriano. Non si possono leggere nella loro interezza, sono tuttavia le uniche testimonianze della sua personalità,dei suoi passatempi, dei suoi affetti verso i familiari e gli amiciOrazio e Mecenate,dei suoi interessi per tutto quello che accadeva nell’ambito della famiglia.
In due lettere è documentata la passione di Augusto per gli astràgali, gioco molto diffuso e antico, simile a quello dei nostri dadi. Si praticava già nell’antica Grecia. Si usavano le piccole ossa dei talloni delle zampe posteriori di pecore, capre, e altro bestiame di piccola taglia. Ogni ossicino presentava quattro facce, ciascuna con valore diverso, come i nostri dadi. Il gioco consisteva nel lancio e nelle combinazioni dei valori delle varie facce. Siccome da passatempo divennero anche una sorta di gioco d’azzardo, con alte scommesse, fu permesso di praticarlo solo durante i Saturnali, una sorta di nostro Carnevale, e proibito nel resto dell’anno. Svetonio riporta questa passione di Augusto tra i lati negativi del primo imperatore della casa Giulio-Claudia perché egli lo praticava illegalmente anche al di fuori dei giorni stabiliti.
In due lettere al figliastro Tiberio, suo successore, si parla del gioco citando alcuni combinazioni degli astràgali: il “colpo del cane” era il peggiore esi aveva e quando ciascuna faccia dei quattro astràgali presentava il valore uno; il “colpo del sei”, quando le quattro facce presentavano il sei. La combinazione migliore, il “colpo di Venere”, si aveva quando i quattro ossicini presentavano quattro valori diversi:
O mio Tiberio, durante il pranzo ho giocato con i soliti amici[…],ci siamo divertiti alla maniera dei vecchi, sia ieri che oggi; infatti, gettati gli astràgali, ciascuno, a seconda del punteggio che aveva ottenuto, il “cane” o il “sei”, aggiungeva alla posta in gioco un denaro per astràlago; e chi aveva fatto “Venere” se li prendeva tutti.
Noi o mio Tiberio abbiamo trascorso le feste in onore di Minerva abbasta piacevolmente; infatti abbiamo giocato ad astràgalidurante tutti i giorni […] Da parte mia ho persoventimila sesterzi, ma perché sono stato eccessivamente generoso nel gioco, come sono il più delle volte. Infatti se avessi preteso le poste che condonai a ciascuno, o avessi trattenuto ciò che a ciascuno regalai, ne avrei vinti anche cinquantamila. Ma preferisco così; la mia liberalità infatti mi innalzerà alla gloria celeste.
E in una lettera alla figlia Giulia si mostra generoso, inviandole i denari per giocare ad astràgali o a pari e dispari, che consisteva nel mettere nel pugno di una mano alcuni ossicini o sassolini e poi invitare il compagno a indovinare se fossero in numero pari o dispari:
Ti mando duecento cinquanta denari a te e aciascun tuo convitato qualora durante il pranzo vogliano giocare agli astràgali, oa pari e dispari.
In altre lettere si rende nota la grande frugalità e semplicità nel cibo e nel bere di Augusto.Nelle prime due citazioni svetoniane non si dice il nome del destinatario della lettera, ma si suppone che sia sempre Tiberio a cui è destinata la terza lettera dello stesso tenore:
Noi in carrozza abbiamo gustato panee datteri.
Mentre tornavo a casa in lettiga ho mangiato un’oncia di pane con alcuni acini di uva.
O Tiberio, neppure un giudeo osserva di sabato il digiuno tanto diligentemente quanto l’ho osservato oggi io, che soltanto nel bagno, dopo la prima ora della notte, ho mangiato due bocconi prima di cominciare a farmi ungere.
Le lettere agli amici, soprattuttoquelle rivolte a Orazio e Mecenate mostrano l’affetto e la familiarità che c’era tra loro. Dalle tre lettere, qui riprodotte, tramandate da Svetonio e risalenti al 25 a. C. quando Augusto era assente da Roma per la guerra Cantabrica e si trovava malato a Tarragona, si deduce che Augusto avrebbe voluto Orazio come suo segretario particolare per la corrispondenza privata, ma sappiamo che Orazio declinò l’invito.
A Mecenate esprime il suo desiderio di avere Orazio presso di sé:
Prima riuscivo da solo a scrivere le lettere agli amici, ora poiché sono occupatissimo e debole, desidero portarti via il nostro Orazio. Verrà dunque dalla tua mensa diparassita a quella mia sontuosa e mi aiuterà nello scrivere lettere.
A Orazio rivolge l’invito di parlare a lui con franchezza:
Prenditi pure qualche licenza con me, come se fossi mio compagno di mensa; infatti lo farai a ragione e non a caso, poiché ho voluto che tale fosse il rapporto fra me e te, sempre che la tua salute lo permetta.
Quando Augusto ha ricevuto il rifiuto da parte di Orazio cheadduce motivi di salute. In risposta il Principe scrive con affetto a Orazio dichiarandogli la sua sempre viva amicizia e ciò glielo potrà confermare un tale Settimio tornato a Roma:
Come io mi ricordi di te, lo potrai sentire anche dal nostro Settimio, infatti è capitato che io ti ricordassi davanti a lui. In realtà se tu con superbiahai disprezzato la mia amicizia, non per questo mi comporto a mia volta da superbo.
Il grande affetto per Mecenate, prezioso consigliere e fido collaboratore di Augusto nell’ambito della politica culturale, è mostrato da questo inizio di lettera riportata nei “Saturnali” di Macrobio, nel quale Augusto inserisce scherzosamente espressioni ricercate e preziose, per esprimere le qualità di Cilnio Mecenate: il silfio è una pianta medicamentosa, il diamante dell’Adriatico è l’abete, perla del Tevere indica la bellezza di Mecenate, il diaspro è una pietra diffusa nei territori aretini, il berillo una pietra preziosa brillante come fuoco, usata dagli Etruschi, perciò è nominato Porsenna:
Stammi bene, miele delle genti, mio occhio, avorio d’Etruria, silfio d’Arezzo, diamante dell’Adriatico, perla del Tevere, smeraldo dei Cilni, diaspro dei vasai d’Arezzo, berillo di Porsenna, che brilla come un carbone acceso, per riassumere, impasto di erbe di bellezza.
In diverse lettere destinate a Livia, Augusto si mostra preoccupato del buon nome della famiglia messo in cattiva luce da Claudio Tiberio, loro nipote, colui che sarà il futuro imperatore alla morte di Tiberio. Claudio era balbuziente, malfermo sulle gambe, aveva un aspetto fisico poco piacevole, il capo tremolante, un atteggiamenti poco dignitoso.Nella lettera che riportiamoAugusto lo chiama “misellus”, poveretto, miserello, anche se dotato di un buon intelletto, ma rassicura sua mogliepromettendo che in sua assenza si prenderà cura di lui:
Io invero, finché sarai assente,ogni giorno inviterò il giovane Claudio a pranzo perché non pranzi da solo con il suo Sulpicio e con Atenodoro. Ma vorrei che egli scegliesse per sé più accuratamente e meno sventatamente qualcuno di cui imitare il modo di muoversi, di atteggiarsi e di camminare. Il poveretto è sfortunato: in realtà nelle cose serie, quando il suo animo non è distratto, si manifesta a sufficienza la sua mente dotata.
Verso Gaio Cesare, nato dal matrimonio di sua figlia Giulia e Agrippa, ma da lui adottato, mostra grande affettuosità confidandogli di sentire la sua mancanza soprattutto perché è il giorno del suo compleanno, giorno chiamato “climaterico”, cioè un anno considerato astrologicamente pericoloso per ilsopravvenire di malattie fisica o la morte. Pur essendo scritta per Gaio, alla fine allude anche a Lucio, fratello di Gaio, entrambi adottati in vista della loro successione:
Salute, o mio Gaio, mio asinello amabilissimo, di cui - lo dico sinceramente - sempre sento la mancanza, quando sei lontano da me. Ma soprattutto nei giorni come quello di oggi, nel quale il mio sguardo va alla ricerca del mio Gaio. Spero che dovunque tu siastato oggi, abbia celebrato lieto e in buona salute il mio sessantaquattresimo compleanno. Come vedi sono uscito dal sessantatreesimo anno, l’anno climaterico comune a tutti i vecchi. E prego gli dei che, quale che sia la lunghezza del tempo che mi resta, ci sia consentito di trascorrerlo sani e salvi, in una condizione dello Stato felicissima, mentre voi agite da uomini valenti e succedete al mio posto.
Alla nipote Agrippina sposa di Germanico, in risposta a qualche sua lettera risponde:
Bisogna però che tu t’impegni a scrivere e a parlare in modo non pedante.
In un’altra però si preoccupa di farla accompagnare nel suo viaggio da Roma in Germania dove il marito Germanico sta con l’esercito e di portare con sé il piccolo figlio Caio, il futuro Caligola:
Ieri ho preso accordi con Talario e Asillio, perché accompagnino il piccolo Gaio il 18 maggio, agli dei piacendo. Invio inoltre con lui un medico, scelto tra i miei schiavi, e ho scritto a Germanico di trattenerlo, se lo desidera. Tu, Agrippina, mia cara, cerca di star bene e fa’ in modo di raggiungere il tuo Germanico in buona salute.
Augusto pronunciò molti discorsi funebri di cui non è rimasto il testo. Un papiro ritrovato nel 1987 a Fayum, un’oasi dell’Egitto non lontana dal Cairo, ci ha restituito la traduzione greca di una parte dell’elogio funebre pronunciato da Augusto per Agrippa suo braccio destro e genero, che a conclusione di questo ritratto insolito di Augusto ci piace citare:
La potestà tribunizia ti fu conferita per cinque anni con un decreto del senato sotto il consolato dei Lentuli, e di nuovo essa ti fu data per altri cinque anni sotto il consolato dei tuoi generi [...]In qualsiasi provincia ti portasse lo Stato romano, fu sancito per legge che in quelle province nessuno avesse un potere maggiore del tuo. Ma tu fosti elevato al sommo fastigio sia dal nostro zelo sia dalle tue proprievirtù con il consenso di tutti gli uomini.
Dopo aver ricordato i poteri istituzionali di Agrippa, la potestà tribunizia,, l’imperium proconsolare, Augusto ci tiene a sottolineare che Agrippa era stato elevato al “sommo fastigio” dallo “zelo del Principe”, e dalle “proprie virtù”, non grazie a una legge ma “per il consenso di tutti gli uomini”. Quel “consenso di tutti” su cui più tardi il Principe dichiarava di aver fondato i propri poteri eccezionali dopo la fine delle guerre civili. (Res Gestae, 34)
Nota: l’immagine di Augusto è dell’artista romano Andrea Bonaventura,link: www.arte21.it

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