Vibia Sabina “capricciosa e intrattabile” sposa dell’imperatore Adriano.
di Maria Pellegrini
Marguerite Yourcenar nelle sue “Memorie di Adriano” fa pronunciare dall’imperatore Adriano un giudizio poco lusinghiero di Vibia Sabina, sua consorte: “Col divorzio, avrei potuto agevolmente sbarazzarmi di quella donna che non amavo; se fossi stato un privato non avrei esitato a farlo. Ma mi dava così poco fastidio, e nulla nella sua condotta giustificava un insulto così clamoroso”.
Vibia Sabina era nipote di Traiano. Non sappiamo con precisione l’anno di nascita, il matrimonio con Adriano fu celebrato nel 100 d. C., alcuni storici hanno stabilito che lei avesse dodici anni, altri pensano a un’età tra i tredici e i quattordici anni, mentre Adriano ne aveva 24. Era in ogni caso giovanissima e di una bellezza armoniosa, come i ritratti attestano.
Non fu un matrimonio d’amore il loro, ma combinato dalle rispettive famiglie in vista dell’ascesa imperiale di Adriano come successore di Traiano. Altro elemento determinante fu quasi sicuramente la ricchezza di Sabina. Le finanze di Adriano non dovevano essere elevate e non molte le sue proprietà se quando decise di costruire la bellissima Villa Adriana, lo fece su terreni che erano di proprietà della “gens Vibia” almeno dal II sec. a. C.
Dopo il matrimonio la carriera di Adriano proseguì spedita sino all’adozione da parte di Traiano e alla sua successione al seggio imperiale nel 117. Sabina divenne “uxor Hadriani Augusti” e introdotta nella “domus” sul Palatino con una stretta etichetta di corte che prevedeva la partecipazione alle cerimonie, alle inaugurazione di templi, alle donazioni al popolo, certamente poco gradite a una giovanissima ragazza che aveva avuto una “madre molto indulgente” per cui si suppose fosse un po’ capricciosa.
Sono poche le fonti storiche che parlano di lei, mentre numerose sono le testimonianze storico-letterarie che riguardano Adriano, e attraverso queste abbiamo notizie della personalità e del ruolo di Sabina accanto al marito. Il biografo Elio Sparziano, uno degli scrittori della “Historia Augusta”, nella “Vita Hadriani”, annota che era capricciosa e intrattabile (“morosa et aspera”) e che nei primi anni del principato di Adriano, nel 122, fu coinvolta nell’allontanamento dalla corte del prefetto del pretorio Setticio Claro e del letterato e storico Svetonio Tranquillo che ricopriva il delicato incarico di segretario addetto alla corrispondenza dell’imperatore e custode del suo archivio. Adriano addusse come motivazione ufficiale di aver allontanato Setticio Claro e Svetonio Tranquillo perché avevano trattato con eccessiva confidenza l’imperatrice, motivi che non sembrano plausibili, altrimenti sarebbero stati condannati per “lesa maestà”; probabilmente si trattò di un manovra di Sabina per suggerire personaggi più vicini a lei, favorevoli agli ambienti più tradizionalisti, avversi al decadente ed ellenizzante Adriano. Si potrebbe pensare che i due espulsi rappresentassero il partito che favoriva l’ordine politico traianeo che Adriano stava tentando di distruggere. Sparziano lasciò intendere che Adriano non amava Sabina, la sopportava e volentieri si sarebbe liberato di lei. Riporta anche la diceria secondo la quale fu fatta avvelenare dal marito; un altro storico, Aurelio Vittore, annota invece che fu indotta al suicidio. La Yourcenar basandosi su queste testimonianze, afferma la mancanza di intesa e di affetto tra i due sposi e fa dire ad Adriano, oltre alla citazione riportata all’inizio: “Tra tutti gli esseri, mia moglie è forse quello alla quale sono riuscito meno a piacere: è vero però che mi ci sono provato ben poco”.
Queste maldicenze sembrano tuttavia contraddette dalle numerose dediche di monumenti innalzati in onore di Sabina, dalla emissione di monete celebrative, dai molti ritratti collocati nei luoghi pubblici a testimonianza del fatto che Sabina accompagnò Adriano in tutti i suoi viaggi nelle province, in Spagna, Gallia, Grecia, Egitto, Siria, Bitinia, sempre con un ruolo ufficiale e partecipe delle intenzioni del marito che intendeva valorizzare i territori annessi a Roma. Erano entrambi in Siria ad Antiochia quando Adriano, governatore della provincia, ricevette la lettera di Traiano che lo dichiarava suo successore.
Nessuno storico contemporaneo ha gettato discredito su di lei che rappresentava bene lo stereotipo della matrona imperiale essendo obbediente, affettuosa e semplice, sicuramente cosa non facile accanto a un imperatore che, pur illuminato amante delle arti, ebbe una passione travolgente per un giovinetto che fece anche dichiarare “divus”, Antinoo. Furono soltanto Sparziano, di cui non si sa bene il periodo in cui visse, e Vittore del III secolo a lasciare di lei note ingenerose.
Dopo la morte di Antinoo, divenne più semplice per Sabina svolgere il suo ruolo istituzionale, continuò a viaggiare con Adriano nei territori dell’impero incontrando il favore delle popolazioni, l’affetto dei soldati, la considerazione delle aristocrazie locali e dell’apparato governativo di Roma. Nel 128 fu anche insignita del titolo di Augusta. Sabina, però, al contrario delle altre donne della famiglia traianea, non condivideva la grande passione per l’arte, la letteratura, la filosofia, la musica, la curiosità per i luoghi che aveva Adriano, definito da Aurelio Vittore “estroverso, multiforme, avido di esperienze”. Sabina era invece monocorde, austera, non compatibile con la versatilità del marito.
Sabina non ebbe la fortuna di avere uno storico che lasciasse memoria di lei. Si suppone che l’incompatibilità con Adriano derivasse anche fatto che Sabina non amasse l’orientalizzazione dell’impero messa in opera da Adriano, e avesse simpatie per il Senato mentre Adriano aveva inaugurato il suo principato mandando a morte quattro senatori. Sebbene Adriano rispettasse Sabina e la tenesse in grande considerazione, prese tutte le decisioni del suo impero da solo; l’ingerenza della moglie fu sempre discreta almeno fino al momento della designazione del successore. Visto che dal loro matrimonio non erano nati figli, Adriano designò Lucio Commodo Vero - di cui si chiacchierava che avesse preso il posto di Antinoo - che sembra fosse affascinante e dissoluto ma che secondo Sabina non aveva le qualità per essere degno della successione; lo scontro fu aspro, Sabina non riuscì a farsi ascoltare da Adriano, ma la morte mise fine ai contrasti.
Nonostante non avesse amato Sabina, Adriano dopo la sua morte la divinizzò, come del resto aveva fatto per la sua madre adottiva Plotina, sposa di Traiano, per Marciana sorella di Traiano e la figlia di lei, Matidia, e Sabina come dea fu rappresentata: gelida, altera, con il capo velato.
In quell’occasione Adriano coniò delle monete con un profilo di Sabina da un lato e nell’altra l’aquila imperiale ad ali spiegate. A Roma nei Musei Capitolini si può vedere un rilievo marmoreo con l’immagine dell’imperatrice mentre ascende al cielo sollevata da una figura femminile allegorica “l’Eternità”. Adriano assiste in basso in un lato e tende la mano verso di lei come in segno di saluto.
Fastose cerimonie pubbliche accompagnarono i funerali di Sabina. Gli onori tributati a una consorte non amata non furono un atto di riparazione postuma nei confronti di una donna che passò la vita coniugale senza amore accanto a un uomo capace di forti passioni, ma erano finalizzate a valorizzare il ruolo della moglie dell’imperatore che reggeva le sorti di Roma .
Adriano fece porre le ceneri di Sabina nel Mausoleo, il grandioso monumento da lui costruito che, spogliato dei marmi delle statue e di tutti gli ornamenti, fu trasformato nel Medioevo in fortezza, il Castel Sant’Angelo.
Non abbiamo testimonianze scritte di parole di compianto per Sabina, mentre per la morte della suocera, Matidia, Adriano aveva pronunciato un discorso funebre nel quale si elogiavano le doti di questa donna “carissima, castissima, indulgentissima mater” di cui si conserva un’epigrafe, e aveva portato il lutto per nove giorni. In quell’occasione riservò, unica volta, una espressione di affetto chiamando sua moglie “mea Sabina”.
Ettore Paratore, condividendo il parere di un altro studioso, Jeffrey Henderson, ritiene “non vere le dicerie su Sabina notando che accompagnò il marito anche in quel viaggio in Egitto, in cui egli fondò una città in onore del favorito Antinoo” e aggiunge “che sarebbe stranissimo che l’imperatore avesse pensato di sbarazzarsi della moglie dopo ben trentasei anni di matrimonio quando Antinoo era già morto e l’imperatore era tormentato dalla idropisia e doveva pensare a ben altro che avventure amorose tali da spingerlo a sbarazzarsi della moglie”.
Figura dunque enigmatica quella di Sabina della quale però rimangono numerosi ritratti (ma dieci volte di più sono quelli di Antinoo), che sono una fonte ricca di notizie al pari delle fonti letterarie. La ritrattistica rispecchia i mutamenti che avvengono nella società, soprattutto i ritratti delle donne imperiali (madri, mogli, sorelle dell’imperatore) evidenziano sia l’evoluzione di uno stile figurativo, sia del clima culturale, e l’espressione del volto lascia tracce della personalità del soggetto.
Tra le fonti letterarie che nominano Sabina, molto interessanti sono alcuni epigrammi incisi alla base di una delle due gigantesche statue note come i Colossi di Memnone, innalzate presso Tebe d’Egitto. Uno dei due monoliti era famoso nell’antichità per il particolare suono emesso all’alba. Questo misterioso suono portò i greci a credere che le statue rappresentassero il divino Memnone, il quale ogni mattina salutava la madre Eos, dea dell’aurora. Il suono risultava probabilmente dal passaggio dell’aria in una spaccatura nella pietra o per un fenomeno fisico che avveniva nella pietra, determinato dal repentino passaggio dal freddo notturno al riscaldamento dovuto ai primi raggi del sole. Divenne una sorta di meraviglia dell’antichità, celebrata come statua “che suona” o “che parla”. E divenne un monumento sacro, molti pellegrini andavano a visitarla e a lasciare iscrizioni sul corpo del Colosso, soprattutto sulle gambe e sui piedi. Adriano e la moglie Sabina nel 130 d. C. si recarono a rendere omaggio alla statua. Testimonianza di questo viaggio sono i versi incisi nella parte inferiore del Colosso, composti dalla poetessa greca Giulia Balbilla, che faceva parte della corte personale dell’imperatrice e la seguiva ovunque.
Quattro epigrammi sono dedicati ad Adriano e al riconoscimento delle sue qualità; “Adriano sommo sovrano” e a Sabina “la veneranda consorte dell’Augusto Adriano” “la bella Sabina dal bell’aspetto che dà gioia” “l’amabile regina Sabina”.
Un’altra iscrizione, forse poco nota perché scritta in caratteri geroglifici che ornano tutti i lati dell’alto Obelisco situato al Pincio, racconta la vicenda riguardante la morte di Antinoo, il giovane amato dall’imperatore Adriano, la sua apoteosi, la deificazione, oltre alle notizie sulla creazione della città di Antinopoli in suo onore e all’istituzione di un culto specifico dedicato ad Osiride-Antinoo. Il monolite, realizzato per volere di Adriano, fu collocato sul monumento funebre di Antinoo, a villa Adriana, poi dopo vari spostamenti fu trasportato ed innalzato nella posizione attuale il 22 agosto 1822. Una faccia dell’obelisco è interamente dedicata a Adriano e Sabina: Sabina è definita “la grande sposa reale ch’egli (Adriano) predilige, la sovrana delle Due Terre”. Ricordando l’oggetto del suo più grande amore, Adriano non aveva dimenticato di citare anche Sabina rendendole onore.

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