Processo a Elena: colpevole o innocente?
di Maria Pellegrini
Se guardiamo alle figure del mito o a quelle eroiche della tragedia, esse rispecchiano nel bene e nel male i ruoli che la società antica assegna alle donne: esempi virtuosi quando restano fedeli al loro sposo, come Penelope, criminali quando commettono adulterio, come Elena.
Elena - colei che abbandona il marito Menelao, re di Sparta, per seguire il principe troiano Paride provocando in tal modo la sanguinosissima guerra fra due popoli fino alla distruzione della importante città posta presso l’imboccatura dell’Ellesponto - è uno dei personaggi più noti della letteratura classica.
Afrodite, dopo il fatale concorso di bellezza sul monte Ida tra lei, Atena ed Era per il titolo della “più bella”, ha promesso a Paride l’amore di questa splendida giovane, esaltata nel mondo allora conosciuto per la sua bellezza. Il principe troiano va a Sparta nella reggia di Menelao, sicuro di poter conquistare l’amore della bellissima Elena perché così è stabilito dalla dea dell’Amore. Accolto con ogni onore, porta con sé Elena a Troia violando una delle leggi più sacre della civiltà greca, la legge dell’ospitalità. Fi dall’antichità si è posto il dilemma: la donna lo ha seguito perché rapita in modo violento dal bellimbusto troiano, o travolta dal potere di Afrodite e dell’Amore a cui nessuna creatura vivente può opporsi? Il dibattito sulla colpevolezza o l’innocenza di Elena è stato oggetto di numerose prese di posizione nella letteratura del mondo antico. Affiora già nell’Iliade. Nel III libro troviamo Primo ed Elena sull’alto della torre delle porte Scee che si affacciano sulla pianura del campo di battaglia dove sono schierati i più grandi eroi greci. Gli anziani che ormai non combattono più, sono all’interno delle mura presso la torre. Alla vista di Elena
“a bassa voce l’un l’altro dicono parole fugaci:/ ‘Non è vergogna che i Teucri e gli Achei dai robusti schinieri per una donna simile soffrano a lungo dolori/: terribilmente, a vederla somiglia alle dee immortali!/ Ma pur così, pur essendo sì bella, vada via sulle navi,/ non ce la lascino qui, danno per noi e per i figli anche dopo!’”
Priamo non si unisce al coro dei rimproveri, anzi invita Elena a sedersi accanto a lui e la conforta:
“non tu sei colpevole davanti a me, gli dèi son colpevoli;/ essi mi han mosso contro la triste guerra dei greci”.
Alla vista di quei valorosi guerrieri, molti dei quali sono destinati a morire in combattimento, Elena è colta da profondo dolore, piange e rivolta a Priamo esclama:
“Oh! se mi fosse piaciuta morte crudele, quando qui / il figlio tuo seguii,lasciando talamo e amici/ e la figlioletta tenera, e le compagne amabili.”
Un altro duro rimprovero rivolge a se stessa nel VI libro dell’Iliade davanti a Ettore, il valoroso fratello dell’imbelle Paride:
“Sono una cagna odiosa, come vorrei che il giorno in cui /mia madre mi diede alla luce, una tempesta di vento mi avesse portato / lontano sulla cima di una montagna o fra le onde del mare sonoro /e le onde mi avessero portato via prima che tutto questo accadesse.”
Già in Omero si pone il problema che abbiamo suggerito nel titolo di queste pagine: Elena è innocente o colpevole per l’abbandono del marito, il tradimento e la conseguente guerra di Troia? Nel racconto omerico lei stessa si accusa, mentre Priamo, con atteggiamento paterno, la considera vittima del volere degli déi.
Tutta la letteratura greca è percorsa da questa duplice giudizio su Elena: adultera e cagna, come lei stessa si definisce, o vittima della divinità.
Saffo è la prima poetessa che difende Elena, vittima dell’Amore, forza divina alla quale nessuno può opporsi:
Dicono che sopra la terra nera
la cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o di ospiti, o di navi.
Io dico: quello che si ama.
Chiunque può capirlo facilmente:
colei che superava di molto
tutti i mortali per bellezza, Elena,
abbandonò lo sposo,
il più eccellente degli uomini,
e fuggì a Troia per mare.
Dimenticò la figlia, dimenticò
i cari genitori:
fu Afrodite a travolgerla.
Elena compare in sei tragedie di Euripide e assume un ruolo decisivo nelle Troiane. Il poeta presenta la regina troiana Ecuba prigioniera degli Achei, insieme alla figlia Cassandra e alla nuora Andromaca, tre donne cui la guerra ha devastato l’esistenza. Troia è stata distrutta. Quando appare Elena, colpevole di tutti quei lutti, Ecuba invita Menelao a ucciderla senza consentirle di parlare:
“Fuggi il suo sguardo per non desiderala di nuovo. Ella conquista gli occhi degli uomini, annienta le città, incendia le case. Lo sappiamo bene tu e io, e quanti, per lei, abbiamo sofferto!”
Euripide istruisce qui un processo in piena regola: le concede di difendersi ma le ragioni di Elena sono deboli, cerca di addossare le colpe ai troiani, in particolare a Paride che l’ha sedotta e a Priamo per non aver ucciso lo stesso Paride, malgrado il cupo sogno premonitore. L’Elena di questa tragedia, al contrario di quella apparsa nell’Iliade, si autoassolve e parla con tono e aspetto provocatorio. Menelao non la uccide come Ecuba vorrebbe e riporta l’adultera in patria con lui.
Nell’Andromaca, altra tragedia di Euripide, lo sposo che l’ha perdonata, addirittura la difende, perché quello che fece
“non fu un capriccio, ma volontà degli dei”.
Nella tragedia Oreste - il figlio che ha ucciso la madre per vendicare il padre Agamennone, da lei assassinato a tradimento nel momento in cui torna a casa reduce dalla guerra di Troia - è incitato dall’amico Pilade a giustiziare Elena per le sue colpe, con queste parole:
“Una volta uccisa costei, non sarai più chiamato il matricida, perderai questo appellativo per averne un altro più bello, diventerai il giustiziere di Elena, la sterminatrice.”
Ma nel dramma satiresco Il Ciclope, Euripide mostra Ulisse che discolpa Elena:
“Fu opera degli dei, non accusare nessun mortale.”
Fa però dire al rozzo ciclope Polifemo:
“Spedizione vergognosa, essersi spinti fino alla terra dei Frigi per le grazie di una sola donna”.
Euripide quindi dopo aver cantato la leggenda comune che considera Elena come causa della guerra troiana e principio di mali infiniti, è preso da scrupolo e riporta in altre sue opere anche le posizioni di chi assove l’adultera dalle sue responsabilità e arriva al punto, nella sua Palinodia, di cambiare il mito, raccontando come non Elena, ma un fantasma di lei fosse stato rapito da Paride e fosse stato oggetto di contesa e causa di guerra, e sulle orme dello storico greco Erodoto:
“è insensato fare la guerra per una donna, tanto più se è un’adultera, ma colmo dell’assurdo è combatterla addirittura per un fantasma”.
Erodoto dice chiaramente che Paride la rapì ed esclude qualunque complicità da parte della donna. Il ruolo di Elena è concepito come puramente passivo. Paride nel corso del racconto erodoteo è fatto continuamente oggetto di giudizi negativi: è “colui che ha commesso azioni empie”, “ha circuito Elena”; “è il peggiore fra gli uomini”. Ma Erodo scrive anche con ironia e misogenia:
“Se rapire donne deve considerarsi atto di uomini ingiusti, darsi la pena di vendicare simili rapimenti è cosa da sciocchi. I saggi non se ne danno cura; è chiaro che le donne se non lo avessero voluto non sarebbero state rapite. I Persiani non fecero nessun conto delle donne rapite, mentre i Greci per una donna di Sparta misero insieme una grande spedizione e giunti in Asia distrussero il regno di Priamo”.
La domanda se Elena dev’essere ritenuta colpevole o innocente se la pose anche un filosofo greco di Sicilia, Gorgia da Lentini, celebre sofista, nella sua opera Encomio di Elena, con queste riflessioni: se si giunge alla conclusione che Elena, travolta dalle circostanze, non è colpevole, se ne può dedurre che gli esseri umani non sono meritevoli di biasimo per le cattive azioni che commettono, né, per la stessa ragione, di lode per quelle buone perché non sono dotati, in altre parole, di libero arbitrio.
Gorgia da Leontini nella la sua difesa di Elena scritta (stando alla sua dichiarazione conclusiva) come semplice esercizio retorico, pose però un problema sul quale si sono occupati filosofi come Platone e Aristotele, e storici e retori giudiziari, cioè si domada: esiste una responsabilità morale addebitabile all’uomo se ogni sua azione è governata da forze a lui superiori? Il processo fittizio alla bella adultera, è per Gorgia un pretesto per esaminare il problema dalle sue varie angolazioni, ma anche per sfoggiare la capacità di manipolare le menti del pubblico e dimostrare la potenza della parola e fino a che punto un buon oratore possa non solo commuovere, ma anche suggestionare chi ascolta e influenzarne il giudizio. Infine Gorgia si mostra incline a considerare l’Amore, una forza contro cui non si può lottare, e aggiunge che se una persona cade in preda all’amore, è evidente che non ci si può aspettare da lei saggezza, prudenza o rispetto delle regole morali e sociali, dunque non ha colpa.
Abbiamo qui dato solo qualche esempio di questo immaginario processo a Elena attraverso alcuni autori di lingua greca che hanno fatto di Elena il personaggio principale o comprimario di molte loro opere, ma ve ne sono altri, per citarne alcuni: Stesicoro, Isocrate, Aristofane, Teocrito, e numerosi sono anche gli autori della letteratura latina, fra i quali:Virgilio, Seneca Ovidio.

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