Concorsi di bellezza nell’antichità greca e romana
Dopo molte polemiche, a partire da quelle del Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha apprezzato la scelta della Rai di non trasmettere più l’elezione di Miss Italia, l’evento arriva sugli schermi televisivi de La7. Proviamo un certo imbarazzo sentendo annunciare questo concorso di bellezza, mentre quotidianamente non assistiamo a nulla di bello, ma al doloroso esodo di milioni di uomini, donne e bambini in cerca di accoglienza, di fronte ai quali si alzano muri e filo spinato, e dei numerosi morti, una vera ecatombe, caduti in mare mentre cercano un approdo sicuro, ma il nostro tempo è caratterizzato da enormi contraddizioni: accanto alla visione di devastanti povertà, di catastrofi naturali, di guerre presenti in molti paesi, di crimini orrendi, siamo inondati dalla diffusione di pubblicità, di argomenti futili e spesso diseducativi, ma qui non vorremmo polemizzare sulla necessità o meno di assistere a sfilate di giovinette per il titolo della “più bella” nazionale, ma documentare che i concorsi di bellezza non sono soltanto una consuetudine della società moderna, già esistevano nell’antichità greca e latina.
L’antica Grecia dava il massimo valore alla bellezza fisica che però era unita alle qualità dell’animo, alla virtù, come la bruttezza era indice di viltà. Gli eroi greci sono rappresentati sempre belli e virtuosi, i pusillanimi brutti e spesso deformi. La civiltà greca amava la bellezza in tutte le sue manifestazioni, nella pittura, nella musica, in tutte le arti e la bellezza del corpo umano non era che un aspetto, per quanto il più evidente e il più celebrato, di quell’ideale di bellezza che i greci aspiravano a realizzare. Si deve inoltre considerare che l’attitudine alla competizione nei più diversi settori della società, nella lotta per il potere, nei combattimenti, nelle dispute filosofiche, nelle gare poetiche era un aspetto della grecità, che può essere sintetizzata dalle parole rivolte dal padre a Glauco nell’Iliade omerica, con le quali lo esortava a : “essere sempre il migliore ed eccellere sugli altri”.
Nel periodo greco arcaico (sec. VII e VI a.C) gare di bellezza sono segnalate nelle opere di Saffo, Alcmane e Teofrasto. Erano riservate sia agli uomini che alle donne, ma legate contemporaneamente alla declamazione di poesie e accompagnate da esibizioni musicali. Non è chiaro però quali fossero i giudici di tali esibizioni. Si può supporre che le donne fossero preposte a giudicare la bellezza delle concorrenti soltanto nelle gare femminili perché era sconveniente farlo in quelle maschili, e che gli uomini potessero giudicare sia i partecipanti dei concorsi maschili, sia quelle dei concorsi femminili.
Il primo concorso di bellezza è il racconto mitologico del giudizio di Paride, tramandatoci in svariate versioni e rappresentato anche in numerose opere d’arte. Ne riproduciamo la versione di Igino, un autore latino del II sec. d.C.
“Si dice che Giove, durante la festa di nozze di Teti e Peleo, genitori di Achille, abbia invitato al solenne convito tutti gli dei tranne la Discordia. Non essendo stata accolta al banchetto, la dea dalla soglia della porta scagliò nel mezzo una mela dicendo che era destinata “alla più bella”. Giunone, Venere e Minerva cominciarono ognuna a rivendicare la propria superiorità quanto a bellezza. Sorta tra queste una grande discordia, Giove ordinò a Mercurio di condurle sul monte Ida presso Paride, il bellissimo figlio di Priamo, e di comandargli di dare un giudizio. Giunone, se Paride l’avesse giudicata tale, gli promise che avrebbe regnato su tutte le terre, Minerva assicurava che sarebbe stato il più forte tra i mortali e conoscitore d’ogni arte. Venere invece gli offrì in dono l’amore di Elena, figlia di Tindaro, la più bella tra tutte le donne. Paride per priorità scelse l’ultima proposta, e giudicò Venere la più bella”.
Anche nella Bibbia è riportato un episodio di ricerca di donne “belle e incorrotte” per il re persiano Assuero, e fu la giovane ebrea Ester a colpire il sovrano che pose sul capo della giovane ebrea la corona regale.
Dell’esistenza di concorsi di bellezza in età augustea ci dà una testimonianza Cassio Dione. Documentando la passione di Augusto per la moglie di Mecenate, Terenzia, che lasciò Roma per seguire Augusto nelle Gallie, così lo storico scrive: “Alcuni ebbero il sospetto che il Principe fosse partito a causa di Terenzia, moglie di Mecenate, per poter vivere insieme a lei altrove senza essere perseguitato dalle chiacchiere della gente, dato che a Roma si faceva un gran mormorare sul loro conto. La passione che nutriva per questa donna, infatti, era tale che una volta la fece partecipare a un concorso di bellezza in competizione con Livia”. Che Livia, moglie di Augusto e Terenzia partecipassero a concorsi di bellezza può essere arbitrario crederlo, ma che esistessero tali manifestazioni non è invenzione di chi scrive.
Ma fu al tempo dell’impero bizantino (cioè nel impero Romano d’Oriente, chiamato così dall’antica capitale Bisanzio, da Costantino chiamata poi Costantinopoli) che sono documentate procedure molto simili ai moderni concorsi di bellezza per scegliere la sposa dell’imperatore. Le giovani erano sottoposte prima al giudizio di funzionari inviati in tutte le province per trovare ragazze giovani e belle, nonché moralmente inappuntabili, appartenenti alle più importanti famiglie dell’impero, poi le selezionate erano condotte nel Palazzo imperiale per la scelta finale che avveniva o per indicazione dello sposo stesso o della imperatrice madre che visionava la giovane sotto ogni punto di vista, estetico e morale, un motivo questo di scelte spesso non gradite all’interessato. Le fonti parlano di una sfilata di giovani e belle fanciulle portate nel Palazzo imperiale, nel 788, affinché il giovane erede della corona, il futuro Leone IV, scegliesse la sua sposa che risultò essere l’ateniese Irene. Dopo la morte dell’imperatore Leone IV, Irene, sua sposa, data la minore età del figlio, prese la reggenza e fu lei a incaricare alcuni funzionari di percorrere le terre dell’Impero e scegliere giovanette adatte alle nozze con il giovanissimo figlio, il futuro Costantino VI. Si dice che gli addetti a questo delicato compito fossero muniti di una sagoma della figura del giovane e che l’accostassero alle fanciulle misurandone l’altezza, la lunghezza delle gambe, la circonferenza del busto per accertare ogni compatibilità con quella dello sposo. Fra le tredici portate a Palazzo, fu Irene a determinare la scelta finale, preferendo Maria, figlia di un magnate della Paflagonia. Costantino VI, che non aveva mai gradito tale ingerenza materna, in seguito la ripudiò per sposare la sua amante e dama di corte, Teodota. Nel 797, Irene fece deporre e accecare il figlio. Per cinque anni governò da sola. Toccò poi a Irene ad essere tolta di mezzo da una congiura di palazzo che portò sul trono Niceforo I, che a sua volta organizzò per il figlio Stauracio il rituale del concorso di bellezza. La scelta cadde su Teofano, un’ateniese parente di Irene con l’intento politico di riconciliazione con i seguaci della ex imperatrice. Seguirono altri imperatori e nell’anno 830 si rese necessario trovare la sposa al futuro Teofilo I; se ne incaricò la sua matrigna, Eufrosine, poiché l’imperatore era morto e lei era la reggente; questa volta il rituale ricordava il giudizio di Paride perché passando in rassegna le candidate con una mela d’oro in mano, il giovane assegnò la mela a Teodora, non gradita alla matrigna, ma che egli sposò lo stesso..
Con la morte di Teofilo I, Teodora assumeva le reggenza perché il loro figlio, il futuro Michele III, era minorenne. Teodora regnò con saggezza per quattordici anni, affiancata da un consiglio di reggenza Nell’855 per Michele III, divenuto co-reggente fu organizzato un nuovo concorso cui partecipò anche una ragazza, Eudocia Ingerina, gradita a lui, ma non alla madre, tuttavia il figlio la sposò ugualmente. La storia ebbe epiloghi tragici. Michele III morì assassinato e imperatore divenne il mandante dell’omicidio, Basilio I, che sposò la vedova Eudocia, moglie dell’imperatore da lui fatto assassinare, ma già sua amante da tempo. Nel 882 i funzionari dell’Impero sono di nuovo particolarmente impegnati alla ricerca di fanciulle degne di essere ammesse per bellezza di aspetto e “fulgida virtù” alla selezione finale al Palazzo per il figlio di Basilio I. Fu il giudizio dell’imperatrice madre a determinare chi sarebbe stata la sposa degna del figlio Leone, erede designato del più prestigioso e antico trono cristiano. La preferenza cadde su una nuova Teofano, il cui nome dal significato beneaugurante, “manifestazione divina”, era di buon auspicio.
L’imperatore, incoronato come Leone VI e definito il “sapiente”, non ebbe fortuna, celebrò tre matrimoni che ebbero esiti luttuosi. Teofano (imposta dalla madre) morì senza avergli dato un erede, una bambina morì poco dopo essere nata; le altre spose scelte personalmente senza ricorrere a concorsi di bellezza, non ebbero migliore sorte: la seconda, Zoe, morì dopo poco aver messo al mondo una femmina, la terza, Eudocia, perse la vita insieme al figlio maschio appena nato. Leone IV ebbe da un’altra Zoe, soprannominata “dagli occhi neri”, l’erede al trono, Costantino VI, senza poter contrarre matrimonio perché non erano consentite quarte nozze dalle autorità ecclesiastiche. Da allora non si ha più notizia di concorsi di bellezza, dietro ai quali si celava l’importanza della scelta della sposa che avrebbe affiancato l’imperatore, dunque una scelta che non rispondeva solo a canoni di bellezza e moralità ma a interessi politici.

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