Caracalla/ La Costituzione Antoniniana
Lucio Settimio Severo, primo imperatore africano appartenente a un’importante famiglia berbera di Leptis Magna, nella provincia romana d’Africa (odierna Libia), morendo nel 211 lasciò il potere ai due suoi figli, Marco Aurelio Antonino (il nome originario era Lucio Settimio Bassiano, dal 195 fu dal padre chiamato così in onore dell’imperatore Antonino Pio) e Lucio Settimio Geta, ai quali raccomandò di governare in piena concordia. Marco Aurelio Antonino, più noto come “Caracalla” dal nome di una tunica gallica che usava indossare, si sbarazzò subito del fratello facendolo assassinare e condannò a morte il celebre giurista Papiniano perché aveva disapprovato il fratricidio. Condannò poi Geta alla “damnatio memoriae” per far cadere nell’oblio il suo nome e il suo volto; fece anche uccidere tutti coloro che erano sospettati di essere partigiani del fratello e saccheggiare le loro case. Per guadagnarsi la simpatia dell’esercito aumentò gli stipendî, e di conseguenza inasprì le tasse mentre la moneta si svalutava tanto che furono necessarie riforme monetarie. Per citare sommariamente notizie della sua vita ricordiamo che costruì in Roma le Terme che ancora portano il suo nome, cercò anche la gloria militare sognando di essere un secondo Alessandro Magno; nel 213 nella Rezia vinse gli Alemanni, passò poi in Macedonia e in Oriente, ma fu ucciso presso Carre dalla sua scorta per istigazione del prefetto delle guardie Opellio Macrino (217). Lasciò una pessima fama di crudeltà e di megalomania. Testimonianza di ciò è nelle pagine dello storico Cassio Dione e, più di un secolo dopo la sua morte, nei versi di un poemetto, “I Cesari”, del poeta Ausonio (310-395) che gli rimproverò di non essere stato degno di succedere al valoroso padre e di portare indegnamente il nome Antonino:
“Ben diverso dal valoroso padre, e molto più da quello di cui
ti vanti di portare il nome adottivo, tu, reo di fratricidio.
Avesti per punizione una morte cruenta, ma ancora
peggio, l’essere irriso dal popolo, o Caracalla”.
L’irrisione di cui parla Ausonio avvenne ad Alessandria d’Egitto, dove gli abitanti composero satire che lo avevano come protagonista suscitando in lui tanta ira da compiere stragi inaudite. Edward Gibbon scrisse nella “Storia della decadenza e rovina dell’Impero” del 1776: “Caracalla si mostrò nemico del genere umano. Lasciò Roma circa un anno dopo la morte di Geta, né mai più vi fece ritorno. Passò il resto del suo regno nelle diverse province dell’impero, particolarmente nelle orientali, e ogni provincia divenne il teatro della sua rapina e della sua crudeltà; per una leggerissima offesa comandò uno scempio generale in Alessandria di Egitto”.
La cattiva fama è rimasta anche nel giudizio del nostro Machiavelli che lo definì “un uomo spietato e crudele a dismisura”.Tuttavia degna di memoria è la concessione della cittadinanza a tutti i sudditi dell’impero che da lui prese il nome di Costituzione Antoniniana (212 d. C.). Grazie a questa legge furono concessi i fondamentali diritti civili a tutti gli abitanti dell’impero, a prescindere dalla loro nazionalità, con poche eccezioni. Furono esclusi i cosiddetti “dediticii”. Nel diritto romano costoro erano gli appartenenti a popolazioni vinte che in cambio della libertà e della vita si erano volontariamente arresi a Roma, e così erano anche chiamati gli schiavi liberati che si erano macchiati di crimini infamanti durante la schiavitù. Ma analizzando il testo della Costituzione Antoniniana, contenuto in un papiro non integro, non è ben chiaro a quale categoria di persone appartengano i cosiddetti “dediticii”. Ci sono varie ipotesi nelle quali non riteniamo utile addentrarci in questa sede, ma se ne può dedurre che pochi erano gli esclusi dal diritto di cittadinanza.
Prima dell’emanazione di questo provvedimento la piena cittadinanza era riservata solo agli italici.. Il provvedimento di Caracalla realizzava l’unificazione politica di tutti gli abitanti liberi dell’impero traducendo concretamente sul piano del diritto il principio dell’uguaglianza degli uomini.
Ulpiano, politico e giurista romano, contemporaneo di Caracalla, testimoniò: “coloro che abitano nel mondo romano, in base alla Costituzione dell’imperatore Antonino sono diventati cittadini romani”.
La dinastia dei Severi fu la prima veramente provinciale, il padre e la madre di Settimio Severo erano rispettivamente di origine libica e siriana; i Severi cercarono sempre di frenare la centralità di Roma, convinti che un grande impero non dovesse avere un unico centro e dovesse istituire scambi commerciali e culturali tra le varie province, favorendone l’integrazione. L’editto di Caracalla aprì la strada a una stagione di progressiva “romanizzazione” dell’impero. Pertanto l’integrazione e la parificazione fra tutte le regioni, soprattutto fra quelle dell’Oriente e Occidente, erano certamente necessarie per eliminare le differenze giuridiche esistenti fra i sudditi. Uno degli aspetti più significativi della romanizzazione fu l’estrema flessibilità, il tentativo di rispondere ad esigenze culturali particolari, frutto di tradizioni stratificatesi nel tempo, come nel caso dell’Egitto e delle province orientali.
Un altro intento della Costituzione Antonina fu di carattere religioso: assimilare nel culto e nella venerazione dei popoli dell’impero le divinità tradizionali e le nuove divinità introdotte nel Pantheon romano da ogni provincia (in particolare quelle dell’Oriente, dell'Egitto e dell’Africa punica) in nome del sincretismo religioso.
Lo storico filosenatorio Dione Cassio, testimone diretto degli avvenimenti, ostile alla memoria di Caracalla, interpretò in modo riduttivo e in chiave fiscale l’editto. L’obbiettivo reale sarebbe stato l’incremento del gettito fiscale, imponendo anche ai nuovi cittadini le imposte, di recente da lui raddoppiate per far fronte alle spese militari e per le paghe e i donativi a legionari e pretoriani, che com’è noto costituivano la principale base di consenso non solo dell’imperatore in carica ma dell’intera dinastia severiana.
Gli scrittori cristiani, invece, lo considerarono un principio di umanità e partecipazione a un bene comune, la cittadinanza, che precedentemente era riservato a pochi.
Prudenzio, massimo poeta cristiano, lo interpretò come un vincolo diretto tra Dio e la cittadinanza romana. Così leggiamo nella sua opera “Contra Symmachum”, nella quale combatte la sopravvivenza del paganesimo romano: “Dio insegnò a tutti i popoli a piegare il capo sotto le medesime leggi e a diventare tutti romani […] gli abitanti di regioni lontane le une dalle altre e di rive opposte del mare si incontrano ora nell’unico foro comune se sono chiamati a comparire in giudizio; ora si scambiano i prodotti delle loro attività, stringono vincoli nuziali con pieno diritto di nozze straniere; infatti si va creando una stirpe sola di sangue misto da popoli che si incrociano”.
Lodi al provvedimento di Caracalla si leggono anche nel poeta pagano Rutilio Namaziano, che due secoli dopo esaltò la progressiva estensione del dritto romano a tutti gli abitanti dell’impero con queste parole: “Delle diverse genti unica patria hai fatto; un bene è stato, per i popoli senza legge, il tuo dominio. E, offrendo ai vinti d’unirsi nel tuo diritto, tu del mondo hai fatto l’Urbe”. (“De reditu suo”)
Michael Rostovtzeff nella “Storia del mondo antico” del 1923 dà un giudizio negativo sia di Caracalla, “imperatore despota militare che si appoggiava solo al suo esercito”, sia della concessione della cittadinanza a tutta la popolazione dell’impero, “provvedimento che apportò la rovina dello stato romano, del Senato e del popolo di Roma”. Secondo questo storico, concedendo tale cittadinanza a popolazioni che erano ancora lontane dalla civiltà romana, si affrettò la decadenza dell’impero.
La storiografia contemporanea invece tende a valorizzare il lato “rivoluzionario” del provvedimento che riguardò migliaia o centinaia di migliaia di “peregrini”, cioè di stranieri che fino a quel momento avevano vissuto entro l’impero romano fianco a fianco dei “cives Romani”. Ancora oggi, tuttavia, si discute se si sia trattato di una norma che metteva ordine in una situazione eterogenea di accesso alla cittadinanza, o se piuttosto rispondesse alle esigenze di rimpinguare le casse imperiali con l’imposizione della tassazione al maggior numero di cittadini possibile.
Alla voce “Caracalla” dell’Enciclopedia Italiana leggiamo nel testo di Valentino Capocci: “Quanto alle cause che indussero l’Imperatore e il consiglio imperiale alla promulgazione dell’editto, sembra che i motivi di carattere fiscale esposti sommariamente da Cassio Dione (77, 9, 5) […] non siano stati fra gli ultimi; nello stesso tempo però l’editto va ricollegato alle tendenze livellatrici della politica dei Severi, alla luce della quale la nuova concessione di Caracalla rappresenta un grande passo in avanti sulla via per cui la base vera della forza dell’impero s’andava spostando sempre di più verso i provinciali meno romanizzati, più prossimi alle frontiere”.
In occasione del convegno tenuto a Roma nella Protomoteca del Campidoglio il 17 dicembre 2012 per ricordare la “Constitutio antoniniana” a milleottocento anni dalla data di promulgazione, interessante è un passo del lungo contributo di Attilio Mastino, noto storico ed epigrafista italiano: “La Costituzione Antoniniana fu la risposta che uno degli imperatori africani ritenne di dover dare alle istanze dei provinciali, cioè dei gruppi che lo avevano portato al potere, un primo importante passo verso l’eguaglianza nei diritti e nei doveri che costituisce il nucleo di ogni cittadinanza antica e moderna. Un modello insuperato anche per noi uomini d’oggi.[…] la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero potrebbe servire a suscitare una riflessione nel nostro paese a proposito di una legislazione sui migranti che deve mettersi al passo con i tempi: il primo problema giuridico da risolversi sembra quello dell’attribuzione della cittadinanza ai figli degli immigrati, nati in Italia, sulla base dello ius soli.
Maria Pellegrini

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