di Maria Pellegrini

I testi antichi hanno spesso come soggetto racconti mitologici. Le storie del mito hanno lo scopo di spiegare i misteri del mondo, le sue origini, i suoi valori, e di definire le relazioni tra gli dei e gli uomini. In altre parole, sono un tentativo di dare risposte ai quesiti fondamentali che l’uomo si è sempre posto e continua a porsi. Sorti ai primordi della civiltà di un popolo, i miti sono stati trasmessi oralmente di generazione in generazione, assumendo una veste definitiva quando in un secondo momento saranno fissati in testi scritti. Sono il deposito dei valori, della saggezza, della cultura di un popolo, fonte inesauribile di significati. Ancora oggi i miti sono in grado di fornirci una grande quantità di informazioni riguardanti le civiltà che li hanno elaborati, soprattutto la gerarchia dei valori su cui le popolazioni dell’antichità fondavano la propria esistenza. Le storie mitologiche devono essere lette come una trasfigurazione fantastica della realtà, metafore della nostra vita che rivelano qualcosa di noi stessi, trasmettono situazioni, emozioni e sentimenti che ci appartengono ancora oggi. Nei miti è il cuore della saggezza degli antichi, l’origine di tutto quello che la grande tradizione della filosofia greca svilupperà poi in forma di concetti, per definire i principi di una vita giusta per noi mortali. Oggi di questa saggezza abbiamo un gran bisogno.

Alcuni racconti mitologici riguardanti l’accoglienza e l’ospitalità, letti come capolavori letterari tuttora affascinanti, sono di straordinaria attualità, sono lezioni di saggezza, di profondità filosofica perché l’incontro con “l’altro”, fosse uomo o dio, comunque straniero, era misteriosamente inserito in un ambito di sacralità e sentito come un bene dei più preziosi.

Nell’antichità le leggi dell’ospitalità e dell’accoglienza dello “straniero” erano sacre. Presso il popolo greco esisteva il principio secondo cui lo straniero andava aiutato, accolto e ristorato, perché ciò era gradito agli dei e soprattutto a Zeus, il re delle divinità olimpiche. Il tema dell’ospitalità si rivela oggi di viva e drammatica attualità, ma i suoi scenari si aprono già in età molto antiche e sono oggetto di racconti storici e mitici. Il mito di Filemone e Bauci si rivela di estremo interesse. Si narra che Zeus, sceso sulla terra insieme al figlio Ermes con l’aspetto di poveri mortali, si vide rifiutato dalle ricche case degli abitanti del luogo. Soltanto due anziani coniugi, Filemone e Bauci, che vivevano in una miserevole casupola, danno loro generosa accoglienza. Filemone accende il fuoco, raccoglie nell’orto verdure che Bauci si appresta a cuocere, poi mettono a disposizione degli ospiti tutto quello che la povera dispensa può offrire, ma è ben poco. Decidono allora di sacrificare quanto hanno di più prezioso, un’oca che dà loro ogni giorno un uovo. Zeus commosso dal gesto del vecchio che sta per uccidere l’animale, lo ferma e, riacquistato insieme al figlio lo splendore della divinità, chiede ai due coniugi di recarsi in cima al monte. La città è presto sommersa dalle acque, è la punizione divina riservata agli abitanti della città disobbedienti al volere degli dei che ritengono sacro il dovere dell’ospitalità. La vecchia capanna si muta in un tempio. Ma prima di tornare all’Olimpo, Zeus per esprimere la sua gratitudine promette ai due vecchi che esaudirà un loro desiderio. I due sposi chiedono di essere i custodi di quel tempio e di poter chiudere gli occhi nello stesso momento, in modo da non vedere la morte del compagno o della compagna di tutta una vita. Saranno esauditi, vivranno insieme ancora a lungo, finché giunto il momento del distacco terreno Filemone sarà trasformato in quercia e la mite Bauci in tiglio.

In Grecia il diritto di ospitalità è conosciuto fin da tempi di Omero. Nei suoi poemi ci imbattiamo spesso in episodi in cui la diritto è rispettato o rifiutato. Chi lo rifiuta è un bruto, un incivile e sarà punito. La guerra di Troia stessa si scatena per la violazione delle regole di ospitalità quando Paride seduce e porta via con sé la bella Elena, sposa di Menelao del quale è ospite. Quando, terminata la guerra e distrutta la città, gli eroi tornano a casa, per molti il viaggio sarà avventuroso, quello di Odisseo è raccontato da Omero. Dopo tante tristi vicende infine l’eroe approda naufrago sulla costa del regno dei Feaci. Sporco di salsedine, nudo, sbuca all’improvviso sulla spiaggia dove alcune fanciulle stanno giocando e suscita il panico, ma subito è accolto da Nausicaa, figlia del re Alcinoo, che si rivolge alle sue ancelle per ricordare il loro dovere di ospitalità: “Fermatevi, ancelle, dove fuggite al solo vedere un uomo?.[...]  Costui è un infelice, giunge qui ramingo. Bisogna prendersi cura di lui perché vengono tutti da Zeus forestieri e mendichi, e un dono anche piccolo è a loro gradito. Su, ancelle, date all’ospite da mangiare e da bere, ma lavatelo prima nel fiume dove c'è un riparo dal vento”.

Allo straniero, proprio a quello che oggi è visto come un potenziale ladro dei nostri privilegi e dei nostri intoccabili beni, nei miti della cultura classica di cui ci consideriamo eredi, si dava ospitalità ed era considerato sacro e intoccabile.

Odisseo in quanto straniero, anzi proprio perché tale, riceve le dovute attenzioni da Antinoo, re saggio e giusto. A non rispettarlo sono uomini spregevoli come Polifemo, il mostro gigantesco da un solo occhio, che disprezza Odisseo e i suoi compagni che lo implorano in nome di quell’ospitalità che gli dei esigono dagli uomini giusti. I Ciclopi sono rappresentati privi di ogni tecnica e organizzazione sociale, vivono isolati gli uni dagli altri, senza leggi, senza costruire abitazioni. “Costoro non hanno assemblee di consiglio, né leggi, ma abitano le cime di alte montagne in cave spelonche, e ciascuno comanda sui loro figli e mogli”, si legge in Omero.

Quando Odisseo vestito da mendicante e reso irriconoscibile dalla dea Atena arriva a Itaca, Eumeo, il vecchio porcaro lo accoglie con tutti gli onori. Il più povero e umile servitore offre al mendicante cibo e un letto e si spoglia del suo mantello per coprirlo. Al contrario, i Proci, uomini avidi ed empi, non rispettano ospiti e mendicanti, non tengono conto degli ammonimenti divini, depredano i beni della casa che hanno prepotentemente occupato, ma saranno presto puniti.

Il mito dell’ospitalità è esaltato anche nella mitologia romana. Enea, fuggito da Troia tenendo il padre sulle spalle e per mano il figlioletto, in cerca di una nuova terra che lo accolga, può essere definito in modo moderno “un profugo”.

Naufrago sulle coste libiche manda esploratori a ispezionare le intenzioni di chi abita quei luoghi. I suoi messaggeri sono accolti con grande onore dalla regina Didone, anche lei giunta in quei luoghi fuggendo dalla sua città, e quindi comprensiva delle disgrazie altrui. Subito invita i compagni di Enea con queste parole: “Avanti, o giovani, entrate nel nostro palazzo. Una simile sorte volle che anch'io, agitata da molti travagli, mi fermassi infine in questa terra”. Enea, rassicurato, si presenta alla regina che lo conduce nel palazzo reale e indice nei templi cerimonie agli dei e frattanto manda tori, maiali e agnelli ai compagni dell’eroe rimasti sulla riva.

Quando Enea arriva nel Lazio, terra a lui indicata dagli dei, dove ha il compito di fondare una città e dare inizio a una nuova stirpe, richiede asilo. Qui regna il re Latino, un messaggero gli riferisce che sono giunti uomini con abiti stranieri ed egli comanda di invitarli nel palazzo. Enea manda alcuni suoi compagni con doni per il re e l’incarico di avanzare la richiesta di un pezzo di terra. Latino così parla loro: “Finché regnerò non vi mancherà la feconda opulenza della ricca Troia. Enea, dunque, se ha tanto amore per noi, e ansia di unirsi con gli ospiti e di essere chiamato alleato, venga in persona, e non tema i nostri volti amici. Mi sarà pegno di pace toccare la destra del re”. Il saggio re concede loro ciò che chiedono.

Perché non vedere un Odisseo o un Enea in coloro che costretti, a fuggire dalle loro terre, affrontano terribili viaggi in mare e approdano sulle nostre coste? Perché si alzano muri e fili spinati?

“Quanto più un paese costruisce barriere per difendere i propri valori, tanto meno valori avrà da difendere”. Su queste parole di uno dei più importanti poeti contemporanei, Hans Magnus Enzensberger, dovrebbe riflettere Salvini e quanti come lui, che con scopi soprattutto demagogici ed elettorali suscitano odio verso profughi che fuggono da guerre, persecuzione, fame. Viviamo in un mondo di internet e social network, dove non esistono barriere, ed è molto facile stringere relazioni tra persone lontane e sconosciute. Assistiamo all’espansione di un mercato globale, di scambi commerciali da ogni parte del mondo, ma vorremmo sbarrare il passo a naufraghi bisognosi di un approdo e di un’accoglienza.

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