Non è vero che non ci sono più le stagioni di una volta. Ci sono. Il caldo di questa settimana somiglia a quello di tanti altri anni passati e finiremo per ritrovarlo anche nel futuro. Sicuro. A Terni, che con il caldo non si scherza, c'è ancora molta gente che si ricorda di quando il catrame si scioglieva ai bordi della Flaminia e di come si dovesse fare attenzione quando si posava una scarpa sull'asfalto molle. Si ricordano le lunghe estati che si affrontavano dormendo in cantina o bagnando il materasso per creare, per un po', una sensazione di fresco. Le stagioni, con i loro eccessi, tornano sempre anche se non possiamo dimenticare i disastri ambientali che la nostra civiltà sta causando al mondo nel quale viviamo.

A Perugia, in effetti, qualcosa è cambiato. Una volta il caldo serio durava una settimana, dieci giorni, poi si tornava a respirare. Uscire di sera per Corso Vannucci senza portarsi dietro un golfino non era una cosa consigliabile. Ad una certa ora, puntuale come un orologio, arrivava un venticello fresco e poi ancora più fresco. Ora sembra che il golfino non sia più necessario e che anche alla somma altezza dell'acropoli si possa passeggiare senza tante precauzioni.

Dunque, le stagioni non sono più quelle di una volta ma, certo, non bisogna misurarle  con la nostra memoria troppo corta. Bisogna spalmare questa memoria in un tempo molto più lungo e alla fine, forse, su quella di più generazioni.

Solo che ai tempi nostri ci sono un sacco di strumenti di controllo decisamente sofisticati che prevedono tutto e tutto misurano. Per questo possiamo stare tranquilli. Solo che ogni tanto c'è qualcosa che non va. A Terni, per esempio, sono stupiti per questo ennesimo primato di Perugia. Va bene che è il capoluogo di regione, che ha due università e molti più abitanti e le mura etrusche e quelle medievali, ma il titolo di città tra le più calde d'Italia questo non è proprio accettabile. Così, a Terni, dove si suda sino allo sfinimento, non capiscono. Ma dove la misurano la temperatura gli esperti? hanno mai fatto un salto a piazza del Popolo, diciamo, nel tardo pomeriggio? Niente, ogni giorno svetta Perugia con il suo grado in più di Terni.

Quando i termometri erano forse meno sofisticati e non c'era ancora questo dato curioso della temperatura percepita Terni veniva nominata spesso nel telegiornale come la città più calda d'Italia. Più di Palermo e di Reggio Calabria o di Firenze e Bologna, città più a nord ma lontane dal mare. A questo primato in città tenevano molto, non solo perché ne parlava la televisione. Quando si toccavano i quaranta gradi era come aver battuto un record nazionale. E poi questo dato non proprio piacevole marcava in qualche modo l'identità di una città che si trova in una conca dove fumano le ciminiere e non tira un alito di vento neanche a pagarlo a peso d'oro. Terni è il caldo dei suoi forni dove si fabbrica l'acciaio, dove stridono i laminatoi, dove si produce l'energia, sia pure grazie alle acque freddissime del Velino. Terni è il fuoco. Perché sminuire la forza delle sue risorse primordiali privilegiando una città posta tranquillamente in collina, ricca dei suoi venticelli estivi e della sua tramontana che in inverno imperversa ma che è sempre lì, perennemente in agguato dietro ogni angolo esposto a nord. Da dove nasce questo grado, dove si trova e dove vanno a cercarlo quelli delle previsioni del tempo? Magari a Sant'Egidio, dove c'è l'aeroporto, chissà. Ma pure in quel posto,  in basso e perso tra gli sbuffi di umidità della campagna assolata, i conti non tornano. La conca ternana è un'altra cosa.

Il fatto è che le città cambiamo proprio come le stagioni, anzi, in virtù delle stagioni e dei loro impercettibili mutamenti. Sin agli anni sessanta Terni era una città, in inverno, immersa nella nebbia e questo la faceva somigliare a una città inglese con le sue fabbriche e il suo smog. La Manchester italiana. Anche Perugia aveva la sua nebbia che saliva, alla vigilia del Natale, dalle valli più scoscese. La nebbia di Perugia non è però la stessa di Terni. Quella di Terni era una nebbia industriale, figlia dei mille canali del Nera, poi  chiusi nel dopoguerra, costruiti per alimentare l'energia idraulica degli opifici. La nebbia di Perugia è più paffuta, come una isolata nuvola bianca in un cielo sereno, nebbia contadina, nebbia della campagna e del fiume. Del resto, c'è ancora, nonostante lo sviluppo edilizio. Solo un po' meno. Che bello parlare di acqua e di nebbia nei giorni della grande calura. A Terni ridiamo però un primato che le spetta, guadagnato, davvero, con il proprio sudore.

Renzo Massarelli

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