di Paolo Felici

 

Uno degli sketch che mi fa più ridere è quello in cui uno sbaglia negozio. Magari entra e chiede una bistecca in una libreria, oppure un dolce in una ferramenta o, sempre più spesso, un mutuo in una banca. Difronte al bancario di turno, che si trova difronte alla domanda come se avesse visto una pistola, ci si sente davvero un po' fuori posto. Il personale della banca dopo aver recuperato dallo sbigottimento, ritirando su la mascella pendente sotto occhi variamente spalancati, si riprende come da una infatuazione, come se gli fosse apparsa la Madonna. Le reazioni seguenti sono di due tipi: “mi devo informare … un attimo che guardo … mmm … dipende … quanto chiederebbe? Cinquantamila? E in quanti anni? Un mutuo? … E lo utilizzerebbe per … ah già per opere edilizie ... come? Certo, certo, per l'ampliamento della prima casa … ampliamento … vediamo … vediamo … no, senta, o mi lascia una mail che le scrivo oppure un numero di telefono … meglio la mail.” Altrimenti: “Se mi attente un attimo in quella saletta le chiamo il direttore,” che dirà le stesse cose del bancario più intraprendente. Alla fine, oggi, anche se si possiede un discreto lavoro, con conto corrente quieto come un gattino domestico, a dimostrazione di una vita sacrificata alla stabilità, la banca ti spedirà, all'indirizzo che hai lasciato, una proposta assurda, che non può che essere rifiutata.

        Mi chiedo a quanti sarà arrivata la stessa risposta? Le banche oggi sono supermarket che vendono prodotti e non si interessano più delle idee. Un tempo entrare in un istituto di credito era un po' come varcare la soglia di un tempio. Al direttore ci si arrivava quando si doveva proporre il finanziamento di un'impresa, i mutui li trattavano con competenza i sottoposti. Il direttore ti ascoltava con attenzione e se era il caso approfondiva, perché sapeva che questo era il suo lavoro, il compito di una banca: diventare soci di un'idea e guadagnare da quelle buone, rischiando quanto necessario. Questa era e deve tornare ad essere la banca. Io non so quali sono gli strumenti possibili; me ne vengono in mente alcuni, probabili sciocchezze: diamo licenza di attività di banchiere solo a chi svolge questo tipo di attività, vietando tutte le altre e lasciando il semplice deposito; oppure: le banche private non possono più accedere al credito europeo ai tassi della BCE, che invece sarà rivolto solo alla Banca d'Italia, la quale torna a fare credito tradizionale.

    Non ho mai compreso la strategia attuale degli istituti di credito. Ho come l'impressione che nelle testa malata dei capi supremi che oggi guidano imperi, derivanti da fusioni e accorpamenti, ci sia l'idea che gli affari possano essere svolti solo con chi il denaro già ce l'ha in abbondanza, cioè con l'un per centomila della popolazione. Il resto? Il resto serve a tenere in piedi il supermarket, oppure a sparire. Come si fa a non comprendere il filo invisibile e robusto che unisce tutti, che se non ci fosse il passista silenzioso, il gregario, non ci potrebbe essere nemmeno quello che taglia il traguardo. Rinunciare al sostegno dell'impegno quotidiano significa rinunciare all'economia reale, significa far saltare tutto.

Guardi, signor direttore, io non faccio niente, chiamerò l'ingegnere, il muratore, l'elettricista, il rivenditore e gli dirò che non se ne fa nulla e loro non lavoreranno. Ma cosa pensa, direttore, che se saltano loro, lei rimane illeso? Lei farà la stessa fine un minuto dopo, e non le verrà più da ridere, come in uno dei sketch di quelli che sbagliano negozio, chiedendo un mutuo in banca.

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