di Riccardo Chiari

"Tocca ripe­termi, anche a costo di usare frasi fatte: il cal­cio non può essere solo quello delle tv. E chi lo ammi­ni­stra dovrebbe pur farlo qual­che ragio­na­mento. Per­ché a furia di stadi vuoti, come quello di Trie­ste dove ave­vano siste­mato le sagome degli spet­ta­tori per cer­care di coprire le tri­bune deserte, l’intero movi­mento se ne va in malora". A set­tan­ta­quat­tro anni, di cui qua­ranta pas­sati sulle pan­chine di squa­dre di ogni cate­go­ria, Renzo Uli­vieri cono­sce bene la mate­ria. E come pre­si­dente dell’Assoallenatori non cade dal pero, di fronte alle dop­pia noti­zia dell’ennesimo scan­dalo nelle serie pro­fes­sio­ni­sti­che minori, e dell’indagine dell’Antitrust sull’ipotesi di un car­tello Sky-Mediaset per assi­cu­rarsi i diritti tele­vi­sivi della serie A.

Uli­vieri, cer­chiamo di uscire dalle rituali parole di con­danna. E, come dice lei, fac­ciamo qual­che ragionamento.

E allora par­tiamo dal fatto che, a sini­stra, o abbiamo demo­niz­zato il feno­meno, oppure lo abbiamo trat­tato con troppa suf­fi­cienza. In realtà il “cal­cio spet­ta­colo” che vediamo in tele­vi­sione è bel­lis­simo, e abbiamo tutti il diritto di goderne. Al tempo stesso abbiamo anche il sacro­santo diritto alla pra­tica, e quindi ad avere gli spazi di base, anche cul­tu­rali. Una pira­mide ha biso­gno delle basi, altri­menti crolla. E il cal­cio di élite, da solo, non regge. Altro che nuovi, grandi stadi, noi abbiamo biso­gno di recu­pe­rare le strut­ture dove pra­ti­care cal­cio a tutti i livelli.

Pos­siamo dire che quello che è suc­cesso oggi sia la dimo­stra­zione, su due piani diversi, di un sistema che mostra evi­denti patologie?

Sicu­ra­mente l’assegnazione all’asta dei diritti tele­vi­sivi, la scorsa estate, a mol­tis­simi dette l’impressione che die­tro le quinte i prin­ci­pali attori si fos­sero messi d’accordo. Detto que­sto, il nodo mai sciolto riguarda la mutua­lità, e cioè la redi­stri­bu­zione delle risorse. Se fini­sce la mutua­lità, fini­sce tutto il movi­mento. Ed è nell’interesse di tutti, non imme­diato ma di sistema, che ci sia una cor­retta redi­stri­bu­zione delle risorse. Magari andando a stu­diare, e appli­care, i mec­ca­ni­smi che rego­lano la mutua­lità nelle altre nazioni guida del cal­cio europeo.

Che si sente di dire ai tanti nostal­gici, in costante aumento, del “cal­cio di una volta” da pre­fe­rire a quello odierno, con­si­de­rato come un pro­dotto di pla­stica ad uso e con­sumo delle televisioni?

Vor­rei ricor­dare loro che prima il movi­mento reg­geva anche gra­zie a per­sone che si sono, let­te­ral­mente, rovi­nate. E su tante situa­zioni bor­der­line, ai limiti della lega­lità se non aper­ta­mente fuori di essa. Non ci dob­biamo dimen­ti­care delle tante società che anda­vano avanti gra­zie agli impli­citi accordi fra ammi­ni­stra­zioni cit­ta­dine e pre­si­dente di turno. Magari con la pro­messa di ren­dere edi­fi­ca­bili i ter­reni del patròn, a patto che quest’ultimo inve­stisse nella squa­dra di cal­cio. Oppure con l’arrivo di spon­sor dal dub­bio pas­sato. Era giu­sto che ci dovesse essere un rias­setto com­ples­sivo, con nuove regole. Anche se que­sto ha com­por­tato dei pro­blemi, vedi quello che accade ogni anno in Lega Pro. E anche la Lega di serie B ha dei pro­blemi, i suoi bilanci sono in defi­cit. E allora si torna al punto cen­trale: se fini­sce la mutua­lità, fini­sce il movi­mento stesso.

Dal set­tem­bre scorso lei è alle­na­tore, a titolo gra­tuito, della Sca­lese, squa­dra di cal­cio fem­mi­nile di San Miniato, che fa la serie B.

Ci siamo sal­vati. E que­ste ragazze, come la mas­sima parte del mondo dilet­tan­ti­stico maschile, gio­cano gra­tis. Ma per­lo­meno per le strut­ture que­sto movi­mento di base potrebbe essere aiutato.

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