di Jacopo Giombolini

I giovani, è risaputo, si contraddistinguono per idealismo, grandi battaglie, ma pure per ambizioni sproporzionate alla conoscenza, per il tempo speso con gli amici, per i turbamenti emotivi. E la gioventù latina degli anni Settanta sicuramente non si discostava da questo quadretto. In questo «romanzo in storie» pubblicato quest'anno in Italia da Guanda e venduto al prezzo di copertina di 15 €, Luis Sepúlveda narra il tempo andato e le idealità della sua generazione, e ci riesce tramite il filtro della tenerezza e dell'ironia, che ammorbidisce il nervosismo e ci richiama integri i desideri e gli attimi di ardore dei suoi anni di militanza giovanile. In questo modo veniamo a sapere che lo svaligiare una banca poteva essere chiamato "esproprio proletario", o persino essere, per un musicista fallito, un'irrinunciabile opportunità per dare prova del suo talento di cantante e chitarrista.

Ci possiamo anche imbattere, leggendo questo libro, nell’Esercito di liberazione nazionale intento a rubare un arsenale, intralciato da una sfilza di contrattempi tragicomici, ma capace di dar luogo anche a cooperazioni impensabili. E incappiamo in queste centosessanta pagine, tra l'altro, nel bislacco protagonista del titolo, che non è, in realtà, né uzbeko né muto. Altro non è, difatti, che il peruviano Ramiro, borsista all’Università Lomonosov, destinato a ricevere un’educazione bolscevica nella patria del socialismo reale. Peccato che a Mosca Ramiro non trovi niente di ciò a cui è veramente interessato, vale a dire le donne, la musica e l’alcol. Ramiro raggiunge il culmine della sua insoddisfazione quando prova ad arrivare a Praga che leggenda vuole abbondi di tutte queste cose, m a finisce di contro in Uzbekistan… Tra allegria e malinconia, questo romanzo ci riporta al «bel sogno di essere giovani senza chiedere il permesso».

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