Quegli altissimi archi di trionfo che portavano acqua a Roma
di Maria Pellegrini (Alias domenica, 15 marzo 2013)
Una delle imprese più impegnative della civiltà romana fu la costruzione degli acquedotti, «testimonianza importantissima della grandezza dell’impero romano» scrive Frontino nel De aquae ductu urbis Romae, di recente pubblicazione con traduzione, testo a fronte, introduzione e note di Francesco Galli (Sesto Giulio Frontino, Gli acquedotti di Roma, Argo ed. 2014, pp.142, € 15,00).
Dal 312 a.C., anno in cui fu costruito il primo acquedotto, quello dell’aqua Appia, si realizzò quel complesso sistema di approvvigionamento idrico, unico nel mondo antico per monumentalità e funzionalità, che fece affluire a Roma una quantità enorme di acqua potabile, come in nessun’altra città del mondo antico, tanto che la città fu chiamata regina aquarum. Frontino nel 97, sotto l’imperatore Nerva, fu curator aquarum cioè responsabile degli acquedotti e dei servizi connessi per i quali poteva contare su una squadra di numerosi operai. La sua opera contiene notizie storiche, tecniche, amministrative, legislative e topografiche riguardanti i nove acquedotti esistenti a Roma ai suoi tempi, visti come elemento di grandezza della civiltà romana e paragonati per la loro magnificenza alle piramidi o alle opere architettoniche greche, ma più utili perché hanno contribuito alla qualità della vita quotidiana.
Requisito essenziale nella costruzione degli acquedotti era l’altezza, indispensabile a fornire la giusta pendenza alla conduttura che doveva trasportare l’acqua da una sorgente naturale a Roma (le lunghissime campate ad arco raggiungevano fino a 35 metri d’altezza). «L’acqua giungeva a Roma su una successione di archi di trionfo» scrive Goethe nel suo Viaggio in Italia, e come lui migliaia di visitatori nel corso dei secoli hanno osservato incantati nella campagna romana quella sequenza di archi costruiti per la mancata conoscenza degli antichi di una legge fisica, quella dei vasi comunicanti. Il trattato di Frontino ha indubbiamente anche finalità politiche e di propaganda perché deplora il comportamento inerte dei precedenti imperatori di fronte all’incuria di quanti erano preposti al buon funzionamento degli acquedotti, ed elogia invece l’imperatore Nerva ricordato con apprezzamenti sinceri più che adulatori: «non saprei dire se fu principe più diligente o più premuroso nei confronti dello stato», «il migliore e più coscienzioso dei principi», «principe molto scrupoloso». Nell’Introduzione - ricca di informazioni pur nella sua essenzialità come le note che accompagnano il testo -, il curatore ci ricorda che l’opera, pubblicata nel 98, è giunta attraverso un codice manoscritto del XII sec., ritrovato nell’abbazia di Montecassino nel 1479 da Poggio Bracciolini. Scarne sono le notizie biografiche di Frontino di cui non si conosce il luogo di nascita, né dove o da chi abbia appreso le nozioni di matematica e di tecnica idraulica mostrate con padronanza nella sua opera. Quasi sicuramente di origine provinciale, apparteneva probabilmente a una famiglia di rango patrizio come si deduce dal nomen Iulius e dall’incarico di sovrintendente al servizio idraulico, una magistratura molto importante, ricoperta prima di lui da eminenti personaggi della capitale.
Il tessuto espressivo è lineare, ma alla varietà dei temi affrontati - percorsi degli acquedotti, nomi dei costruttori, quantità di acqua trasportata, ubicazione delle sorgenti, retribuzione del personale, norme per gli appaltatori, riparazioni e tempi stabiliti per attuarle, provvedimenti per salvaguardare la purezza dell’acqua e molti altri ancora - non corrisponde una varietà di espressione, del resto il linguaggio tecnico e burocratico non consente altezze letterarie. Una maggiore personalizzazione si avverte quando l’Autore si anima di entusiasmo di fronte alla maestà degli acquedotti, sintesi di bellezza, utilità, magnificenza, simbiosi di arte e funzione, o assume toni indignati per gli abusi commessi dai fontanieri che praticavano “punture” nei tubi lungo il percorso sotterraneo per un uso personale causando una diminuzione della quantità idrica per l’uso pubblico e inquinamento dannoso alla salute. Il curatore di questo agile libro, lontano da scopi filologici o di critica testuale, ci fornisce una traduzione condotta seguendo un’impostazione di fedeltà al testo latino e rispetto della semplicità e funzionalità dei termini tecnici, usati da Frontino.

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