Properzio, poeta umbro che cantò l’amore
di Maria Pellegrini
“Viaggio in Italia” scritto da J. W. Goethe, poeta ma anche scrittore e drammaturgo tedesco, è il resoconto di un viaggio in Italia compiuto dall’Autore fra il 3 settembre 1786 ed il 18 giugno 1788. Tappa di questo suo peregrinare è anche l’Umbria dove Goethe arriva nell’ottobre del 1786. Visita Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto. Anche in queste città, come in altre d’Italia, ricerca soprattutto le opere del mondo classico romano e, più a sud, di quello greco. Così ad Assisi non entra nemmeno nella basilica di San Francesco. Si attarda invece lungamente davanti al tempio di Minerva, descrivendone la struttura e il sito, provando a immaginare l’ambiente originario del luogo. Così scrive nel suo diario: “Finalmente sono giunto alla città veramente antica ed ecco davanti ai miei occhi quell’illustre monumento, il primo completo monumento dell’antichità che io ora contemplo”. Assisi era già III secolo a. C. sotto il dominio della Repubblica romana dopo la terza guerra sannitica. Nel 90 a. C. divenne municipio romano. Ne sono testimonianza, oltre al Foro, il suddetto Tempio di Minerva, l’Anfiteatro (posto nella parte alta della città) e due Domus romane, che Goethe non vide perché non erano ancora state scoperte, e che ora è possibile visitare. Nelle pareti di una di esse sono incisi numerosi graffiti con versetti poetici nei quali si cita una “domus Musae”, considerata casa del poeta umbro Properzio, di età augustea, nato ad Assisi intorno al 50 a. C. Anche se non si può avallare con sicurezza tale ipotesi, resta però l’incanto di questo gioiello recuperato per la gioia dei visitatori che ne possono ammirare gli affreschi parietali e le decorazioni dei pavimenti.
Il rapporto di Properzio con la sua terra d’origine ci è noto attraverso le significative ma scarse notizie che lo stesso poeta inserisce nella sua opera: da essa si evince non solo il forte ed orgoglioso legame con l’Umbria, ma anche la profonda lacerazione causatagli dagli eventi della guerra di Perugia: “L’Umbria mi generò, fertile di terre ubertose”, scrive nella poesia finale del I libro delle sue Elegie, unica opera, in quattro libri, di questo poeta che muore giovane, forse nel 15 o 16 a.C., anno dopo il quale non si hanno più sue notizie.
Sulla scia dell’amore del viaggiatore tedesco per le antichità romane non vogliamo qui ricordare Assisi come città natale di San Francesco e Santa Chiara, ma come luogo di nascita del poeta Properzio che in tutta la sua breve vita volle cantare il più forte e ardente dei sentimenti, l’amore.
Properzio è orgoglioso della sua opera poetica e si compiace di autonominarsi il “Callimaco romano”, di cui l’Umbria sarà fiera; evocando poi il profilo turrito della sua città, Assisi, afferma che le sue mura saranno più note e apprezzate grazie al suo ingegno poetico:
…….l’Umbria si vanti superba dei miei libri,
l’Umbria terra natale del Callimaco Romano.
Chiunque ne veda le rocche che si ergono dalle valli
apprezzi quelle mura per i frutti del mio ingegno! (IV, I, 63-66)
Nella medesima elegia attraverso le parole di un indovino in visita a Roma, Properzio ci dà notizie autobiografiche: è nato in Umbria da illustri antenati, vicino all’odierna Bevagna (Mevania) nella valle solcata dalle acque di un fiume, e torna a ribadire che le mura dell’alta Assisi, sua patria, diverranno famose grazie alla sua poesia:
“L’Umbria antica ti generò da illustri Penati
(mento forse? o ben ricordo la terra della tua patria?)
dove la nebbiosa Mevania stilla umidità nei declivi campi,
e l’umbro lago d’estate intiepidisce le sue acque,
e sulla vetta sorgono le mura dell’alta Assisi,
mura rese più note dall’opera del tuo ingegno”. (IV, I, 121-126)
Ma subito segue - sempre con parole che il poeta attribuisce all’indovino - la dolente nota della confisca dei beni e dei lutti subiti dalla sua famiglia in occasione della spartizione di terre in favore dei veterani di Ottaviano e Antonio, dopo la battaglia di Filippi, e durante la guerra di Perugia:
“Hai raccolto le ossa paterne quando eri ancora bambino
e sei stato costretto a dimorare in un’umile casa:
infatti mentre molti giovenchi aravano i tuoi campi,
la triste pertica ti sottrasse gli averi ben coltivati”.(IV, I,127-130)
Dopo queste dolorose esperienze l’indovino continua a parlare della vita di Properzio: indossata la toga virile e deposto il ciondolo d’oro che portava da bambino, si dedicherà soltanto alla poesia. È Apollo stesso a imporgli questo compito:
“Poi quando dimettesti dall’inesperto collo di adolescente l’aurea bolla,
e al cospetto degli dèi della madre indossasti la libera toga virile,
allora Apollo ti dettò pochi versi del suo canto,
e ti proibì di far risonare le tue parole nel delirante Foro.
Ma tu componi elegie, opera seducente (questo è il tuo campo),
affinché la turba degli altri scriva seguendo il tuo esempio.
Militerai sotto le blande armi di Venere”.(IV, I, 131-
Queste parole denunciano l’audace anticonformismo di Properzio, che rifiuta apertamente i doveri militari spettanti al cittadino romano e dichiara la propria assoluta dedizione a una forma personale e privata di “militia” quella imposta dal sentimento d’amore.
Non sono adatto alla gloria, né per natura idoneo alle armi:
i fati vogliono che eserciti la milizia d’amore. (I, 6,29-30)
L’antimilitarismo costituisce in effetti uno dei tratti caratteristici della poesia elegiaca latina, nella quale l’allontanamento dai valori ufficiali del principato augusteo diviene elemento distintivo dei poeti non pienamente integrati come è Properzio. I suoi componimenti esprimono valori distanti dal programma di restaurazione dei fondamenti morali della romanità promosso dall’imperatore, e trovano nelle forme della poesia d’amore lontana dalla solennità dell’epica, una piena e totalizzante realizzazione. Nel suo primo libro delle Elegie, mancano temi civili e politici: unica eccezione degli ultimi due componimenti nei quali egli depreca la guerra di Perugia per le sue luttuose conseguenze, con toni e argomenti non certo adulatori verso la figura di Ottaviano. Di particolare interesse l’ultima elegia, definibile più come epigramma funerario (I, 22), che contiene riferimenti autobiografici ed è posta a sigillo del libro. Properzio rivolgendosi all’amico Tullo - cui attribuisce una domanda, evidentemente fittizia, sulle sue origini - risponde precisando che è nato in terra umbra e se l’amico vuole veramente capire chi egli sia, deve risalire alla tragica realtà delle guerre civili “quando la discordia romana travolse i suoi cittadini” e causò la perdita di un congiunto le cui ossa sono rimaste insepolte:
a me specialmente, o terra etrusca, hai arrecato dolore,
tu hai lasciato insepolte le membra del mio congiunto,
tu non ricopri col tuo suolo le ossa dell’infelice. (I, 22, 6-8)
La pubblicazione del I libro delle Elegie suscita l’interesse di Mecenate che lo incita a trattare soggetti più alti. Properzio gli dedica il II libro, ma si rifiuta di scrive un poema epico-storico e ribadisce la sua irrevocabile scelta della poesia d’amore indicando in una “fanciulla” la sua unica fonte d’ispirazione:
Non è Calliope a dettarmi gli argomenti, non li sollecita Apollo,
la stessa fanciulla è stimolo e fonte del mio ingegno. (II, 3-4)
Ma infine Properzio, che pure era ostile ad Augusto nel ricordo dei suoi parenti caduti durante la guerra di Perugia, si lascia indurre dall’abile Mecenate a scrivere, nei libri III e IV delle sue Elegie, numerosi versi in onore di colui che aveva odiato, ma vive con angoscia l’idea di aderire alla politica del padrone dell’impero di cui accetta soltanto il ruolo di “Princeps pacis”, cioè il pacificatore di tutte le cruente contese civili e del restauratore delle virtù antiche tipiche della civiltà arcaica e contadina romana. Ma egli riuscirà a insinuare la critica nei confronti dei tempi in cui vive, anche in certi passi di più stretta osservanza augustea. Ad esempio nei versi in cui il poeta auspica una campagna contro i Parti per recuperare le insegne perdute nel disastro di Carre, immagina le legioni che sfilano durante il trionfo lungo la via Sacra, ma egli parla di sé come di un semplice spettatore che applaude “poggiato sul seno della diletta fanciulla”.
Per di più nella I elegia del IV libro un distico suona fortemente critico:
“Gli odierni figli di Roma non hanno nulla dei padri se non il nome:
non crederebbero che una lupa è stata la nutrice della loro stirpe”. (36-38)
La conversione di Properzio è stata definita (da Antonio La Penna) “integrazione difficile” per indicare le resistenze del poeta a una completa assimilazione al regime sottolineando il carattere sfuggente e ambiguo della risposta data dall’autore alle richieste provenienti da Augusto, alle quali egli oppone, attraverso la ricorrente formula della “recusatio”, la gelosa difesa di una poesia intima e privata, non piegata alla celebrazione dell’ideologia dominante. Ma forse ai poeti di quegli anni difficili non resta altra scelta che quella di “integrarsi”. E allora ecco Properzio scrivere le “elegie romane” nelle quali introduce nella letteratura latina l’elegia etiologica, un tipo di poesia che attraverso la narrazione di miti e leggende erudite ricerca le cause, le origini di un nome, di un rito. Sul modello degli “Aitia” callimachei, il poeta che si definiva il “Callimaco romano” rievoca le più importanti vicende dell’antichità storica e religiosa di Roma celebrando valori patriottici e morali con precisione, erudizione, ma anche una certa freddezza. Solo il sentimento d’amore ravviva queste storie antiche come l’amore di Tarpea per Tito Tazio, di Aretusa per Licota o di Cornelia per Emilio Paolo. Nel IV libro, tra il canto delle glorie romane, il pensiero torna ogni tanto a Cinzia e una mirabile prova di poesia amorosa nasce da un evento luttuoso, la morte della donna amata, che farà dell’elegia VII del IV libro il vertice di tutta la poesia erotica romana.
Non si può infatti negare che egli sia poeta più grande quando canta la bellezza, i tradimenti, la passione amorosa, che va oltre la morte (“Un grande amore oltrepassa anche le rive del fato”). Il primo dei quattro libri della sua opera poetica si apre nel nome di Cinzia, la donna che ha conquistato il poeta divenendo il centro della sua poesia:
Cinzia per prima m'irretì, sventurato, con i suoi dolci occhi,
quand'ero ancora intatto dai desideri della passione.
Allora Amore abbassò il consueto orgoglio del mio sguardo
e mi oppresse il capo sottoponendolo al dominio dei suoi passi,
finché m'insegnò crudele a odiare le fanciulle caste
e a condurre una vita priva di qualsiasi saggezza…(I, 1-6)
Cortigiana, raffinata, ricca di cultura sia letteraria che musicale, ma capricciosa e infedele, la donna costringe il poeta a una vita sregolata. Ma della sua rinuncia a una vita civilmente impegnata e alla carriera politica il poeta si fa vanto e rivendica la superiorità della propria scelta, come pure ricusa la poesia epica a favore della poesia amorosa che farà di lui la voce più apprezzata dell’elegia romana.
La natura stessa di questo cupo poeta umbro era carnale e sanguigna, desiderosa di lasciarsi coinvolgere pienamente dalla vita, oltre che dall’amore, inteso da lui come “schiavitù”, “follia”, “perversione”, ma senza ravvedimenti, propositi di espiazione o patetismi.
Si è anche molto discusso sull’autobiografismo properziano chiedendosi se le vicende amorose cantate corrispondono a realtà o a finzione. Può darsi che tutto ciò sia frutto della immaginazione del poeta, e che la stessa Cinzia sia un’invenzione: ma alla radice di tali fantasie c’è una passionalità vera, irruenta, e forse irrealizzata, ma che diventa oggetto di una produzione poetica ove sono profusi tesori di tecnica letteraria, erudizione, e insolite venature romantiche.

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