Jonathan Coe, Expo '58: una Spy Story che fa riflettere con leggerezza
Di Jacopo Giombolini
Jonathan Coe, l'autore di Birmingham alla sua decima fatica letteraria, ha subito scalato le classifiche di vendita italiane con questo suo Expo '58, di cui abbiamo già parlato nella nostra ultima recensione (quella su Funny Girl di Nick Hornby). Il plot si snoda sullo sfondo dell’esposizione universale del 1958 a Bruxelles, escamotage narrativo che sfrutta nel migliore dei modi l'emblema delle chimere dell'epoca; virtù delle quali anche ai giorni nostri si parla, ma alle quali pochi prestano veramente fede. Leggi di unità universale e di fiducia nell'avvenire, che, per adesso, sembrano ibernate nella gara di efficienza e di guadagno del mondo di oggi.
Al nocciolo della commedia, una specie di Spy Story pensata sulla falsa riga del film di Hitchcock, Intrigo internazionale, c’è Thomas Foley; un uomo sulla trentina dalla vita prevedibile, con un posto fisso e dei sicuri affetti domestici… Sfortuna ha voluto però che in quest'opera manieristica tra le spie e i personaggi equivoci, si trovino anche affascinanti hostess, con il turbinio di sentimenti che di solito nasce da figure come queste, in special modo in un'esistenza piatta e finta. Ecco l’incipit:
In una nota datata 3 giugno 1954, l’ambasciatore del Belgio a Londra trasmetteva un invito al governo di Sua Maestà britannica: un invito a partecipare a una nuova Fiera mondiale che i belgi chiamavano l’”Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1958″. Cinque mesi dopo, il 24 novembre 1954, l’accettazione formale dell’invito da parte del governo di Sua Maestà fu presentata all’ambasciatore, in occasione di una visita a Londra del barone Moens de Fernig, nominato dal governo belga commissario generale con l’incarico di occuparsi del lavoro di organizzazione dell’Expo. Sarebbe stato il primo evento del genere dopo la Seconda guerra mondiale.
Le peripezie di Thomas iniziano qui, e perlomeno nella sua mente, non hanno fine. Nell’evento mondiale che sancisce l’unità tra le popolazioni e ne incoraggia la comunicazione, sboccia in lui la coscienza di essere al contrario del tutto confuso. Dulcis in fundo, la memoria delle esperienze vissute nel corso dell’Expo ‘58 non si offuscherà mai in lui. E’ un'opera sui riflessi delle emozioni genuine (quelle che tutti rifuggiamo come la peste), sugli echi dei ricordi che tornano ad ossessionarci anche molti anni dopo che si è consumato un fatto. Un bel romanzo, e un considerevole spunto di riflessione, ma leggero.

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