di Federica Mancinelli

La sua sorella di nome Scolastica, consacrata al Signore onnipotente fin dalla più tenera età, soleva fargli visita una volta all’anno. L’uomo di Dio scendeva ad incontrarla in una dipendenza del monastero, non molto lontano dalla porta. Un giorno, dunque, come di consueto ella venne, e il suo venerabile fratello, accompagnato da alcuni discepoli, scese da lei. Trascorsero l’intera giornata nella lode divina e in colloqui spirituali, e quando ormai stava per calare l’oscurità della notte, presero cibo insieme (…) Il cielo era di uno splendido sereno: non vi si scorgeva neppure una nuvola”. Inizia così la breve parte del secondo libro dei Dialoghi di San Gregorio Magno, unico biografo di San Benedetto da Norcia, dedicata alla sua sorella gemella, Scolastica. Una coppia di fratelli uniti da Dio, seppur fisicamente lontani da tempo e dalla loro famiglia d’origine, e assorti, nel loro periodico incontro annuale, in “sante conversazioni concernenti la vita dello spirito”.

L’Europa è nata anche così. Anzi, è nata soprattutto così: attorno ad uno spirito unitario, fondato su esperienze e personalità spiritualmente e culturalmente formate e forti, certamente non su princìpi materiali o culturalmente impoveriti, dietro ai quali, infatti, è andato pian piano sfaldandosi.

Scolastica, la prima benedettina, è una donna dell’Europa. Seppur pochissime righe biografiche le sono dedicate e di lei non sappiamo storicamente quasi nulla, ella ci viene presentata come donna di grande volontà, dal “cuore ardente” e ben certa delle priorità umane. Una donna con precise intenzioni, diremmo nel linguaggio moderno, un’intera vita alla ricerca di Dio, sola e lontana dalla famiglia e dal suo luogo natale, Norcia, entrambi luoghi di fede e di educazione, ma aperti al nuovo. Unita al fratello da ben più di un legame di sangue e iniziatrice di un’opera di spiritualità femminile, sopravvissuta nello spirito e nell’organizzazione dei monasteri femminili moderni.

Sulle orme di Scolastica vive Ildegarda di Bingen, santa benedettina tedesca, umanamente poliedrica e versata nelle più ampie arti culturali. Hildegard, “amica di penna” di Bernardo di Chiaravalle e fondatrice di un monastero, dal monastero esce con una visione “aperta” del Cristianesimo, ragione che la oppose spesso all’atteggiamento e alle direttive di parte del clero ufficiale: per lei il monachesimo non era e non doveva essere solo vita claustrale, ma predicazione e apertura, con una visione spirituale e sociale (oggi diremmo di “moderna evangelizzazione”) sicuramente all’avanguardia e certamente anticonformista. Hildegard aveva un carattere forte, come il suo nome stesso significava: era e si comportava come una “protettrice delle battaglie”. Fu, come scrisse Giovanni Paolo II, la donna “..che non esitò a uscire dal convento per incontrare, intrepida interlocutrice, vescovi, autorità civili, e lo stesso imperatore”. Il 7 Ottobre 2012 Benedetto XVI “recupera” la sua figura e la nomina, già santa, Dottore della Chiesa, riconoscendole, davanti alla Curia Romana, un ruolo potente anche nel disvelamento della realtà dell’Istituzione: «Nella visione di sant’Ildegarda il volto della Chiesa è coperto di polvere ed è così che noi l’abbiamo visto».

Edith Stein era ebrea. Anzi, era atea. Di origine ebraica, passò la sua giovinezza a studiare e cercare, prima a scuola poi autonomamente, essendo, come la sorella la definiva, “straordinariamente pronta d’ingegno”, unica ragazza in aule universitarie piene di studenti. I docenti dell’Università di Gottinga si accorsero delle sue doti intellettuali: se ne accorse soprattutto Edmund Husserl, suo relatore di laurea con una tesi sull’empatia. Edith, intanto, aveva iniziato opere di volontariato e assistenza sanitaria e nel 1921, dopo aver letto la biografia di Santa Teresa d’Avila, si convertì, fu battezzata, dovette rinunciare al suo lavoro universitario a causa del nazismo e, infine, entrò nel monastero carmelitano di Colonia dove prese il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. La vita di Edith, futura compatrona d’Europa, fu un cammino, come quello del suo continente: attraversato dall’incredulità, poi dalla ricerca, quindi dalla fede e, in ultimo, dal sacrificio che la vide morire, insieme alla sorella, nel campo di sterminio di Auschwitz, il luogo che racchiude tutte le notti più buie nella storia europea.

Un anno dopo, vicino Londra, muore Simone Weil. Anarchica parigina, marxista, colta per istruzione laica. Affascinata dal cattolicesimo, mai aderendo ufficialmente ad esso, ma dedicandosi certamente al principio cristiano della vicinanza agli esclusi, e per questo spesso accostata alle figure dei santi. Fin da liceale, si differenzia dalla maggioranza dei suoi coetanei per un forte senso di ricerca e disciplina morale (“Quel che non sopporto è che si transiga”). Si interessa dei problemi sociali e politici delle popolazioni, con un respiro e un interesse globale e internazionale («Come puoi ridere quando in Cina ci sono bambini che soffrono?»), diventa insegnante, attivista politica, editorialista e scrittrice. Abbandona il marxismo, critica il Cristianesimo, si accosta alla via di San Francesco, pacifista contro il nazismo, frequenta poveri e miseri. Durante la Settimana Santa del 1942 partecipa alle celebrazioni dell’abbazia benedettina di En-Calcat e, anche a New York, dove si trasferisce con la sua famiglia, continua ad assistere, non battezzata, alle funzioni cattoliche, affascinata dalla Liturgia. Una vita mistica e una coscienza tormentata, caratterizzata da una continua esigenza di verità. Muore nel sonno, nel 1943, in un letto del sanatorio di Ashford, con il sogno di “far conoscere pubblicamente la possibilità di un cristianesimo veramente incarnato”.

Scolastica, Hildegard, Edith, Simone: queste sono alcune delle donne che hanno fatto l’Europa. Ma chi sono, cosa pensano, come agiscono e cosa progettano le donne dell’Europa oggi? Al di là o accanto ai necessari programmi di welfare ed emancipazione economica, quali sono i programmi femminili europei dal punto di vista umano e globale, prima a livello individuale e poi comunitario? Un continente, l’abbiamo già sperimentato, non si fonda né rifonda per vie finanziarie e di singola affermazione. Esso può rifondarsi solo sulle storiche basi europee: lo spirito, la cultura, la solidarietà, l’impegno.

In questo anche le donne dell’Europa possono e debbono fare la loro parte. Molto di più.

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