Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma
di Maria Pellegrini
Le vacanze natalizie sono lodevolmente occupate da molti romani per passeggiare lungo le vie della città e ammirare l’eterna bellezza dei suoi monumenti o per mostrarli a ospiti arrivati da altre regioni o nazioni. Per goderne davvero ci si deve però alzare all’alba, preferibilmente in un giorno di festa, e arrivare al centro della città quando ancora non c’è la folla dei turisti o dei visitatori che non rinunciano al riposo protratto fino a tardi. Una tappa obbligata è l’Anfiteatro Flavio, detto comunemente Colosseo (dal Colosso di Nerone, la gigantesca statua di bronzo alta cento piedi che si trovava all’esterno del monumento). Situato nella valle tra Palatino, Esquilino e Celio, in un area che precedentemente aveva fatto parte dell'immensa Domus Aurea neroniana, è il monumento più visitato d'Italia che attrae per il fascino intatto della sua storia e della sua complessa architettura.
Ma onoriamolo con i versi del poeta Marziale: “Tutte le meraviglie del mondo cedono all’anfiteatro Flavio: / la fama ricorderà un solo capolavoro per tutti. (Liber de spect., I, 1) Nell’anno 72 d.c. l’Imperatore Vespasiano iniziò i lavori che furono terminati nell’anno 80 d.c. da Tito, suo figlio. Per l’inaugurazione, per 100 giorni consecutivi, si organizzarono straordinari giochi, combattimenti di gladiatori, e soprattutto venationes, veri e propri scontri tra cacciatori e animali feroci o tra soli animali. La vera attrazione era suscitata dal pericolo che correvano i cacciatori sull’arena, combattendo con fiere spesso esotiche. In questa occasione furono massacrati un infinità di animali. Le fonti oscillano intorno alle cinque mila vittime, o anche di più.
Si può dire che la storia del Colosseo, dopo il duro lavoro di migliaia di schiavi per costruirlo, ebbe inizio con le morti di tanti gladiatori e tanto spargimento di sangue di innocenti animali per soddisfare il piacere belluino degli spettatori.
Nel 404 l’Imperatore Teodosio vietò definitivamente i giochi gladiatori, sopravvissuti nonostante le disposizioni di Costantino nel 325. Dal 408, per un biennio, ci pensarono i Visigoti di Alarico ad assediare Roma e a costringere i romani ad usare il Colosseo come luogo di sepoltura per centinaia di tombe non potendo più seppellirle fuori città com’era uso comune. Poi il nobile anfiteatro subì incendi e terremoti, e infine la spoliazione che dal Medioevo durò fino a tutto il settecento, diventando una cava di marmo usato per costruire nuovi edifici.
Soltanto nel 1805 cominciò una vera e propria campagna di scavi per restaurare l’anfiteatro. Ma per parlare delle sorti del Colosseo in anni a noi più tristemente vicini, nel Ventennio fascista, abbiamo dai filmati dell'Istituto Luce, un'immagine del monumento davvero singolare. Una "monumentale scenografia del potere", l’ha definita la direttrice dell'Anfiteatro Flavio mostrando i frammenti delle lastre ritrovate nei sotterranei, su cui ancora si legge il nome di Mussolini. Durante il regime fascista il Colosseo fu utilizzato per raduni di propaganda, poiché si voleva collegare le passate glorie imperiali Romane con la nascita del nuovo impero fascista. Nonostante i danni rilevati (capitelli e colonne danneggiati, e molto altro ancora) il Colosseo continuò ad ospitare raduni di massa, per ogni sorta di manifestazione di regime: nei filmati si può vedere il Duce parlare agli operai, agli alpini, ai bersaglieri, alle scolaresche, alle cooperative fasciste, agli avanguardisti, mentre tante persone sono sedute o in piedi nei vani delle arcate. Alcuni corridoi del monumento furono asfaltati, si costruirono scale di collegamento che modificarono la struttura originale, ed una piccola sezione della cavea fu ricostruita nel 1933, ma senza alcuna cura e rispetto dell’originale. Negli anni '30 anche il paesaggio circostante mutò radicalmente: la Velia, una sella che collegava l'Esquilino al Palatino, anticamente un colle dal carattere sacro poiché ospitava il più antico tempio dedicato a Giove, costruito secondo la leggenda dallo stesso Romolo (Livio I, 72). fu rasa a zero per la costruzione della Via dell'Impero, ora via dei Fori imperiali, così che il Duce - si disse - potesse vedere il Colosseo dal suo balcone di Palazzo Venezia. Tra il 1933 e il 1936 furono demoliti definitivamente i resti della fontana Flavia chiamata “Meta Sudante”, che bloccava il passaggio per arrivare sotto l'Arco di Costantino. Si può vedere rappresentata in una moneta di Tito datata 80 d.C.: la sua costruzione iniziò quindi a partire da quell'anno. Veniva chiamata “mèta” per via della sua forma che rappresentava la mèta attorno alla quale, nei circhi, si doveva svoltare, e “sudans” perché sembrava sudasse; difatti la palla di bronzo era crivellata da fori da cui usciva l'acqua. Anche i resti della base del Colosso di Nerone furono eliminati durante i lavori per la costruzione di Via dell'Impero. Sull'altro lato fu allargata Via di San Gregorio.
Con la presa del potere del fascismo nel 1922, il mito di Roma entrò ufficialmente nella politica e nella cultura. Si fece ampio uso della sua simbologia: il fascio littorio, il saluto romano, il nome Roma latinizzato in Urbe, numeri romani al fianco di ogni anno di quel Ventennio dell'Era Fascista, l'aquila delle legioni romane e le lupe allattanti si diffusero su tutto il territorio, sui monumenti, sui francobolli, sui libri, sui manifesti, ovunque potessero essere visibili. La storia e l’esempio di Roma antica venne utilizzato come elemento di legittimazione della volontà di ricostruire l’impero. L’imperialismo fu visto come conquista non fine a sé stessa, era per tutelare, contro la barbarie minacciosa, il lavoro, la giustizia, la civiltà, per assicurare la pace, non solo ai vincitori ma anche ai vinti. Ma qui entriamo in un altro capitolo della storia con i suoi morti e i suoi soprusi dovuti alla folle ambizione di creare un impero.
Archiviato "con il ventennio fascista l'ultimo periodo della sua strumentalizzazione politica", auspica la Direttrice, l'Anfiteatro Flavio merita una "vocazione squisitamente culturale", ma quale? i restauri in corso stanno riportando il travertino alla calda tavolozza dei suoi colori originari. Quelle delicate sfumature, dall'ocra all'avorio, che alla fine dei lavori sulle prime cinque arcate sono di recente apparsi, suscitano nuovo entusiasmo. Un vespaio di polemiche ha però prodotto l’idea dell’archeologo Manacorda di ricostruire l’arena e ricoprire i labirinti (ipogei) attualmente in vista per consentire al visitatore di godere di una visione più rispondente alla realtà originaria. Secondo l’archeologo, “la distruzione dell’arena ha trasformato il Colosseo in un luogo surreale. La sua restituzione gli permetterebbe di tornare ad essere, carico di anni, un luogo che accoglie non il semplice rito banalizzante della visita del turismo massificato, ma un luogo che, nella sua cornice unica al mondo, ospita -nelle forme tecnicamente compatibili- ogni possibile evento della vita contemporanea”.
Un dibattito che durerà a lungo. C’è chi c’è boccia categoricamente il progetto. perché lo considera un’idea povera culturalmente, chi invece l’ha accolto favorevolmente perché si tratta di una conservazione e valorizzazione dell’esistente. C’è chi è contrario considerando la mancanza di fondi e di personale riservata ai beni culturali per cui la restituzione dell’arena del Colosseo non sembra una priorità ragionevole, e c’è chi pensa che con tutto l’enorme patrimonio d’arte in pericolo, con i tanti tesori sconosciuti, non è giusto concentrarsi sul Colosseo e sul suo uso spettacolare, e infine chi pensa che si debba smettere con l’idea che i monumenti parlino da soli. Il Colosseo è il monumento simbolo di Roma e dell’Italia, ogni anno lo visitano 5 milioni di persone: certo, si deve procedere con cautela e rispetto, senza però considerarlo un feticcio.
Beda (eruditissimo monaco dell' VIII sec.) scrisse : “Quamdiu stabit Colysaeus stabit et Roma” “Finché esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma”. Un invito a preservare al meglio almeno la struttura architettonica di questo monumento.

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